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mercoledì 23 dicembre 2009

Aborto e stato totalitario




Il progetto di legge sull'aborto ha avuto il primo via libera in Spagna, nonostante la durissima opposizione di popolo che ha portato ad una mobilitazione prolife senza precedenti.

Colpisce quanto previsto in tema di obiezione di coscienza dei sanitari: il diritto viene limitato e si prevede che tutti gli studenti di medicina e infermieristica studino come praticare un aborto durante la loro carriera universitaria.

Concentriamoci soprattutto su quest'ultima previsione: che significato ha obbligare gli studenti di medicina a studiare (e, quindi, anche a sottoporsi ad esercitazioni pratiche) le tecniche abortive?

In prima battuta risulta evidente che si tratta di una misura di contrasto all'obiezione di coscienza dei medici: se uno studente di medicina ha già accettato, nel corso degli studi, di farsi coinvolgere nelle pratiche abortive - ha già accettato, quindi, di uccidere i bambini prima della nascita - una volta diventato medico non avrà motivo di dichiarare la propria obiezione di coscienza, perché la sua coscienza sarà già stata compromessa.

Ma questo effetto ne produrrà altri: impedirà ai giovani capaci di usare la propria mente e il proprio cuore e decisi a rispettare la vita degli altri uomini di diventare medici! Essi non potranno più nemmeno iscriversi all'università!

E ancora: coloro che, invece, si saranno iscritti alla facoltà di medicina e diventeranno medici, quando sorgeranno in loro problemi di coscienza, saranno deboli rispetto alle Autorità pubbliche: "Sapevi cosa andavi a fare, l'hai accettato, come ti permetti ora di porre degli ostacoli ad un servizio pubblico come l'aborto? Se non volevi fare il medico, potevi fare un altro lavoro!"

Ecco la figura di medico che emerge: quello che attua ciò che gli viene chiesto, mero esecutore della volontà del "paziente", senza possibilità (e capacità) di porsi domande e di fare in piena scienza e coscienza le proprie scelte terapeutiche.
Una figura che - già si intuisce - è molto utile anche nel campo dell'eutanasia (magari mediante testamento biologico): il medico "adatto" è quello che "rispetta la volontà del paziente" e non si permette di intervenire quando manca un consenso scritto ad una terapia; un medico che, per legge, se ne deve lavare le mani.

Il Giuramento di Ippocrate? Roba vecchia, superata ...

E' solo l'esigenza di efficienza del sistema sanitario che ha spinto il legislatore spagnolo a concepire questa norma?
No davvero: il totalitarismo dolce alla Zapatero ha la pretesa di cambiare la realtà delle cose (gli studenti di medicina che studiano come meglio uccidere esseri umani ... Mario Riccio - l'uccisore di Piergiorgio Welby - sarà invitato per uno stage con il tema: "come far morire un malato di SLA senza farlo soffrire?") e non accetta - non può accettare - che si contraddicano le proprie decisioni.

Uno stato totalitario non può accettare che un medico affermi: "Non voglio e non posso uccidere!"

Giacomo Rocchi


sabato 9 maggio 2009

Come è difficile essere pro-life/ Spagna 2

Abbiamo parlato della Dichiarazione di Madrid, sottoscritta da oltre 2.000 medici, professori universitari, scienziati, alti funzionari, nella quale vengono proclamate realtà che molti non vorrebbero sentire: che un embrione è un uomo fin dal momento del concepimento, che l'aborto è l'uccisione crudele di un bambino e non solo l'interruzione di una gravidanza, che esso lascia una sofferenza indelebile sulla madre, che la sua legalizzazione corrompe l'intera società: come vorremmo che affermazioni analoghe venissero sottoscritte e proclamate nel nostro Paese!

Abbiamo però visto come siano sorte difficoltà da parte di "intransigenti", accusati di aver frainteso alcuni passaggi della Dichiarazione.

Vediamoli:
"È essenziale che la donna che intende abortire adotti liberamente la sua decisione dopo una conoscenza informata e accurata del procedimento e delle sue conseguenze";

"È necessario che le donne che scelgono l'aborto siano consapevoli delle conseguenze psicologiche di un tale atto e, in particolare, della sindrome psicopatologica conosciuta come la "sindrome postaborto";

"L'aborto è particolarmente difficile per una ragazza di 16-17 anni, per la quale si pretende di privarla della presenza, del consiglio e del sostegno dei suoi genitori rispetto alla decisione di proseguire con la gravidanza o di abortire. Obbligare una giovane a decidere da sola ad una età così tenera è irresponsabile ed è una chiara forma di violenza contro le donne."

"(la proposta socialista) peggiora la situazione attuale e disegna una società che, piuttosto che desiderare una nuova legge per legittimare un violento atto per il nascituro e sua madre, reclama una regolamentazione per fermare le frodi e gli abusi messi in atto dai centri in cui vengono eseguiti aborti".

Salta agli occhi, in primo luogo, ciò che manca: la richiesta di vietare l'aborto volontario. L'unico accenno ad una legislazione auspicata riguarda la repressione delle "frodi e degli abusi" messi in atto dalle cliniche che eseguono gli aborti (che, pare, falsifichino la settimana di gravidanza o i motivi per cui si procede all'aborto).
Come mai questa mancanza? Eppure le solenni - ed esatte - affermazioni sulla realtà cruenta dell'aborto inducono inevitabilmente a questa richiesta.
Nicolas Jouve de la Barreda, nell'articolo su Il Sussidiario che abbiamo già menzionato, in una sorta di excusatio non petita, scrive: "Per noi che abbiamo promosso il manifesto è implicita l’abolizione dell’aborto in Spagna".
La richiesta è rimasta, quindi, inespressa.

De la Barreda scrive ancora: "Coloro che hanno incontrato in questo punto una difficoltà per aderire al manifesto, sbagliano ad interpretarlo come un’accettazione della legge attuale quale “male minore”. (...) Occorre ricordare che la situazione attuale è quella che è e che può diventare decisamente peggiore, come sembrerebbe emergere dalla legge che sta preparando il ministero dell’Uguaglianza. Siamo convinti che informare una donna per cercare di dissuaderla dall’abortire sia più realista e pratico che dire un semplice no all’aborto. Quel che facciamo è denunciare l’inosservanza della legge attuale in qualcosa di così elementare come l’obbligo di avere il consenso informato, come deriva dalla Dichiarazione dei diritti umani e dal Trattato di Helsinki. La realtà è che oggi molte donne sono ingannate, spinte o forzate all’aborto, fondamentalmente vittime di una bugia e ignare del fatto che quel che faranno è niente meno che uccidere il proprio figlio.(...) Per tutto questo ci è sembrato ragionevole ricordare nel manifesto che nell’attuale legge sull’aborto vi è una prescrizione che non viene osservata e che, se venisse rispettata, salverebbe molte vite".

"Nel manifesto è implicita la nostra posizione antiabortista anche quando ci opponiamo all’assurdo ed egoista slogan “noi partoriamo, noi decidiamo”, poiché in nessun caso abortire equivale a togliersi un neo o un dente."

"Occorre promuovere la protezione e l’aiuto alle donne incinte perché portino avanti la vita dei propri figli. Se non possono mantenere il figlio, occorre promuovere leggi che aiutino l’adozione. Una donna non è libera quando è condizionata dal fatto di non avere una famiglia che accolga la gravidanza, o dal fatto che quando nascerà il bambino non potrà lasciarlo in un asilo o che non troverà un posto di lavoro. Con tutti questi condizionamenti una donna non può scegliere liberamente."

Riferendo del colloquio avuto con il Ministro proponente, De la Barreda riferisce:
"Abbiamo detto al ministro che stiamo parlando della vita e della morte. Che occorre sostenere e aiutare l’adozione. Che bisogna aiutare la donna incinta a essere madre. Che l’aborto non è la soluzione, ma una pratica insensata che deve essere abolita e che al momento deve restare fuori da qualsiasi confronto politico e attenersi al campo del significato biologico, della dignità della vita umana nascente, della prassi medica e delle conseguenze per il non nato, la madre e la società.
Tutto quello detto sopra si riassume in un grande Sì alla vita e in un No all’aborto"

Davvero la Dichiarazione di Madrid era stata equivocata?

Giacomo Rocchi

mercoledì 6 maggio 2009

Come è difficile essere prolife/2 Spagna



Abbiamo già parlato in un precedente post (Schizofrenia?) della battaglia in corso in Spagna per fermare la riforma della legge sull'aborto voluta da Zapatero; abbiamo visto come, in realtà, la maggioranza socialista punti ad approvare una legge sostanzialmente analoga alla legge 194 italiana (in particolare: piena libertà di aborto nei primi tre mesi di gravidanza) e come coloro che si oppongono alla riforma si trovano a difendere una legge già molto permissiva, che ha prodotto anch'essa centinaia di migliaia di bambini uccisi nel grembo materno.

Recentemente una novità importante è venuta dalla "Dichiarazione di Madrid" (http://www.hazteoir.org/node/18344), sottoscritta da oltre 2.000 professori universitari, scienziati, medici, alti funzionari.
Molto bello - e tipicamente pro-life - è l'approccio: guardare alla realtà dei fatti, a ciò che avviene nell'aborto procurato: "esiste un evidenza scientifica che la vita inizia dal momento del concepimento ... Le conoscenze attuali lo dimostrano: la Genetica segnala che la fecondazione è il momento in cui si costituisce la identità genetica singola; la biologia cellulare spiega che gli esseri pluricellulari sono costituiti da una singola cellula iniziale, lo zigote, nel cui nucleo si trova la informazione genetica che si conserva in tutte le cellule ... la Embriologia descrive lo sviluppo e rivela come esso si svolge senza soluzione di continuità" (il documento prosegue sottolineando la individualità dell'embrione rispetto al corpo della madre).

L'affermazione centrale - che sembra scontata, ma dimostra la consapevolezza dell'impossibilità di restare in silenzio - cade quindi come una conseguenza di una realtà indiscutibile e scientificamente accertata: "Un aborto non è soltanto l' interruzione volontaria della gravidanza, ma piuttosto un atto semplice e crudele di interruzione di una vita umana".
Non vengono taciute altre verità scomode.
La donna soffre: "L'aborto è un dramma, con due vittime: uno muore e l’altra sopravvive e soffre ogni giorno le conseguenze di una decisione così tragica e irreparabile. Chi abortisce è sempre la madre che soffre anche delle conseguenze, anche se sono il risultato di un atto consapevole e volontario" (viene poi descritta la sindrome post aborto); ella non viene affatto liberata da una legge liberalizzatrice dell'aborto: "Lungi dal ritenere che sia la conquista di un diritto per le donne, una legge sull’aborto senza limitazioni renderà la donna l’unica responsabile di un atto di violenza contro la vita del proprio figlio"; ancora più drastico il giudizio sulla liberalizzazione dell'aborto delle minorenni: "Obbligare una giovane a decidere da sola ad una età così tenera è irresponsabile ed è una chiara forma di violenza contro le donne".
L'obiezione di coscienza è un diritto inviolabile: "è necessario rispettare la libertà di obiezione di coscienza in questa materia, dato che non può costringere qualcuno ad agire contro detta coscienza".

La liberalizzazione dell'aborto corrode il tessuto sociale: "L'aborto è un dramma per la società. Una società indifferente all’uccisione (“matanza”) di circa 120.000 bambini all’anno è una società distrutta e malata".

Il documento ha fatto scandalo e, ovviamente, un contromanifesto ha sostenuto l'obbligo della neutralità della scienza nei confronti dell'aborto: come se i fatti naturali, scientifici, dovessero essere taciuti dagli stessi scienziati per convenienza politica.
Un grande successo del movimento pro-life, quindi?
Non è esattamente così, come dimostra l'articolo apparso su Il Sussidiario il 28/4/2009 a firma Nicolás Jouve de la Barreda, primo firmatario della Dichiarazione (http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=18475).
L'autore scrive: "Rispetto all’appoggio ricevuto, è evidente che il nostro bilancio è molto positivo, data la quantità e la tipologia di adesioni ricevute. Tuttavia sarebbero potute essere di più se persone di buona volontà che, come noi, si oppongono al tremendo problema dell’aborto in Spagna non avessero fatto degli errori di interpretazione. Mi riferisco alla delirante interpretazione secondo cui il manifesto contiene alcune dosi di relativismo morale, tesi non meno pericolosa di quella che ci vede favorevoli all’aborto con dei limiti temporali."
De la Barreda ribadisce la limpidezza dell'ispirazione del documento nella chiusura dell'articolo: "Abbiamo detto al ministro che stiamo parlando della vita e della morte. Che occorre sostenere e aiutare l’adozione. Che bisogna aiutare la donna incinta a essere madre. Che l’aborto non è la soluzione, ma una pratica insensata che deve essere abolita e che al momento deve restare fuori da qualsiasi confronto politico e attenersi al campo del significato biologico, della dignità della vita umana nascente, della prassi medica e delle conseguenze per il non nato, la madre e la società.
Tutto quello detto sopra si riassume in un grande Sì alla vita e in un No all’aborto
".

Chi sono coloro che hanno fatto un "errore di interpretazione"? Fanatici, integralisti, deliranti?
Possibile che anche in un momento come questo in cui la battaglia per la vita infuria sia inevitabile dividersi?
(nella foto la manifestazione oceanica per la vita e contro la riforma Zapatero)

Ma la Dichiarazione di Madrid è stata davvero mal interpretata?
Lo vedremo fra qualche giorno.

Giacomo Rocchi

martedì 30 dicembre 2008

Schizofrenia?

Un milione di persone in piazza a Madrid per la festa della famiglia. L'arcivescovo di Madrid, informa Avvenire di oggi "ha anche condannato con forza l'aborto, "una delle piaghe più terribili del nostro tempo", e ha definito "i nuovi santi innocenti" i piccoli non nati per l'interruzione della gravidanza.
La giornalista chiosa: "Un messaggio di grande attualità in un momento in cui la Spagna discute un progetto di riforma della legge sull'aborto - fortemente voluta dal PSOE - che dovrebbe prevedere la sua liberalizzazione fino alla dodicesima o quattordicesima settimana".

La legge attuale sull'aborto in Spagna prevede la possibilità di ricorrervi: a) fino alla dodicesima settimana, in caso di gravidanza frutto di violenza sessuale; b) fino alla 22a settimana in caso di malformazione del bambino; c) senza limiti di tempo in caso di pericolo di vita o di grave pericolo per la salute psichica della donna, attestata da un certificato medico. Il risultato? L'esplosione recente del numero degli aborti per motivi di salute psichica della donna (ovviamente certificata da medici compiacenti), anche al settimo mese di gravidanza, con relativi scandali.

Quale è l'idea del governo Zapatero? Permettere l'aborto senza alcuna motivazione nelle prime dodici - quattordici settimane di gravidanza e tentare di limitare gli aborti tardivi.
Si tratta del nucleo essenziale della legge 194 italiana: nei primi tre mesi di gravidanza (13 settimane) l'aborto è assolutamente libero, successivamente si pongono "paletti" che, quando è necessario (ad esempio in caso di esito infausto di una diagnosi prenatale tardiva) vengono facilmente aggirati (e non abbiamo alcun dubbio che anche la legge spagnola fisserà paletti altrettanto fragili).

Tra i tanti interventi dei vescovi, quello durissimo di qualche mese fa dell'arcivescovo di Pamplona, mons. Fernando Sebastiàn: «La permissività di fronte all’aborto sta facendo di noi una Nazione degradata e corrotta. Non possiamo essere complici in questa corsa per la distruzione morale della Spagna e degli Spagnoli». «Vogliamo che l’aborto sia considerato per quello che è, un crimine disumano e distruttore, anziché essere presentato come un diritto e una soluzione».
E ancora: «Il vero punto di vista per valutare umanamente l’aborto è quello del bambino abortito. Se non è lecito uccidere un bambino appena nato, perché sarebbe lecito ucciderlo qualche settimana prima della sua nascita? Solo per la convenienza dei più forti».

Chissà: forse qualche anno dopo l'approvazione della legge, anche in Spagna i vescovi chiederanno di applicarla integralmente soprattutto nelle sue parti buone?

Giacomo Rocchi