mercoledì 19 novembre 2008

Autodeterminazione?



Il precedente post si concludeva con una domanda: "Siamo proprio sicuri che chi propone il testamento biologico ha davvero l'autodeterminazione come unico punto di riferimento?".


Torniamo agli esempi fatti: Eluana Englaro (quindi persone in condizione di stato vegetativo persistente), aborto procurato ed eutanasia di neonati prematuri; per tutti vengono addotte motivazioni che apparentemente non intaccano il principio del rispetto della dignità del soggetto ucciso e non negano - in linea di principio - il suo diritto alla vita: nel caso Englaro si richiama la volontà del soggetto di cui il tutore si sarebbe fatto voce; nell'aborto volontario ci si appella alla prevalenza del diritto alla salute della madre sul diritto alla vita del figlio (sentenza n. 27/75 della Corte Costituzionale); nel caso dei neonati prematuri si fa riferimento ad una presunta inutilità degli sforzi di rianimazione nel caso di nascita ampiamente pretermine, sforzi che, quindi, rischierebbero di trasformarsi in una pratica crudele sugli stessi bambini.



In realtà, accanto a queste motivazioni "ufficiali" esistono correnti di pensiero - che si fanno sentire sempre più forte - che giustificano gli stessi atti uccisivi negando radicalmente ogni diritto e ogni dignità alle vittime: per tutte - bambini prima della nascita, neonati prematuri, pazienti in SVP - si contesta l'essere gli stessi "persone", introducendo una categoria - quella degli esseri umani viventi non ancora o non più persone - per la quale non sarebbero applicabili le dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo, la Costituzione italiana, le norme del codice penale e così via.


Ecco che l'aborto non può che essere consentito, in questa ottica, in qualunque fase della gravidanza e per mera volontà - che non richiede motivazioni - della madre; ecco che, nel caso di neonati prematuri a rischio di disabilità (ma, per qualcuno, coerente fino in fondo: per tutti i neonati fino al trentesimo giorno di vita ...) la decisione di uccidere (mediante omessa rianimazione) può dipendere da una decisione dei genitori (che quindi possono valutare se se la sentono di accudire un figlio disabile per molti anni); ecco che uguale diritto di decidere viene riconosciuta ai parenti nel caso di pazienti in SVP.
Non perderemo certo tempo a confutare queste tesi, di solito basate sul principio di autocoscienza: chi non ce l'ha, non è persona ... sono un semplice paravento per nascondere la legge del più forte, che deve poter decidere sulla sorte del più debole senza essere in alcun modo limitato nei propri desideri e istinti; interessa di più notare che, in realtà, queste tesi "estreme" portano, in sostanza, agli stessi risultati delle motivazioni "ufficiali", nobili.

Grande scandalo ha destato l'intervento a Firenze qualche giorno fa di un "neonatologo" (sic!) che ha detto a chiare lettere che, secondo lui, i neonati non sono persone: ma gli stessi benpensanti da tempo sostengono la necessità di far morire i neonati troppo prematuri nel caso il rischio di disabilità sia troppo alto o le probabilità di successo delle pratiche di rianimazione troppo basse; il tutto semplicemente sulla base della settimana di gestazione in cui è avvenuto il parto e non curando ciascun bambino per come è.
Quanto all'aborto: il richiamo della Corte Costituzionale al bilanciamento degli interessi tra madre e figlio non ha impedito l'approvazione di una legge che rende assolutamente libero l'aborto procurato, disinteressandosi delle motivazioni addotte dalla donna e, anzi, valorizzando quelle eugenetiche: ma il primo passo non l'aveva forse fatto la stessa Corte Costituzionale quando (ingenuamente?) aveva definito l'embrione come colui "che persona deve ancora diventare"?

E quanto ai pazienti in stato vegetativo persistente? Che pensare quando - en passant - il "grande scienziato" Veronesi definisce il loro stato "uno stato intermedio tra la vita e la morte", "una condizione di vita artificiale" o "il limbo della vita artificiale"? Quando cioè - implicitamente - non considera questi pazienti vivi, ma vivi artificialmente, quasi morti? Del resto il senatore Marino, autore della principale proposta di legge in discussione, accenna positivamente al fatto che in altri paesi è "prassi comune nelle strutture sanitarie ... interrompere le terapie quando non esiste una ragionevole speranza di riportare il paziente ad una condizione di vita accettabile": esistono quindi una vita accettabile e una vita non accettabile...

Il sospetto che - in fondo - ai fautori del testamento biologico il rispetto dell'autodeterminazione del paziente non interessi, poi, granché, si rafforza: perché dovrebbe davvero contare la volontà di chi, al momento di decidere sulla sua soppressione, non è in una condizione di pieno possesso dei suoi diritti?

Giacomo Rocchi



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