1978: nasceva la prima bambina concepita in vitro.
1984: il Comitato Warnock, presieduto dalla baronessa Warnock che abbiamo già conosciuto, si pronunciò in ordine alla possibilità di ricerca sugli embrioni umani.
La risposta giunse dopo due passaggi: nel primo il Comitato negava la possibilità di distinguere gli embrioni in base al loro sviluppo:
"... una volta che il processo dello sviluppo è iniziato, non c'è stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro; tutti sono parte di un processo continuo, e se ciascuno non si realizza normalmente nel tempo giusto e nella sequenza esatta lo sviluppo ulteriore cessa. Perciò da un punto di vista biologico non si può identificare un singolo stadio nello sviluppo dell'embrione, prima del quale l'embrione in vitro non sia da mantenere in vita".
La risposta - che pareva ovvia - era quindi che non si potesse effettuare ricerche sugli embrioni.
Ma il Comitato si pronunciò nel senso opposto:
"Tuttavia si è convenuto che questa era un'area nella quale si doveva prendere una precisa decisione al fine di tranquillizzare la pubblica ansietà. Nonostante la nostra divisione su questo punto, la maggioranza (16 su 23) di noi raccomanda che la legislazione dovrebbe disporre che la ricerca possa essere condotta su ogni embrione risultante dalla fertilizzazione in vitro, qualunque ne sia la provenienza, fino al termine del quattordicesimo giorno dalla fecondazione, ma soggetta a tutte le altre restrizioni imposte dal Comitato di autorizzazione".
Si abbandonava, quindi, la certezza scientifica e per motivi utilitaristici si discriminavano gli embrioni sulla base di un criterio arbitrario: si affermava che gli embrioni erano esseri umani che meritavano ogni rispetto, ma si fingeva che non lo fossero.
A distanza di trent'anni la Baronessa Warnock non ha smesso di discriminare gli uomini nella stessa maniera. Nell'affrontare il tema dell'aborto tardivo - anche in Gran Bretagna si discute se fissare alla 22a settimana di gravidanza - anziché alla 24a settimana - il termine ultimo per cui l'aborto è permesso, in ragione della aumentate possibilità di sopravvivenza, ella argomenta:
"ciò che ora è un aborto legale verrebbe considerato un parto indotto seguito dall’infanticidio.
In prima battuta, sembra un cambiamento benigno e diretto a salvare vite. I bambini nati così prematuramente devono essere sottoposti a cure intensive e, se sopravviveranno, molto probabilmente in larga misura avranno danni cerebrali. I genitori e gli specialisti, nella maggior parte dei casi, dedicano loro stessi a mantenerli in vita, se è possibile. Medici e infermieri hanno sempre odiato eseguire aborti tardivi e il pensiero che il feto abortito possa sopravvivere deve rendere l’aborto ancora più odioso".
In prima battuta, sembra un cambiamento benigno e diretto a salvare vite. I bambini nati così prematuramente devono essere sottoposti a cure intensive e, se sopravviveranno, molto probabilmente in larga misura avranno danni cerebrali. I genitori e gli specialisti, nella maggior parte dei casi, dedicano loro stessi a mantenerli in vita, se è possibile. Medici e infermieri hanno sempre odiato eseguire aborti tardivi e il pensiero che il feto abortito possa sopravvivere deve rendere l’aborto ancora più odioso".
Scatta, però, una domanda terribile: "Ma la scelta politica di salvare queste vite risponde all’interesse pubblico? Si tratta di una questione cui i legislatori devono porsi".
La difesa della vita di un uomo non è più considerata - di per sé - rispondente all'interesse pubblico, ma è subordinata ad un altro interesse, che viene considerato superiore.
Vista questa impostazione, già si intuisce che si tratta di una domanda retorica, che introduce ad una risposta negativa: non è nell'interesse pubblico salvare la vita a bambini prematuri a rischio di sopravvivenza e che potranno avere danni cerebrali.
Ma la Warnock, per giungere a questo risultato, passa ancora attraverso una finzione normativa, analoga a quella adottata per gli embrioni:
"Se siamo d’accordo a ritenere che l’aborto dopo le 22 settimane debba essere considerato un infanticidio, la risposta sarà “si”. E’ nel pubblico interesse prevenire l’uccisione dei bambini. Una società che la permettesse sarebbe semplicemente inumana e incivile, non una società in cui vorremmo vivere. Dopo tutto, spesso ci siamo detti che la civilizzazione di una società deve essere giudicata da quanto essa si prende cura dei suoi membri più vulnerabili e pochi potrebbero essere più vulnerabili dei neonati prematuri.
Ma, naturalmente, se la legge viene cambiata, essi non saranno bambini prematuri"
Basta un numero cambiato nella legge (da 24 a 22 settimane) ed ecco: la soluzione è trovata!
Giacomo Rocchi
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