martedì 30 dicembre 2008

Schizofrenia?

Un milione di persone in piazza a Madrid per la festa della famiglia. L'arcivescovo di Madrid, informa Avvenire di oggi "ha anche condannato con forza l'aborto, "una delle piaghe più terribili del nostro tempo", e ha definito "i nuovi santi innocenti" i piccoli non nati per l'interruzione della gravidanza.
La giornalista chiosa: "Un messaggio di grande attualità in un momento in cui la Spagna discute un progetto di riforma della legge sull'aborto - fortemente voluta dal PSOE - che dovrebbe prevedere la sua liberalizzazione fino alla dodicesima o quattordicesima settimana".

La legge attuale sull'aborto in Spagna prevede la possibilità di ricorrervi: a) fino alla dodicesima settimana, in caso di gravidanza frutto di violenza sessuale; b) fino alla 22a settimana in caso di malformazione del bambino; c) senza limiti di tempo in caso di pericolo di vita o di grave pericolo per la salute psichica della donna, attestata da un certificato medico. Il risultato? L'esplosione recente del numero degli aborti per motivi di salute psichica della donna (ovviamente certificata da medici compiacenti), anche al settimo mese di gravidanza, con relativi scandali.

Quale è l'idea del governo Zapatero? Permettere l'aborto senza alcuna motivazione nelle prime dodici - quattordici settimane di gravidanza e tentare di limitare gli aborti tardivi.
Si tratta del nucleo essenziale della legge 194 italiana: nei primi tre mesi di gravidanza (13 settimane) l'aborto è assolutamente libero, successivamente si pongono "paletti" che, quando è necessario (ad esempio in caso di esito infausto di una diagnosi prenatale tardiva) vengono facilmente aggirati (e non abbiamo alcun dubbio che anche la legge spagnola fisserà paletti altrettanto fragili).

Tra i tanti interventi dei vescovi, quello durissimo di qualche mese fa dell'arcivescovo di Pamplona, mons. Fernando Sebastiàn: «La permissività di fronte all’aborto sta facendo di noi una Nazione degradata e corrotta. Non possiamo essere complici in questa corsa per la distruzione morale della Spagna e degli Spagnoli». «Vogliamo che l’aborto sia considerato per quello che è, un crimine disumano e distruttore, anziché essere presentato come un diritto e una soluzione».
E ancora: «Il vero punto di vista per valutare umanamente l’aborto è quello del bambino abortito. Se non è lecito uccidere un bambino appena nato, perché sarebbe lecito ucciderlo qualche settimana prima della sua nascita? Solo per la convenienza dei più forti».

Chissà: forse qualche anno dopo l'approvazione della legge, anche in Spagna i vescovi chiederanno di applicarla integralmente soprattutto nelle sue parti buone?

Giacomo Rocchi

domenica 28 dicembre 2008

Testamento biologico: chi decide davvero?

Medicina e Persona, associazione fra operatori sanitari di ispirazione cattolica, ha sempre contrastato le dichiarazioni anticipate di trattamento, osservando, in un recente comunicato, che esse "esprimono una concezione che riduce la relazione di cura, cioè il rapporto tra medico e Paziente, ad un livello meramente contrattualistico e rischiano di indurre (come già accaduto in diversi Paesi) atteggiamenti rinunciatari da parte dei professionisti e dei sistemi sanitari, soprattutto nei confronti di malati più deboli e fragili ... Si rischia di produrre un mostro burocratico che solo renderà più legalistica la relazione di cura, senza nessun beneficio per i Pazienti".

Sarebbe facile contrapporre questa posizione, che afferma "la responsabilità sulla situazione clinica del Paziente è di fatto affidata al Medico, la cui azione è orientata esplicitamente alla tutela della vita e della dignità della persona (Art. 13 – 17 – 20 del Codice Deontologico), e che dalla esperienza del rapporto medico-paziente dipendono i giudizi sulla proporzionalità delle terapie e dei trattamenti" a quella di un Veronesi che inserisce nel suo progetto di legge il principio secondo cui "medici e operatori sanitari sono tenuti a rispettare le volontà espresse anticipatamente dalla persona", spiegando che "il principio dell'autodeterminazione è l'unico che garantisce il rispetto della globalità della persona" e affermando solennemente: "Noi pensiamo che nessuno debba decidere per noi": Medicina e Persona erede del "paternalismo medico" e Umberto Veronesi limpido esempio del medico "democratico", a servizio del paziente e della sua volontà, disposto a ritirarsi di fronte al rifiuto della cura, anche contro le proprie convinzioni scientifiche?


Qualcuno è disposto a credere a questa favole?

Il Comitato Nazionale di Bioetica, nel parere sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento del 18/12/2003, menzionava un caso di induzione a redigere le dichiarazioni: quello del celebre ospedale londinese che, nel ricoverare pazienti al di là della soglia dei 75 anni, proponeva loro la firma di dichiarazioni di rinuncia a terapia di sostegno vitale, nel caso che nel corso del trattamento sopravvenissero eventi infausti, anche se non estremi, quali la perdita della vista o della mobilità.
Il Comitato esplicitamente si chiedeva se si trattasse di una proposta o di una imposizione, osservando che essa giungeva in un momento di particolare fragilità dei pazienti, sia fisica, "sia, soprattutto, psichica". Il parere evidenziava "il rischio che sotto il pretesto di implementazione delle dichiarazioni anticipate si cerchi surrettiziamente di favorire nei pazienti, e soprattutto in quelli più anziani, un atteggiamento di resa nei confronti della morte, che potrebbe tragicamente e indegnamente trasformare l'assistenza ai pazienti terminali in una burocratica accelerazione del processo del morire".

Ebbene sì: sono proprio i medici - alcuni medici - a spingere per l'introduzione del testamento biologico; sono loro quelli che mettono sotto gli occhi ai ragazzi il modulo già pronto per essere firmato "nel caso succedesse un incidente"; sono gli stessi che da una parte esaltano il potere e il progresso della scienza, dall'altra pretendono di suggerirci che lo stato vegetativo persistente è una non-vita e che sono fondamentali anche i problemi di distribuzione delle risorse sanitarie (Veronesi sottolinea come il problema maggiore deriva dall'essere i soggetti in SVP giovani e, quindi, dal prolungarsi il "problema" del loro mantenimento in vita per decenni).

Del resto ci siamo abituati a conoscerli, questi "sacerdoti" della vita e della morte, che distribuiscono saggezza in televisione o sulle rubriche dei giornali, se possibile nascondendo gli intrighi accademici, le guerre tra bande, le truffe, i fallimenti.

Pensiamo davvero che questi medici siano disposti a far decidere noi?

Giacomo Rocchi

venerdì 26 dicembre 2008

Cattivi maestri

Emile-Etienne Baulieu, inventore della RU486 (su Repubblica):
Monsieur Ru486 non porta sulla coscienza il peso di milioni di "bambini mai nati". "Anche gli spermatozoi sono vivi eppure ne vanno persi milioni senza nessun problema etico".

Quando un ovulo fecondato diventa un bambino? L'anziano medico risponde senza esitazioni. In automatico. "Ho due risposte. La prima è a partire dal momento in cui gli altri cominciano a riconoscerlo come tale. Nel caso della società a partire dalla sua nascita. Tuttavia, la seconda risposta mi sembra più precisa: tutto dipende dalla donna, dal momento in cui la donna comincia a sentire questo embrione come un nuovo essere. Quando una donna ha un ritardo, lo esprime giustamente così: "Ho un ritardo". Alcune settimane dopo, comincia a dire: "Sono incinta". Però ha bisogno di un tempo considerevole per dire: "Aspetto un bambino".

E' soggettivo. E' tutta una questione psicologica".

Forse anche la schiavitù del negri in America era tutta una questione psicologica, perché gli uomini di colore non erano riconosciuti come persone dagli altri ...

Giacomo Rocchi

mercoledì 24 dicembre 2008

Testamento biologico: la trappola

Capita nella vita di qualcuno l'irrompere di un rovescio di carattere economico: la perdita del lavoro, ingenti spese impreviste; spesso, nell'affannosa ricerca di denaro, si mette in vendita l'immobile di proprietà, acquistato con i risparmi di tutta una vita, soprattutto se non c'è qualche familiare disposto a soccorrere il parente in difficoltà. Quale è il rischio? Che il potenziale acquirente si renda conto delle difficoltà e della fretta di chi pone in vendita l'immobile e ne approfitti per abbassare drasticamente la sua offerta.
Quando il venditore si troverà a sottoscrivere il contratto di compravendita ad un prezzo stracciato, il notaio attesterà la sua piena capacità di intendere e di volere e la sua effettiva volontà di vendere l'immobile a quel prezzo: ma si può dire che, in quell'occasione, il venditore è stato veramente libero, ha esercitato pienamente la sua autodeterminazione?

Coloro che propongono il testamento biologico si disinteressano della questione: non solo - come si è visto in precedenti post - rendono possibili abusi (testamenti fatti sottoscrivere con inganno o con la forza), ma adottano un modello contrattuale - la volontà scritta e firmata è valida, purché chi redige l'atto non sia incapace di intendere e di volere - che la pratica di tutti i giorni dimostra che raramente ha a che fare con l'effettiva libertà della persona.

L'uomo che redige la dichiarazione anticipata di trattamento è solo: isolato rispetto ai suoi familiari, ai suoi amici, ai suoi medici; è sufficiente che firmi l'atto, tutto il resto non conta.

A ben pensarci è la stessa situazione della donna incinta di fronte all'aborto: non a caso anche nel testamento biologico si parla di autodeterminazione; ma la pratica di questi trent'anni di aborto legale dimostra chiaramente che l'attribuire esclusiva rilevanza alla volontà della donna fa sì che ella spesso rimanga davvero sola! E' proprio la legge sull'aborto che permette al padre del bambino di lavarsene le mani - e magari scomparire - dicendo alla madre: "decidi tu, non sei obbligata a proseguire la gravidanza".

Ricordiamo allora le statistiche olandesi sui motivi che inducevano i malati a chiedere il suicidio assistito: le richieste aumentavano enormemente in presenza di una legge che lo consentiva!
In altre parole: la comparsa all'orizzonte di una opzione in ordine al proseguimento delle cure e della vita, opzione che prima non esisteva, si trasforma inevitabilmente in una domanda per ogni soggetto: in che modo devo disporre? Una risposta diventa di fatto inevitabile, anche se il testamento biologico non viene reso obbligatorio.

Quali saranno i motivi della risposta? Dipenderà dalla situazione concreta in cui si trova il soggetto (esattamente come nell'esempio della vendita dell'immobile): se anziano, magari in una casa di cura, abbandonato dai familiari o con la percezione di essere un peso per loro; o se malato e dipendente da altre persone ma non circondato da amore e affetto, il soggetto si sentirà in dovere di scegliere per l'interruzione delle cure, perché percepirà la prosecuzione della sua vita come senza significato, inutile, di peso agli altri: ricordiamo quanto ha affermato a chiare lettere la baronessa Warnock (di cui abbiamo parlato in precedenti post): "se qualcuno vuole assolutamente, disperatamente morire perché è un fardello per la propria famiglia e per lo Stato, penso che anche a lui dovrebbe essere permesso di morire ... non c'è nulla di veramente sbagliato nel sentire il dovere di farlo tanto nell'interesse degli altri quanto nell'interesse proprio".

Ecco che il testamento biologico mostra il suo vero volto: una trappola tesa nei confronti degli anziani soli e poveri o dei malati gravi o inguaribili o dei disabili.

La legge è per loro (per noi se saremo in quelle condizioni): che si sentano liberi di farsi uccidere!

Ma se quelle espressioni anticipate di volontà non saranno in realtà frutto dell'autodeterminazione del soggetto, chi avrà davvero deciso al suo posto?

Giacomo Rocchi

venerdì 19 dicembre 2008

L'eccezionalismo italiano e Avvenire

Su Avvenire del 16 dicembre un editoriale non firmato - e quindi attribuibile al Direttore - risponde a Giuliano Ferrara e contesta la nostalgia che il Direttore de Il Foglio mostra rispetto alla vocazione umanistica dell'Italia e alla sua capacità di resistere all'onda "del secolarismo mortificante la vita umana".
L'editoriale di Avvenire si mostra certo "per la conoscenza che abbiamo del nostro entroterra cattolico, che nulla è cambiato dell'antico intendimento. Ciò che era, è. Ciò che è stato, continua ad essere". L'articolo prosegue ammettendo che "sensibilità diverse si sono sempre registrate, anche in passato, all'interno dell'area cattolica, ma questo non autorizza alcuno a trarre per tutti conclusioni sconfortanti".
Arriviamo al punto, alla dichiarazione programmatica: "In questo tempo, come già nei giorni dell'impegno contro il far west della procreazione artificiale e per la difesa di un'idea naturale e costituzionale della famiglia, la capacità di laici e cattolici di fare squadra sarà ancora cruciale e probabilmente decisiva". E infine:
"Considerare l'opportunità, in materia di fine vita, di costruire un argine legislativo a cattive pratiche e a rischiose derive non significa acconsentire in alcun modo alle une o alle altre. Così come non significa essere poi, esentati da un esigente dovere di testimonianza culturale e di vigilanza umana e politica. E' proprio la vicenda della legge 40 che lo ricorda a tutti noi".

Come vogliamo interpretare le ultime frasi?
Avanti con una legge di compromesso sull'eutanasia (leggi: dichiarazioni anticipate di trattamento); meglio riuscire ad approvare a larga maggioranza una legge imperfetta che però ponga paletti (o argini) che essere sconfitti su una proposta di legge che affermi: "Nessuno può essere ucciso in ragione della sua disabilità o malattia, neppure se lo chiede!". Iniziamo nel frattempo a chiamare cattive pratiche e rischiose derive ciò che dovrebbe essere chiamato uccisione di essere umano ...
Nessun problema di coscienza: Avvenire ci assolve in anticipo; saranno gli altri, i cattivi a prendersi la colpa.

C'è un però: non c'è un dovere di sostenere una legge intransigente sulla vita, ma piuttosto un dovere di testimonianza culturale e di vigilanza umana e politica.
Il luminoso esempio? La legge 40 sulla fecondazione artificiale ...

Mi chiedo se la testimonianza culturale di Avvenire sulla fecondazione artificiale fosse quella di intervistare la d.ssa Eleonora Porcu, esperta nel congelamento di ovociti ("la crioconservazione di ovociti in ordine al processo di procreazione artificiale è da considerare moralmente inaccettabile") o altri illustri sanitari che effettuano fecondazione in vitro come i drr. Claudio Manna e Licinio Contu ("tutte le tecniche di fecondazione in vitro si svolgono di fatto come se l'embrione umano fosse un semplice ammasso di cellule che vengono usate, selezionate e scartate"); o quello di enfatizzare i "successi" della legge 40 sulla base dell'aumento degli interventi ("La legge 40 funziona. Raddoppiati i risultati", Avvenire, 23/9/2006: "considerando il rapporto tra il numero totale di embrioni prodotti e di quelli effettivamente nati, il numero degli embrioni sacrificati è altissimo (al di sopra dell'80% nei maggiori centri di fecondazione artificiale").


O se ancora, all'interno del mondo cattolico, abbiano contribuito alla testimonianza culturale sulle fecondazione artificiale considerazioni come queste: "È ben vero che anche se tutti gli embrioni artificialmente generati sono trasferiti in utero le percentuali di nascite sono così modeste da poter far giudicare le intere tecniche, in quanto tali, poco attente al valore della vita nel momento stesso in cui si autorappresentano come un servizio alla vita. Ma una volta che gli embrioni sono trasferiti in utero essi sono affidati alla natura. Molti muoiono anche nel caso di fecondazione naturale e comunque manca una programmazione diretta e premeditata della distruzione di nuovi esseri umani" (Movimento per la Vita, Primo Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40/04: "Spesso si obietta che tali perdite di embrioni sarebbero il più delle volte preterintenzionali, o avverrebbero addirittura contro la volontà dei genitori e dei medici. Si afferma che si tratterebbe di rischi non molto diversi da quelli connessi al processo naturale della generazione ... E' vero che non tutte le perdite di embrioni nell'ambito della procreazione in vitro hanno lo stesso rapporto con la volontà dei soggetti interessati. Ma è anche vero che in molto casi l'abbandono, la distruzione o le perdite di embrioni sono previsti e voluti").

La vicenda della legge 40 ricorda a tutti noi che, quando si tenta un compromesso su materie non negoziabili, i valori non vengono difesi per nulla e, velocemente, si perde la capacità di riconoscere le azioni che li violano ...

Giacomo Rocchi

Dignitas personae: sine glossa/2

Oggi (19/12/2008) ho rilevato che nel sito del Mpv accanto alla sintesi della Dignitas personae è presente anche il testo completo dell'Istruzione che, inizialmente, mancava.

Giacomo Rocchi

lunedì 15 dicembre 2008

Fivet inaccettabile per il credente? E' solo questione di fede?

Roberto Colombo, Direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare e Genetica Umana, Università Cattolica Milano, professore di Bioetica alla Pontificia Università Lateranense, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e della Pontificia Accademia per la Vita.

Nell'intervista rilasciata su Il Suddidiario.net Risponde alla domanda:

<<Secondo alcuni commentatori, il documento Dignitas personae, a differenza di Donum vitae, direbbe sì alla procreazione medicalmente assistita. E’ vero?
Si tratta di una lettura superficiale e distratta dei due testi della Congregazione per la Dottrina della Fede. Le “tecniche di aiuto alla fertilità” (o “cura dell’infertilità”, come le chiama anche Dignitas personae al n. 12 della Parte II) sono di diversa natura clinica. La medicina e la chirurgia non offrono solo la possibilità della fecondazione in vitro con trasferimento in utero degli embrioni (FIVET, ICSI ed altre procedure di manipolazione dei gameti e fecondazione extracorporea).
Come già Donum vitae aveva fatto, il nuovo documento distingue accuratamente tra «interventi che mirano a rimuovere ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale» (Parte II, n. 13: terapie farmacologiche, interventi di microchirurgia, ecc.), al fine di consentire una fecondazione nella sue sede fisiologica attraverso l’incontro dei gameti, dalle tecniche di fecondazione al di fuori del corpo femminile, quelle di cui si occupa estesamente - tra l’altro - le legge italiana n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Queste ultime, per il credente, restano moralmente inaccettabili, perché - come già aveva messo in luce Donum vitae - comportano «la dissociazione della procreazione dal contesto integralmente personale dell’atto coniugale»
>>
Sembrerebbe che la produzione di esseri umani in provetta sia inaccettabile solo dai credenti..
Ma possibile?

Eppure la Dignitas Personae, oggetto dell'intervista a Colombo, si rifà a tre principi naturali (e non a questioni dogmatiche o di credo religioso):
a) il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte naturale; b) l'unità del matrimonio, che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro; c) i valori specificamente umani della sessualità, che «esigono che la procreazione di una persona umana debba essere perseguita come il frutto dell'atto coniugale specifico dell'amore tra gli sposi»
Non basta quindi in primo luogo la ragione per riconoscere che l'80-90% di embrioni umani vengano sacrificati nei laboratori?
Non è sufficiente la ragione per vedere un immenso business sulle spalle delle madri e famiglie illuse?

Roccella: di lotta e di governo

È questione di poco tempo l'introduzione in Italia della Ru486, la pillola abortiva. Questa settimana il Consiglio di amministrazione dell'Aifa, l'Agenzia del farmaco, potrebbe dare il via libera definitivo alla pasticca che ha consentito a milioni di donne in tutto il mondo di interrompere la gravidanza senza entrare in sala operatoria. E il governo non può fare niente, ammette Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare. (...)
«Noi non possiamo fare più niente per bloccare un farmaco che a nostro parere espone a molti rischi. Ma è una truffa dire alle donne che è sicuro e che rende l'aborto facile», contesta Eugenia Roccella, impegnata a denunciare con Assuntina Morresi (ora sua collaboratrice al ministero) i pericoli della Ru486. «Poi questo farmaco ha ancora molti lati oscuri. Ha provocato almeno 16 morti», sottolinea. «E verrà somministrata in ospedale solo in teoria. Nella pratica le donne firmeranno il registro delle dimissioni e torneranno a casa, senza neppure una notte di ricovero, come è avvenuto nel 90% delle volte nel corso della sperimentazione a Torino. E questo è un rischio», aggiunge il sottosegretario.(...)
Eugenia Roccella però vuole continuare la sua battaglia: «Le donne devono sapere che l'aborto chimico non è una passeggiata».

Certo: se si dice pubblicamente che "la legge 194 non deve essere modificata e deve essere applicata integralmente", difficile opporsi all'introduzione della RU486 ...

Ma, verrebbe da chiedere al Sottosegretario: l'aborto chimico non è una passeggiata ... l'aborto chirurgico lo è?

"Noi non possiamo fare più niente ...". Tre suggerimenti:
a) una proposta di legge che vieti l'aborto volontario
b) un decreto leggi che vieti l'introduzione della RU486

oppure - con molta classe e coerenza: DIMISSIONI!

Giacomo Rocchi

domenica 14 dicembre 2008

Dignitas personae: sine glossa!

Nel sito del Movimento per la Vita Italiano è presente una "sintesi del testo della Dignitas personae". Ecco come viene sintetizzata la seconda parte del documento ("Nuovi problemi riguardanti la procreazione").

Dapprima si propone un elenco delle tecniche di aiuto alla fertilità: tecniche di fecondazione artificiale eterologa, tecniche di fecondazione artificiale omologa, tecniche che si configurano come un aiuto all'atto coniugale e alla sua fecondità, interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale, la procedura dell'adozione.


I passi relativi alla "fecondazione in vitro ed eliminazione volontaria degli embrioni" (paragrafo 14 - 16 del documento) vengono così sintetizzati:
"L'esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che nel contesto delle tecniche di fecondazione in vitro 'il numero degli embrioni sacrificati è altissimo': al di sopra dell'80% nei centri più sviluppati" "Gli embrioni prodotti in vitro che presentano difetti vengono direttamente scartati"; molte coppie "ricorrono alle tecniche di procreazione artificiale con l'unico scopo di poter operare una selezione genetica dei loro figli"; tra gli embrioni prodotti in vitro "un certo numero è trasferito nel grembo materno e gli altri vengono congelati"; la tecnica del trasferimento multiplo, cioè "di un numero maggiore di embrioni rispetto al figlio desiderato, nella previsione che alcuni vengano perduti ... comporta di fatto un trattamento strumentale degli embrioni".
Si riporta, poi, un altro brano: "La pacifica accettazione dell'altissimo tasso di abortività delle tecniche di fecondazione in vitro dimostra eloquentemente che la sostituzione dell'atto coniugale con una procedura tecnica ... contribuisce ad indebolire la consapevolezza del rispetto dovuto ad ogni essere umano ..."



Un dubbio: le tecniche di fecondazione in vitro sono lecite o illecite?
Dalla sintesi non si comprende bene. In effetti il documento si premura di ricordare l'affermazione della liceità di tutte le tecniche che "rispettano il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano", "l'unità del matrimonio ..." e i "valori specificamente umani della sessualità ..." e quindi all'affermazione della liceità delle tecniche che si configurano come un aiuto all'atto coniugale e alla sua fecondità ...", ma si dimentica di riportare un passaggio, piuttosto semplice:
"Alla luce di tale criterio sono da escludere tutte le tecniche di fecondazione artificiale eterologa e le tecniche di fecondazione artificiale omologa che sono sostitutive dell'atto coniugale" (n. 12).


E' strano: manca anche un secondo passaggio, piuttosto "pesante":
"L'esperienza successiva ha dimostrato invece che tutte le tecniche di fecondazione in vitro si svolgono di fatto come se l'embrione umano fosse un semplice ammasso di cellule che vengono usate, selezionate e scartate".


La sintesi collega il concetto di embrioni sacrificati alla diagnosi preimpianto, alla selezione eugenetica, alla tecnica del trasferimento multiplo e al congelamento degli embrioni: si dimentica, però, di citare il passo dell'Istruzione immediatamente successivo alla menzione dell'altissimo numero di embrioni sacrificati:
"Queste perdite sono accettate dagli specialisti delle tecniche di fecondazione in vitro come prezzo da pagare per ottenere risultati positivi. In realtà è assai preoccupante che la ricerca in questo campo miri principalmente ad ottenere migliori risultati in termini di percentuale di bambini nati rispetto alle donne che iniziano il trattamento, ma non sembra avere un effettivo interesse per il diritto alla vita di ogni singolo embrione".
Del resto l'Istruzione immediatamente prima chiariva (in un passo non riportato nella sintesi) cosa intendeva per embrioni sacrificati:
"Occorre tuttavia rilevare che, considerando il rapporto tra il numero totale di embrioni prodotti e di quelli effettivamente nati, il numero di embrioni sacrificati è altissimo": embrioni sacrificati sono tutti quelli prodotti e non nati.

Viene tralasciato anche un altro duro giudizio sulle tecniche nel loro complesso:
"Le tecniche di fecondazione in vitro in realtà, vengono accettate perché si presuppone che l'embrione non meriti un pieno rispetto, per il fatto che entra in concorrenza con un desiderio da soddisfare"; e un altro:
"Il desiderio di un figlio non può giustificarne la produzione ..."



Quando poi la sintesi riporta il giudizio sull'ICSI, quale variante della fecondazione in vitro, così riporta: "Tale tecnica è moralmente illecita: 'opera una completa dissociazione tra la procreazione e l'atto coniugale ...".
Il testo dell'Istruzione, per la verità, contiene una premessa e utilizza un avverbio, entrambi tralasciati: "Come la fecondazione in vitro, della quale costituisce una variante, l'ICSI è una tecnica intrinsecamente illecita ..."; e infatti non è solo l'ICSI, ma ogni tecnica di fecondazione in vitro ad operare una completa dissociazione tra la procreazione e l'atto coniugale.



Che dire, poi, del passo relativo alla condanna della diagnosi pre-impiantatoria? La sintesi riporta: "La diagnosi preimpiantatoria ... è finalizzata di fatto ad una selezione qualitativa con la conseguente distruzione di embrioni"; i puntini (...) riguardano un inciso piuttosto significativo. L'Istruzione afferma:
"La diagnosi preimpiantatoria - sempre connessa con la fecondazione artificiale, già di per sé intrinsecamente illecita - è finalizzata di fatto ad una selezione qualitativa con conseguente distruzione di embrioni".


Ma anche nel passaggio relativo alla valutazione della terapia genica germinale (n. 26) la sintesi tralascia di menzionare l'ipotesi di applicazione sull'embrione che, sottolinea l'Istruzione, "necessita di essere attuata in un contesto di fecondazione in vitro, andando incontro quindi a tutte le obiezioni etiche relative a tali procedure".



E perfino nella condanna della clonazione umana (n. 28), la sintesi dimentica di riportare l'osservazione secondo cui essa porta "all'estremo la negatività etica delle tecniche di fecondazione artificiale"!

Che succede? L'anonimo estensore della sintesi non vuole credere di avere fino ad oggi sostenuto e difeso una legge che consente e finanzia una tecnica "intrinsecamente illecita" che produce il sacrificio di un altissimo numero di embrioni prodotti?

Giacomo Rocchi

lunedì 8 dicembre 2008

Libertà di testamento biologico?

Se qualcuno, con la minaccia di una pistola, costringesse una persona a redigere una dichiarazione anticipata di volontà (ad esempio il modello proposto da Umberto Veronesi), se ne impossessasse e, nel momento in cui il firmatario fosse in stato di incapacità, la consegnasse ai sanitari chiedendo il rispetto di quanto ivi scritto, l'atto sarebbe valido? Verrebbe da rispondere: no di certo, vi sarà un modo per rendere inefficace l'atto! Nelle proposte di legge Veronesi e Marino, però, il modo per annullare l'atto non è indicato ... certo, è previsto che le dichiarazioni possano essere revocate o modificate in ogni momento, ma bisogna vedere se il soggetto sia nuovamente libero dalle minacce altrui.

Che dire, invece, dell'ipotesi dell'inganno? Potrebbe una persona redigere o firmare un testamento biologico senza rendersene conto? La proposta di legge Marino pone come garanzia di corrispondenza tra quanto scritto e quanto effettivamente voluto il requisito della redazione per intero a mano del documento; Veronesi, invece, richiede solo che l'atto sia "datato e sottoscritto", cosicché può proporre il modulo che abbiamo già mostrato, che potrebbe essere stato compilato per intero da un'altra persona e fatto firmare, senza spiegazioni oppure confuso in altre carte, al destinatario delle cure. Ma non sembra davvero che il requisito preteso di Marino costituisca una garanzia sufficiente: davvero il senatore Marino non sa quante sono e quanto complicate sono le cause ereditarie in cui si contesta la validità di un testamento?

Abbiamo senza dubbio proposto due casi - limite: ma certamente, per come la dichiarazione anticipata di trattamento è disegnata nelle due proposte di legge che abbiamo menzionato, non si può escludere l'ipotesi dell'unico nipote che attende ansioso la morte del vecchio zio ricco e spilorcio, al quale fa firmare le dichiarazioni anticipate di volontà, magari facendosi nominare come fiduciario, per essere sicuro che il "lieto evento" non ritardi ...

Entrambe le proposte, poi, nel regolare il consenso informato, si preoccupano di riconoscere il diritto a "rifiutare ogni informazione sulla propria condizione clinica e sulla natura, portata, effetti e rischi del trattamento sanitario proposto"; in questo caso le informazioni (per entrambe le proposte) e le decisioni sul trattamento sanitario (per il progetto Veronesi) spettano ad una persona di fiducia.
Questa previsione ha un senso nell'ambito di un rapporto medico-paziente in cui il secondo si fida totalmente del primo, perché sa che lo curerà al meglio e, nel caso di malattia grave, non lo lascerà morire cessando le cure; il Codice Deontologico prevede la stessa ipotesi, ma riserva al soggetto delegato la sola informazione sulle condizioni cliniche, non la decisione sulle terapie da effettuare o non effettuare.
Quale garanzia è prevista affinché soggetti anziani o molto malati, comunque timorosi dello sviluppo futuro delle proprie condizioni di salute, non vengano indotti a sottoscrivere un rifiuto a ricevere informazioni, così da mettersi nelle mani delle decisioni altrui? Sapranno questi soggetti che la persona di loro fiducia potrà rifiutare al loro posto cure salvavita? Le proposte di legge non prevedono alcunché ...

Non è sorprendente scoprire queste crepe proprio sul tema della effettiva libertà degli interessati in progetti che si richiamano al principio di autodeterminazione del paziente?
Proseguiremo ancora nei prossimi post.

Giacomo Rocchi

sabato 6 dicembre 2008

Testamento biologico e autodeterminazione/2

La proposta di legge del senatore Umberto Veronesi, recita: "Ogni persona ha il diritto di redigere una dichiarazione, con atto datato e sottoscritto, ovvero con atto ricevuto da notaio o da avvocato, nella quale è espressa la propria volontà di essere o di non essere sottoposto ad alcuna cura, indicando eventualmente quali terapie effettuare e quali non effettuare, incluse l'alimentazione e l'idratazione artificiale, in caso di malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile che costringa ad una esistenza vegetativa dipendente da apparecchiature o sistemi che impediscano una vita di relazione ... Medici e operatori sanitari sono tenuti a rispettare le volontà espresse anticipatamente dalla persona. Qualora il medico non condivida il principio del diritto al rifiuto delle cure, si astiene dal curare il malato, lasciando il compito assistenziale ad altri".

Abbiamo detto che una vera autodeterminazione del soggetto che rifiuta le cure può aversi soltanto se l'interessato: a) è pienamente capace di intendere e di volere e non affetto da alcuna forma di malattia mentale, o anche di patologia quale la depressione; b) è pienamente informato dello stato della sua malattia, delle prospettive di evoluzione, degli effetti prevedibili delle cure proposte e di quelli derivanti dalla mancanza delle cure; c) "sente" sul proprio corpo gli effetti della malattia; d) percepisce che la sua decisione di rifiutare le cure lo porterà a morte; e) è pienamente libero da ogni condizionamento esterno della sua volontà.
Circa quest'ultimo punto, si può forse ritenere che la drammaticità della decisione - "se rifiuto le cure morirò entro poco tempo" - in qualche misura (ma non del tutto) possa aiutare una decisione libera: di fronte all'alternativa tra la vita e la morte si dovrebbero mettere da parte i timori relativi ai rapporti con altre persone; ma questa osservazione, ovviamente, vale solo se la persona è matura, consapevole, non depressa, non dipendente da altri.

Il testamento biologico non rispetta nessuno dei requisiti che abbiamo appena detto.
Quanto alla piena capacità di intendere e di volere della persona che lo redige, Veronesi non ne fa alcun cenno: prevede solo che l'atto sia datato e sottoscritto e propone, come alternativa non vincolante, la redazione davanti ad un avvocato o ad un notaio (modalità che, di per sé, non garantisce affatto una piena capacità); ma anche il progetto del senatore Ignazio Marino non si occupa per niente del problema: tralascia il ricorso ad un avvocato o ad un notaio e si limita a richiedere che l'atto sia "scritto per intero, datato e sottoscritto dal soggetto interessato", precisando che "la data deve contenere l'indicazione del giorno, mese ed anno". Che dire, poi, del progetto (di stampo radicale) della senatrice Poretti? Esso prevede che la dichiarazione anticipata di trattamento possa essere redatta da "ogni persona capace e maggiore di 14 anni", quindi anche da ragazzi adolescenti, limitandosi a pretendere la presenza di due testimoni ...

Non solo, quindi, è del tutto tralasciata la tematica di atti redatti da soggetti incapaci (eppure il codice civile, articolo 591, prevede l'impugnazione di testamenti redatti dai soggetti - anche non interdetti - che erano incapaci di intendere e di volere al momento in cui espressero le volontà testamentarie), ma è omessa del tutto la questione delle condizioni psicologiche - ad esempio: depressione - presenti nel momento in cui le dichiarazioni anticipate di trattamento furono stilate.

Quanto alla effettiva informazione in ordine alla malattia, alle sue conseguenze e a quelle del rifiuto della terapia, manca del tutto: non solo dal punto di vista strettamente intellettuale (non è previsto, fra l'altro, alcun colloquio con un medico: ma è la relazione medico-paziente che pone le basi del consenso informato!), ma soprattutto da quello della effettiva percezione del proprio stato. Riguardiamo il modulo preparato da Umberto Veronesi:

e comprenderemo che la comprensione della situazione futura ed eventuale che viene sollecitata nei confronti di chi dovrebbe firmare l'atto è del tutto superficiale: è un'ipotesi vaga, descritta non scientificamente ("malattia che costringe ...", "sistemi artificiali che impediscono una normale vita di relazione") e molto, molto lontana.
Insomma: è facile firmare un atto di questo genere, perché non si sente sulla propria carne la decisione e l'evento è considerato altamente improbabile.
L'ultima questione - che è davvero preoccupante - è quella della effettiva libertà nel redigere il testamento biologico: la affronteremo nel prossimo post.
Giacomo Rocchi

martedì 2 dicembre 2008

Il "mondo reale" di Carlo Flamigni

Carlo Flamigni:
«Penso sia un diritto umano pianificare la propria famiglia in modo sereno. In un mondo ideale, con una sessualità sempre informata e responsabile, l'interruzione volontaria di gravidanza sarebbe destinata a finire nei libri di storia. Ma in quello reale, in cui le donne sono sottoposte a un'incredibile quantità di violenze, penso che sia inevitabile garantire il diritto all'Ivg ... L'interruzione volontaria di gravidanza è uno strumento per garantire che non ci siano gravidanze indesiderate. Oggi serve a sanare violenze ed errori. Certo, se le madri educassero meglio i propri figli, se gli insegnanti educassero meglio gli alunni, se i medici parlassero ai pazienti di una sessualità libera ma responsabile, l'aborto non servirebbe più. Ma siamo nel mondo reale».

Per farci entrare nella realtà, Flamigni in primo luogo nasconde il bambino; in secondo luogo distribuisce responsabilità a tutti - madri, insegnanti, medici, uomini che usano violenza - ma non alle donne che abortiscono (eterne minorenni ...); infine mostra di credere (e forse - questo sarebbe davvero pazzesco! - ci crede davvero!) che gli aborti riparino solo violenze sessuali e malfunzionamento dei contraccettivi!

Ecco il rimedio: sessualità responsabile - ma, mi raccomando, sempre libera, non siamo mica dei puritani!
Ecco i diritti umani: non il diritto alla vita dei bambini, ma il diritto alla sessualità libera e alla serena (per chi?) pianificazione della famiglia.

Questo sarebbe un luminare ...
Giacomo Rocchi

domenica 30 novembre 2008

Obama, la morte, Hitler, prepariamoci al peggio.

Il peggio deve ancora arrivare, prepariamoci all'ideologia contro alla vita dei nostri giorni.
Obama neoeletto presidente USA è al 100% contro la vita. Attenzione perché il Nazismo è solo un pallido riflesso di morte rispetto a quello che verrà, (e che già avviene nei confronti dei più deboli).
Tra le altre cose Obama vuole finanziare e liberalizzare l'aborto fino al 9 mese. Vuole ripristinare il partial birth abortion, aborto (effettuato gli ultimi mesi) dove si tira fuori il corpo del bimbo dalla madre per lasciare la testa ancora nell'utero e vuotarla con una siringa dopo aver spappolato il cervello. Obama ha già votato e voterà per togliere i finanziamenti per le cure dei sopravissuti dall'aborto (ebbene sì qualcuno addirittura sopravvive), c'è l'odio per chi sopravvive. Queste solo alcune iniziative di un periodo nero per la verità e per la Vita.
Guarda il video

venerdì 28 novembre 2008

Testamento biologico e autodeterminazione


I fautori del testamento biologico - o delle Dichiarazioni anticipate di trattamento - propongono un ragionamento apparentemente lineare: se il malato ha il diritto di rifiutare le cure e anche di rifiutare la nutrizione o idratazione, fino a lasciarsi morire, la volontà della persona espressa in precedenza deve poter valere nel caso in cui il soggetto si trovasse, in futuro, in una condizione di incapacità di esprimere le proprie volontà; il testamento, quindi, sarebbe lo strumento per rendere esercitabile sempre il diritto di ciascuno di rifiutare terapie e cure nel caso in cui ritenga la propria condizione contraria alla dignità personale.
La questione è davvero così semplice?

Il diritto a rifiutare terapie e nutrizione presuppone alcune condizioni. In primo luogo non lo può esercitare chi non è pienamente capace di intendere e di volere: non a caso esiste l'istituto del Trattamento sanitario obbligatorio con il quale determinate terapie vengono irrogate coattivamente a soggetti che le rifiutano.
Il problema della piena capacità di comprendere e di decidere adeguatamente, in realtà, è molto più ampio rispetto alle ipotesi dei malati di mente o con turbe di tipo psichiatrico: nel caso di malati gravi e inguaribili, infatti, ha influenza decisiva per la richiesta di non essere curati la depressione, intesa nel senso di vera e propria patologia: uno studio olandese pubblicato nel 2005 e relativo alle condizioni dei malati che chiedevano l'eutanasia ha dimostrato che, tra i pazienti depressi, il 44% aveva chiesto l'eutanasia, mentre la percentuale dei non depressi che aveva avanzato la richiesta si fermava al 15%; quindi un rischio 4,1 volte maggiore (già uno studio russo aveva riportato analoghi risultati).

Rispetto ad un paziente che chiede di non essere più curato ma che presenta una sindrome di stato depressivo, il medico non potrà evidentemente dare corso alla richiesta, ma dovrà (dovrebbe ...) dapprima tentare di curare la depressione: ma i medici sono adeguatamente preparati ad affrontare questi stati dei loro malati? E le decisioni dei medici dipendono anche dalle convinzioni personali in ordine all'eutanasia? Un altro studio dimostra che le richieste di eutanasia provenivano in maggiore misura dai pazienti di medici che erano favorevoli all'eutanasia ...

Solo un paziente pienamente capace al momento della decisione di rifiutare terapie salvavita può esprimere una volontà pienamente informata: può, infatti, comprendere quale è la condizione attuale in cui si trova - il dolore, le disabilità - e misurare la sua capacità di affrontarla; può ricevere e capire le spiegazioni del medico sulle prospettive future, sia nel caso di erogazione della terapia, sia nel caso opposto; può quindi pienamente comprendere il percorso verso la morte che dovrà affrontare a partire dal momento del rifiuto.
Alla luce di questa piena comprensione - sia intellettiva, sia basata su quanto già il malato sente nel suo corpo - la decisione di rifiutare la cura - quindi la decisione di andare verso la morte - diventerà possibile ma, insieme, verrà vissuta nella sua portata piena: se non mi curo adesso, morirò entro un breve lasso di tempo ... quanti di noi saremmo in grado di prendere una decisione di questo tipo?

Questo non basta ancora per ritenere che una eventuale decisione di rifiutare una terapia salvavita adottata da un malato pienamente capace di intendere, di comprendere e pienamente informato sia in ogni caso libera, sia quindi davvero frutto dell'autodeterminazione del soggetto: il malato, infatti, potrebbe essere costretto a rifiutare le cure o, molto più banalmente, indotto al rifiuto da coloro che lo circondano; non è davvero un caso che, nello stesso studio già ricordato, i due fattori che inducevano i pazienti a chiedere la morte, oltre alla depressione, erano stati individuati nella maggiore percezione di essere divenuto un peso per gli altri e in una minore coesione familiare. Detto in parole brutali: nessun malato grave chiede di morire se ha intorno a sé una famiglia unita che non lo fa sentire un peso e un ostacolo.

La vera autodeterminazione richiede questi presupposti e questa vera libertà. Ma i fautori del testamento biologico o delle dichiarazioni anticipate di trattamento cosa prevedono per garantire la stessa autodeterminazione?

sabato 22 novembre 2008

Il grande stratega

Domenico Delle Foglie, Portavoce di Scienza e Vita:


"Una legge si impone. Ma quale legge? ... Di sicuro non una legge qualunque, perché dopo trent’anni di 194, nessuna disciplina che affronti questioni eticamente sensibili, può essere costruita a cuor leggero. Anzi, dev’essere accompagnata da un formidabile dibattito pubblico. (...)
Ma proprio la “lezione” della Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, quel suo sano trasversalismo che ha portato alla riduzione del danno, ci impone una scelta di campo.
Qualcuno provocatoriamente ha chiesto: vogliamo costruire una “nuova” Legge 40 o una “vecchia” Legge 194? Noi non abbiamo dubbi che si debba tentare di ricostruire in Parlamento il clima propositivo e costruttivo che ha portato all’approvazione della Legge 40."
Voilà: ecco servite le parole d'ordine: prima fra tutte la riduzione del danno: il danno ormai è fatto, bisogna cercare di correre ai ripari, non si può avere una legge giusta, ma, al limite una legge imperfetta ... e poi la contrapposizione tra legge 194 sull'aborto e legge 40 sulla fecondazione artificiale fondata soprattutto sul diverso clima ... Leggiamo ancora:
" ... noi non vogliamo rieditare una “vecchia” Legge 194, con le sue trappole, a partire dalla concessione dell’obiezione di coscienza ai medici che non volessero mettere in atto le disposizioni pronunciate dai soggetti (prima o dopo la malattia è ancora tutto da assodare).
Tanto poi lo Stato deve garantire che qualcuno si faccia carico di “aiutare a morire” chi lo dovesse chiedere. E’ appena il caso di dire che questa si chiama eutanasia, come in tanti hanno denunciato dopo la sentenza della Cassazione.
Coltiviamo una certezza: non possiamo consentire a quei settori ciecamente libertari e consapevolmente illiberali (...) che vogliono chiudere il cerchio: dalla Legge 194 a quella sul testamento biologico. Se dovesse vincere il “partito” dell’autodeterminazione assoluta, quello cioè che non rispetta il soggetto nella sua dimensione “relazionale” – e cioè umana – allora il gioco sarà fatto. L’individuo, in solitudine, solo con se stesso, prima eliminerà la vita nascente e poi eliminerà, anticipandone l’esito, la vita più fragile che si avvia al tramonto. La chiamerebbero vittoria della libertà. Non possiamo assecondare questo furto della vita e della speranza. Costruiamo, piuttosto, una legge sul “fine vita”. Con chi la vita la ama e la vuole tutelare. Sempre. Anche e soprattutto quando è al suo massimo grado di fragilità."
Qualche domanda impertinente: a) in cosa differiscono la legge 194 e la legge 40? Forse che una è una legge ingiusta e una una legge giusta? Delle Foglie si guarda bene dal dire l'una o l'altra cosa ... b) ma la "trappola" dell'obiezione di coscienza non l'avevano messa anche nella legge 40 (articolo 16)? E come mai? c) il clima costruttivo che ha portato all'approvazione della legge 40 teneva conto della costruzione e della distruzione di decine di migliaia di embrioni ogni anno e del congelamento - autorizzato dalla legge - di diverse centinaia all'anno (ormai sono migliaia)?

E soprattutto: quale legge suggerisce di approvare Delle Foglie?

A questa domanda mi permetto di proporre una risposta: qualunque legge che permetta una autodeterminazione relativa (non assoluta ...) purché approvata in un clima costruttivo; così che Delle Foglie possa dire: abbiamo vinto! Insomma una legge che consente dichiarazioni anticipate che permettono la cessazione delle terapie (non però di nutrizione o idratazione ...); e che per di più non permetta l'obiezione di coscienza ai medici!

Delle Foglie sta volontariamente mettendo la testa sotto la ghigliottina ... ma la testa di chi?

Giacomo Rocchi

giovedì 20 novembre 2008

Caso Englaro: LICENZA DI UCCIDERE - Verità e Vita mette in guardia dall’ambiguo concetto di “Fine vita”

Dal Comitato Verità e Vita CS 57

L’eversiva sentenza della magistratura italiana, blindata addirittura dal nulla osta delle Sezioni riunite della Cassazione, prima che una condanna a morte è una ancor più tragica “licenza di uccidere”. Al cittadino Englaro la decisione se fare o no quello che lo Stato gli consente.
Ancora non ha eseguito o fatto eseguire il gesto omicida. E noi fortemente speriamo che ci ripensi.
Ma se sciaguratamente dovesse farlo, questa decisione omicida non sarà nella sostanza diversa dai milioni di decisioni omicide –anche queste consentite e finanziate dallo Stato– prese da padri, madri e medici in materia di aborto; nonché da quelle di genitori e medici che –nelle tecniche di fecondazione artificiale omologhe o eterologhe - obbligano i poveri figli concepiti in provetta ad un “percorso di guerra” che nove volte su dieci li uccide. Di questo, purtroppo, da troppo tempo si tace, favorendo il clima per una sentenza come quella sul caso-Englaro.
Come era facile prevedere –e chi l’ha fatto ha suscitato le solite “prese di distanza” di certi paladini del “politicamente corretto” e del “male minore”– la legalizzazione prossima ventura della eutanasia si materializzerà con la ben nota trappola dell’antilingua. L’importante è non chiamare le cose con il loro nome. In questo caso, la nuova espressione, che sembra già godere di quell’ampio consenso autorevolmente auspicato per la sua traduzione in legge, è “Fine Vita”.
Per l’aborto, che è l’uccisione “volontaria” del figlio concepito, si coniò la formula “Interruzione volontaria della gravidanza”, tradotta nell’asettico acronimo “IVG”. Il diritto della donna si chiama “autodeterminazione”, e la vittima è un essere umano fra il concepimento e la nascita, impossibilitato ad autodeterminarsi. Adesso, con il “fine vita” e la c.d. autodeterminazione delle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento), si delega qualcuno a uccidere colui che –qui e ora- non può esprimersi.
In questo modo –a prescindere da certe buone intenzioni– una legge sul “fine vita” sdoganerà una nuova categoria giuridica: quella delle persone che si trovano in una condizione umana intermedia tra vita e morte.
Recependo nell’ordinamento proprio quel concetto culturale di “zona grigia” elaborata da qualche sedicente cattolico in cerca di facili consensi mondani.
Per questi motivi, Verità e Vita conferma il proprio deciso dissenso dalla linea politica di sostegno ad una legge comunque ispirata al c.d. “fine vita”, che nella migliore delle ipotesi funzionerà come “scivolo” al decollo dell’eutanasia legale. Che implica quel diritto di uccidere che, almeno per i cittadini già nati, la legge vigente oggi rifiuta, anche a livello della Costituzione.
Come abbiamo già scritto più volte, delle due l’una: o la volontà del paziente, espressa prima di cadere nell’incoscienza, non è vincolante per il medico. E in questo caso non serve alcuna legge. O la volontà del paziente è vincolante per il medico, e questo apre all’eutanasia. Una legge che cerchi di collocarsi in mezzo a questo spartiacque è solo una colossale trappola della cultura della morte, nella quale Verità e Vita non vuole cadere.
Il “fine vita” non esiste. Esistono la vita e la morte. Al contrario, il “non ancora” dell’ ivg e l’ “ormai” del “fine vita” non sono che il marchio del potere dell’uomo sulla vita dell’altro.
Noi di Verità e Vita sosteniamo che l’unico modo sincero e corretto di esprimere l’ambito della misteriosa dignità, anche corporea, dell’uomo nel tempo è: “dal concepimento alla morte naturale”. Parole chiare, distinte e univoche. Parole pro-life.




mercoledì 19 novembre 2008

Autodeterminazione?



Il precedente post si concludeva con una domanda: "Siamo proprio sicuri che chi propone il testamento biologico ha davvero l'autodeterminazione come unico punto di riferimento?".


Torniamo agli esempi fatti: Eluana Englaro (quindi persone in condizione di stato vegetativo persistente), aborto procurato ed eutanasia di neonati prematuri; per tutti vengono addotte motivazioni che apparentemente non intaccano il principio del rispetto della dignità del soggetto ucciso e non negano - in linea di principio - il suo diritto alla vita: nel caso Englaro si richiama la volontà del soggetto di cui il tutore si sarebbe fatto voce; nell'aborto volontario ci si appella alla prevalenza del diritto alla salute della madre sul diritto alla vita del figlio (sentenza n. 27/75 della Corte Costituzionale); nel caso dei neonati prematuri si fa riferimento ad una presunta inutilità degli sforzi di rianimazione nel caso di nascita ampiamente pretermine, sforzi che, quindi, rischierebbero di trasformarsi in una pratica crudele sugli stessi bambini.



In realtà, accanto a queste motivazioni "ufficiali" esistono correnti di pensiero - che si fanno sentire sempre più forte - che giustificano gli stessi atti uccisivi negando radicalmente ogni diritto e ogni dignità alle vittime: per tutte - bambini prima della nascita, neonati prematuri, pazienti in SVP - si contesta l'essere gli stessi "persone", introducendo una categoria - quella degli esseri umani viventi non ancora o non più persone - per la quale non sarebbero applicabili le dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo, la Costituzione italiana, le norme del codice penale e così via.


Ecco che l'aborto non può che essere consentito, in questa ottica, in qualunque fase della gravidanza e per mera volontà - che non richiede motivazioni - della madre; ecco che, nel caso di neonati prematuri a rischio di disabilità (ma, per qualcuno, coerente fino in fondo: per tutti i neonati fino al trentesimo giorno di vita ...) la decisione di uccidere (mediante omessa rianimazione) può dipendere da una decisione dei genitori (che quindi possono valutare se se la sentono di accudire un figlio disabile per molti anni); ecco che uguale diritto di decidere viene riconosciuta ai parenti nel caso di pazienti in SVP.
Non perderemo certo tempo a confutare queste tesi, di solito basate sul principio di autocoscienza: chi non ce l'ha, non è persona ... sono un semplice paravento per nascondere la legge del più forte, che deve poter decidere sulla sorte del più debole senza essere in alcun modo limitato nei propri desideri e istinti; interessa di più notare che, in realtà, queste tesi "estreme" portano, in sostanza, agli stessi risultati delle motivazioni "ufficiali", nobili.

Grande scandalo ha destato l'intervento a Firenze qualche giorno fa di un "neonatologo" (sic!) che ha detto a chiare lettere che, secondo lui, i neonati non sono persone: ma gli stessi benpensanti da tempo sostengono la necessità di far morire i neonati troppo prematuri nel caso il rischio di disabilità sia troppo alto o le probabilità di successo delle pratiche di rianimazione troppo basse; il tutto semplicemente sulla base della settimana di gestazione in cui è avvenuto il parto e non curando ciascun bambino per come è.
Quanto all'aborto: il richiamo della Corte Costituzionale al bilanciamento degli interessi tra madre e figlio non ha impedito l'approvazione di una legge che rende assolutamente libero l'aborto procurato, disinteressandosi delle motivazioni addotte dalla donna e, anzi, valorizzando quelle eugenetiche: ma il primo passo non l'aveva forse fatto la stessa Corte Costituzionale quando (ingenuamente?) aveva definito l'embrione come colui "che persona deve ancora diventare"?

E quanto ai pazienti in stato vegetativo persistente? Che pensare quando - en passant - il "grande scienziato" Veronesi definisce il loro stato "uno stato intermedio tra la vita e la morte", "una condizione di vita artificiale" o "il limbo della vita artificiale"? Quando cioè - implicitamente - non considera questi pazienti vivi, ma vivi artificialmente, quasi morti? Del resto il senatore Marino, autore della principale proposta di legge in discussione, accenna positivamente al fatto che in altri paesi è "prassi comune nelle strutture sanitarie ... interrompere le terapie quando non esiste una ragionevole speranza di riportare il paziente ad una condizione di vita accettabile": esistono quindi una vita accettabile e una vita non accettabile...

Il sospetto che - in fondo - ai fautori del testamento biologico il rispetto dell'autodeterminazione del paziente non interessi, poi, granché, si rafforza: perché dovrebbe davvero contare la volontà di chi, al momento di decidere sulla sua soppressione, non è in una condizione di pieno possesso dei suoi diritti?

Giacomo Rocchi



domenica 16 novembre 2008

Verso l'eutanasia/L'autodeterminazione

Stiamo andando verso la legalizzazione dell'eutanasia, sembra evidente.

Il coro unanime secondo cui "è necessaria una legge!" che si è alzato ancora più forte dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione è composto in realtà di tante voci che - in prima battuta - è sorprendente siano concordi: ma, come già si intravede, parte di quelle voci - quelle di chi vuole ottenere la legalizzazione dell'eutanasia - hanno ben chiaro quale legge deve essere approvata; mentre altre - quelle che si richiamano alla difesa della vita e della dignità di ogni uomo - sono deboli, timide, con poche idee ma confuse ...

L'esito del lavoro parlamentare che sta avviandosi già si intravede: un compromesso che, in realtà, sarà più che sufficiente ai cultori della morte legalizzata per raggiungere il risultato sperato, mentre farà gridare al successo anche gli altri, sicuri di avere piantato "paletti" insuperabili e soddisfatti di non avere subito una sconfitta sonora.

Perché questo conta, no? Non prenderle e cercare di tirare avanti ...

Che fare? Non si può che riflettere e parlare chiaramente, dire tutta e soltanto la verità.

Partiamo allora dalla parola d'ordine: autodeterminazione; quella che, secondo le sentenze che hanno condannato a morte Eluana Englaro, giustificano la condotta del padre, "voce" della figlia interdetta, quella di cui si riempiono la bocca coloro che propongono il testamento biologico.

Così Veronesi, nella relazione al suo progetto di legge: "Noi pensiamo che nessuno debba decidere per noi. Ognuno ha il diritto di autodeterminazione e di esprimere cosa vuol fare della propria esistenza nel caso si trovasse nelle condizioni che lo privano della capacità di esprimersi. Ognuno dovrebbe essere libero di scegliere ... il principio dell'autodeterminazione è l'unico che garantisce il rispetto della globalità della persona, del corpo, della mente e della loro armonia, anche quando questa armonia si spezza e ci si trova nella condizione di massima debolezza".

Si fa passare, quindi, l'idea che la morte procurata è legittima - anzi: doverosa! - se ciò corrisponde alla volontà dell'interessato, volontà espressa in piena libertà.

Si vedrà in seguito quanto sia fittizia l'autodeterminazione invocata da Veronesi: ma fin da subito ci chiediamo: Eluana Englaro ha chiesto di essere uccisa? La risposta è indubitabilmente: no, ma molti esultano fingendo che ciò sia avvenuto.
Le altre migliaia di pazienti in stato vegetativo persistente per i quali molti chiedono una "soluzione", hanno forse chiesto di essere uccisi? No, ma la soluzione deve essere trovata lo stesso!
I quasi cinque milioni di bambini abortiti legalmente in questi trent'anni, anche (non solo) per considerazioni strettamente eugenetiche, hanno forse chiesto di essere uccisi? No, ma l'aborto è stato compiuto ugualmente.
E i neonati estremamente prematuri, quelli che possono sopravvivere grazie al progresso delle tecniche di rianimazione, ma che rischiano di riportare disabilità: molti (anche una commissione ministeriale!) suggeriscono di non rianimarli, o di lasciare la decisione ai loro genitori; chiedono forse di non essere aiutati a sopravvivere? No, ma (come già si fa altrove) siamo già pronti a lasciar perdere ...

Siamo circondati da uccisioni che non sono affatto frutto di autodeterminazione, ma che sono decise da altri - spesso medici; e se allarghiamo lo sguardo al mondo intero vediamo che il tutto avanza inesorabilmente, verso l'uccisione non richiesta degli adulti disabili.
Siamo proprio sicuri che chi propone il testamento biologico ha davvero l'autodeterminazione come unico punto di riferimento?

Giacomo Rocchi

venerdì 14 novembre 2008

Una giornata di lutto per la magistratura italiana

L'assegnazione del ricorso della Procura Generale di Milano contro la decisione della Corte d'Appello che autorizzava l'interruzione della nutrizione e idratazione per Eluana Englaro alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione era un'opportunità: veniva scelto per la decisione un giudice "superiore" a quello che aveva accolto il ricorso di Beppino Englaro, un giudice che avrebbe avuto l'autorità morale e giuridica di annullare quel provvedimento e riportare la giustizia italiana sulla strada del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, primo fra tutti il diritto alla vita.

Certo: occorreva coraggio, per andare contro al conformismo imperante che, attorno al padre di Eluana, ne invocava la morte; era necessario uno strappo procedurale, per tornare a valutare il merito della vicenda e non solo il tema dell'ammissibilità o meno del ricorso.
Vi sarebbe stato un Giudice che avrebbe affermato: "non possiamo condannare a morte una giovane donna innocente?"
Non c'era.

Vi erano piuttosto giudici che discettavano sulla possibilità per il Pubblico Ministero di proporre impugnazione: e osservavano che la questione della morte procurata di Eluana non è una questione di "status e di capacità delle persone" (lo ha sostenuto la difesa di Beppino Englaro, sostenendo, in pratica, che se si trattava di interdire la figlia - come era avvenuto in precedenza - il P.M. avrebbe potuto dire la sua, ma se si trattava di ucciderla no ...) e che comunque - suprema distinzione! - il Pubblico Ministero avrebbe potuto intervenire in giudizio ma non impugnare la sentenza! La questione della morte procurata di una disabile non è di interesse pubblico, riguarda solo le persone coinvolte!



L'ultima parola è stata detta, la procedura è stata rispettata, le carte sono in ordine.




Ora Eluana può essere uccisa.

Giacomo Rocchi

venerdì 17 ottobre 2008

fecondazione in vitro, aborto, eutanasia


Concludiamo la riflessione sulle dichiarazione della baronessa Mary Warnock: la conoscevamo alla guida della Commissione che inventò il pre-embrione, l'abbiamo ritrovata, quasi trent'anni dopo, a spargere perle di saggezza sull'aborto, sul dovere di rianimazione dei neonati prematuri, sul dovere di farsi da parte per i malati incurabili.
E' forse un caso che la nobildonna si occupi di questioni apparentemente così lontane? Hanno una relazione le prese di posizione della Warnock nei diversi campi?
La nostra autrice non si è certo dimenticata la decisione del 1984: quasi un'excusatio non petita, ne parla per rassicurare (o rassicurarsi?) sugli effetti di quel Rapporto. La Warnock affronta il tema del "pendio scivoloso", la tesi che fa discendere da una decisione sbagliata conseguenze sempre peggiori:
"Il problema dell’argomentazione risiede nella parola “inevitabilmente”: non c’è alcuna connessione logica che conduce da x a y o z.
Nel caso dell’utilizzo degli embrioni umani nei primi giorni di vita per scopi sperimentali – pratica su cui i sostenitori della teoria del “pendio scivoloso” hanno spazio nell’evocare mostri alla Frankenstein portati alla nascita in laboratorio – permettendo agli scienziati di tenere un embrione vivo nel laboratorio per 14 giorni non implica logicamente che essi lo terranno vivo per un periodo superiore. Tenere un embrione vivo in laboratorio per un periodo più lungo di 14 giorni dalla fertilizzazione è stato previsto essere un reato: e nessuno che lavora nel campo del’embriologia vorrebbe incorrere in una sentenza che lo condanna alla reclusione. La sua carriera sarebbe finita".

Come si vede l'Autrice costruisce per i propri scopi una tesi contrastante con la propria, per ridicolizzarla: nessun pericolo di creazione di mostri!

Ma è la stessa Warnock ad essere, come si è visto nei precedenti post, la dimostrazione vivente delle conseguenze sempre peggiori di quella decisione - come si è visto, del tutto antiscientifica, adottata solo per interessi "superiori" - che sembrava potesse avere un riflesso solo su una tecnica - la fecondazione in vitro - che allora muoveva i primi passi.

Abbiamo visto come ella rifiuti di prendere atto dei progressi scientifici che permettono la rianimazione dei neonati estremamente prematuri, così da non limitare nemmeno di due settimane il termine per eseguire gli aborti; quanto ai neonati prematuri, con gravi rischi di disabilità, ella affermava già nel 2004:
"Può darsi che il discorso si riduca a questo: “Va bene, possono rimanere vivi, ma la famiglia dovrà pagare per questo”. Altrimenti vi sarebbe un terribile salasso sulle risorse pubbliche";
e inevitabilmente, come si è visto nei primi post, la Warnock ha rivolto la sua attenzione verso i sofferenti e i dementi: e non è certo una sorpresa - dopo avere visto le precedenti posizioni - che ella ipotizzi un dovere di morire (da attuarsi, se del caso, con un bel testamento biologico).

Quando c'è da scegliere tra la vita e la morte di un essere umano, la baronessa Warnock - che ha influenzato il dibattito bioetico in questi trent'anni in Gran Bretagna - ha una sola risposta: la morte!
La vita di un uomo non vale mai quanto altri interessi superiori: la "pubblica ansietà", la ricerca scientifica, le risorse pubbliche (!).

Coerentemente, dopo avere fatto e suggerito tutte le scelte sbagliate che si presentavano, ella affronta la sua posizione:
"Se andassi in una casa di riposo, sarebbe un terribile spreco di denaro che la mia famiglia potrebbe usare molto meglio".

Giacomo Rocchi






mercoledì 15 ottobre 2008

All'inizio era il pre-embrione

1978: nasceva la prima bambina concepita in vitro.
1984: il Comitato Warnock, presieduto dalla baronessa Warnock che abbiamo già conosciuto, si pronunciò in ordine alla possibilità di ricerca sugli embrioni umani.

La risposta giunse dopo due passaggi: nel primo il Comitato negava la possibilità di distinguere gli embrioni in base al loro sviluppo:
"... una volta che il processo dello sviluppo è iniziato, non c'è stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro; tutti sono parte di un processo continuo, e se ciascuno non si realizza normalmente nel tempo giusto e nella sequenza esatta lo sviluppo ulteriore cessa. Perciò da un punto di vista biologico non si può identificare un singolo stadio nello sviluppo dell'embrione, prima del quale l'embrione in vitro non sia da mantenere in vita".

La risposta - che pareva ovvia - era quindi che non si potesse effettuare ricerche sugli embrioni.
Ma il Comitato si pronunciò nel senso opposto:
"Tuttavia si è convenuto che questa era un'area nella quale si doveva prendere una precisa decisione al fine di tranquillizzare la pubblica ansietà. Nonostante la nostra divisione su questo punto, la maggioranza (16 su 23) di noi raccomanda che la legislazione dovrebbe disporre che la ricerca possa essere condotta su ogni embrione risultante dalla fertilizzazione in vitro, qualunque ne sia la provenienza, fino al termine del quattordicesimo giorno dalla fecondazione, ma soggetta a tutte le altre restrizioni imposte dal Comitato di autorizzazione".

Si abbandonava, quindi, la certezza scientifica e per motivi utilitaristici si discriminavano gli embrioni sulla base di un criterio arbitrario: si affermava che gli embrioni erano esseri umani che meritavano ogni rispetto, ma si fingeva che non lo fossero.

A distanza di trent'anni la Baronessa Warnock non ha smesso di discriminare gli uomini nella stessa maniera. Nell'affrontare il tema dell'aborto tardivo - anche in Gran Bretagna si discute se fissare alla 22a settimana di gravidanza - anziché alla 24a settimana - il termine ultimo per cui l'aborto è permesso, in ragione della aumentate possibilità di sopravvivenza, ella argomenta:
"ciò che ora è un aborto legale verrebbe considerato un parto indotto seguito dall’infanticidio.
In prima battuta, sembra un cambiamento benigno e diretto a salvare vite. I bambini nati così prematuramente devono essere sottoposti a cure intensive e, se sopravviveranno, molto probabilmente in larga misura avranno danni cerebrali. I genitori e gli specialisti, nella maggior parte dei casi, dedicano loro stessi a mantenerli in vita, se è possibile. Medici e infermieri hanno sempre odiato eseguire aborti tardivi e il pensiero che il feto abortito possa sopravvivere deve rendere l’aborto ancora più odioso".

Scatta, però, una domanda terribile: "Ma la scelta politica di salvare queste vite risponde all’interesse pubblico? Si tratta di una questione cui i legislatori devono porsi".
La difesa della vita di un uomo non è più considerata - di per sé - rispondente all'interesse pubblico, ma è subordinata ad un altro interesse, che viene considerato superiore.

Vista questa impostazione, già si intuisce che si tratta di una domanda retorica, che introduce ad una risposta negativa: non è nell'interesse pubblico salvare la vita a bambini prematuri a rischio di sopravvivenza e che potranno avere danni cerebrali.


Ma la Warnock, per giungere a questo risultato, passa ancora attraverso una finzione normativa, analoga a quella adottata per gli embrioni:
"Se siamo d’accordo a ritenere che l’aborto dopo le 22 settimane debba essere considerato un infanticidio, la risposta sarà “si”. E’ nel pubblico interesse prevenire l’uccisione dei bambini. Una società che la permettesse sarebbe semplicemente inumana e incivile, non una società in cui vorremmo vivere. Dopo tutto, spesso ci siamo detti che la civilizzazione di una società deve essere giudicata da quanto essa si prende cura dei suoi membri più vulnerabili e pochi potrebbero essere più vulnerabili dei neonati prematuri.
Ma, naturalmente, se la legge viene cambiata, essi non saranno bambini prematuri"

Basta un numero cambiato nella legge (da 24 a 22 settimane) ed ecco: la soluzione è trovata!

Giacomo Rocchi

venerdì 10 ottobre 2008

La terza via



In un precedente post abbiamo commentato uno scritto di Leonardo De Chirico sull'aborto.

Vediamo allora come l'illustre bioeticista imposta la questione dello statuto dell'embrione.

Dapprima De Chirico critica due impostazioni contrapposte:
"(L'etica cattolica) sostiene a gran voce una posizione di tipo ‘sostanzialista’, mentre l'etica laica difende generalmente una concezione di tipo ‘funzionalista’. (...) Se il sostanzialismo postula un rigido quadro metafisico e non tiene conto della dimensione dinamica dello sviluppo dell’embrione, né dei diversi contesti in cui esso può trovarsi (utero, laboratorio, in celle frigorifere, ecc.), il funzionalismo eleva criteri del tutto soggettivi a elementi determinanti la dignità della vita umana in formazione".

Si tratta di "due posizioni che, per quanto individuino aspetti importanti da tenere presenti, li estremizzano in chiave ontologica o gradualista".

Si può essere estremisti? Assolutamente no!

Occorre trovare una terza via: ecco lo snodo dell'argomentazione di De Chirico:
"L’essere umano non è solo un dato biologico-ontologico, né semplicemente un divenire funzionale. È anche questo, ma ci si deve interrogare se non sia l’elemento relazionale a collegare lo status e la storia dell’uomo, il suo essere e divenire".

Si parla, si noti bene, non solo dell'embrione, ma dell'uomo in sé; e infatti si ribadisce:
"Egli (l'essere umano) è tale in quanto non possiede proprietà ontologiche o svolge funzioni complesse, ma in quanto intrattiene relazioni significative e coinvolgenti con sé, con gli altri, con il mondo, ecc."

Quindi l'essere umano che non intrattiene relazioni significative e coinvolgenti ... non è un essere umano!
Come mai nessuno ci aveva mai pensato prima? Perché i padri costituenti, gli autori delle dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo non hanno provveduto a distinguere tra i diritti degli uomini e i diritti degli uomini che non intrattengono relazioni significative e coinvolgenti ...

Per fortuna ci sono certi bioeticisti che dimostrano l'utilità di questa definizione dell'essere umano: applicata agli embrioni "innanzi tutto, permette di considerare legittima la ricerca sugli embrioni prima dell’impianto, fatta salva la cautela scientifica e la prudenza morale di tale pratica".

Non basta: "In secondo luogo, lo statuto relazionale dell’embrione impedisce di considerare gli embrioni soprannumerari come essere umani dal momento che si trovano in un contesto extra-uterino, privi di progetto vitale e senza alcuna possibilità di sviluppare relazioni. Di qui, la loro eliminazione non rappresenta un problema morale insormontabile."

Vedete come è facile? In questo modo possiamo tranquillamente produrre tutti gli embrioni che ci servono per la ricerca, utilizzarli per la ricerca (mi raccomando: con cautela scientifica e prudenza morale!) e, quando non servono, eliminarli.

L'embrione sembra più protetto se la gravidanza è iniziata: "Dopo l’annidamento, invece, l’embrione deve essere tutelato come se si trattasse di un essere umano ancora in formazione, ma dotato della capacità fondamentale di stabilire delle relazioni antropologicamente significative": si noti che il De Chirico propone una finzione: l'embrione è quasi un essere umano ...
Ma su come lo studioso intende la tutela del bambino in gravidanza, rimando al precedente post.

De Chirico è soddisfatto: l'approccio relazionale "individua un criterio scientificamente non arbitrario ed antropologicamente plausibile per riconoscere responsabilmente la sua identità ...

Giacomo Rocchi

giovedì 9 ottobre 2008

A cosa serve il testamento biologico?


Abbiamo visto come alla baronessa Warnock interessi molto di più la possibilità di morire delle persone "inutili", dementi (concetto che comprende ovviamente non solo i pazzi, ma anche i soggetti in stato vegetativo), piuttosto che il diritto al suicidio delle persone colpite da sofferenze insopportabili; anche queste, in realtà, producono sprechi di denaro pubblico e danno sofferenze alla loro famiglia.

Ma, come si è detto, se le persone sono inutili, per esse non basta il diritto a morire: è necessario affermare un loro dovere di farsi da parte.

La Warnock completa il suo ragionamento con un riferimento preciso: "Se tu hai delle direttive anticipate con le quali designi qualcuno ad agire nel tuo interesse e per tuo conto nel caso che tu diventi incapace, penso che in questo caso ci sia una speranza che il tuo rappresentante possa dire che tu non vorresti vivere in quella condizione e così possa tentare di aiutarti a morire".

A pensarci attentamente le direttive anticipate sono estranee al tema delle sofferenze insopportabili; sono invece fondamentali per attuare quello che la baronessa ritiene l'obbligo di morire dei dementi.
Il motivo è lampante: nemmeno la Warnock se la sente di affermare che, se uno incontra per strada uno squilibrato, ha il diritto/dovere di ucciderlo, tenuto conto della sua dannosità per la famiglia e lo Stato; per raggiungere lo stesso risultato occorre passare attraverso una manifestazione di volontà dell'interessato: trasformare l'obbligo di morire in una morte volontariamente richiesta e pretesa.

Lo Stato non attuerà, quindi, più un proprio disegno eugenetico; si limiterà ad attuare le richieste di morte degli interessati.

Facciamo attenzione: nel ragionamento della Warnock, così come ogni uomo inutile deve sentire l'obbligo di farsi uccidere, così deve sentire l'obbligo di redigere il testamento biologico; solo così si dimostrerà un cittadino e un familiare sensibile alla spesa pubblica e al dolore dei suoi congiunti ...
Non c'è dubbio che la Warnock non afferma esplicitamente che la redazione del testamento biologico debba essere obbligatoria (può darsi che nell'articolo per la rivista norvegese, ancora non disponibile, lo sostenga): ma -come da tante parti sottolineato - la sola possibilità di redigerlo costituisce uno strumento di pressione nei confronti dei potenziali utenti: anziani, affetti da malattie progressive ecc..
La sola disponibilità di questo strumento mette in crisi il rapporto medico - paziente, che si fonda sulla fiducia e su un patto tacito per cui il primo non abbandonerà mai il secondo, e anche tra malato e familiari, lasciando il malato solo con i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, la sua depressione.

La redazione di un testamento biologico da parte di un soggetto che si sente inutile (o che teme di diventarlo nel prossimo futuro), un fardello per la società e la famiglia, sarà davvero libera?

Questo alla Warnock non importa affatto; piuttosto ella è ben attenta a far sì che quel pezzo di carta metta il malato ormai incosciente alla mercè della volontà altrui.
Notiamo infatti il riferimento al rappresentante: pensate davvero che serva a difendere la dignità di chi l'ha nominato?

No davvero: il suo vero compito - l'anziana nobildonna non si ritrae dall'affermarlo - è tentare di aiutare a morire il paziente, è garantire che questa uccisione - tanto utile per la società e la famiglia e addirittura invocata dal malato - abbia esecuzione.
Giacomo Rocchi