domenica 30 agosto 2009

Anche i cattivi maestri talvolta dicono il vero




"Sbagliare e' umano, ma perseverare e' diabolico". Cosi' Beppino Englaro commenta all'ADNKRONOS SALUTE l'ipotesi avanzata dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi, su una leggina che ricalchi quella che il Consiglio dei ministri varo', nel febbraio scorso, per Eluana, riconoscendo l'alimentazione e l'idratazione artificiali come un diritto inalienabile. Il decreto legge votato all'unanimita' dal Cdm poche ore prima della morte della donna non ebbe la firma del presidente della Repubblica. E anche stavolta Beppino Englaro si appella al Capo dello Stato: "Non e' detto che firmi una simile forzatura, cosi' come possiamo confidare sulla Corte Costituzionale una volta chiamata a pronunciarsi al riguardo", afferma.

"SBAGLIARE E' UMANO, MA PERSEVERARE E' DIABOLICO"

Giacomo Rocchi

domenica 23 agosto 2009

Difendere le madri e i bambini ... e combattere le menzogne








Da Svipop:
LA MORTALITA' MATERNA CRESCE DOVE L'ABORTO E' LIBERO
di Aracely Ornelas
La più grande organizzazione abortista mondiale, la International Planned Parenthood Federation (IPPF) ha ammesso recentemente che c’è un’allarmante “impennata” di mortalità materna in Sud Africa, smentendo il ritornello abortista secondo cui leggi liberali sull’aborto fanno diminuire la mortalità materna.
Tra il 2005 e il 2007 in Sud Africa c’è stato un aumento di morti materne del 20%, malgrado dal 1996 questo paese abbia una legge sull’aborto tra le più permissive del Continente africano. Se la maggior parte delle morti è attribuibile all’infezione da HIV/AIDS, l’IPPF ammette che una porzione rilevanti di decessi “è dovuta a complicazioni dell’aborto”, in un paese in cui la procedura è legale e ampiamente disponibile.
Negli ultimi anni i Paesi in via di sviluppo sono stati pressati dalle agenzie delle Nazioni Unite e dalle organizzazioni abortiste come l’IPPF, al fine di depenalizzare l’aborto come mezzo per diminuire i tassi di mortalità materna. I dati ammessi dall’IPPF sono però soltanto l’ultimo fatto – in un crescendo di prove – che mostra con chiarezza che il nesso è esattamente l’opposto, ovvero l’aborto legale coincide con alti tassi di mortalità materna.
Ad esempio, la nazione africana con il più basso tasso di mortalità materna è Mauritius, secondo il Rapporto 2009 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ma le leggi di Mauritius, nel continente, sono tra le più protettive per il bambino non nato. Allo stesso modo il Rapporto mostra come i paesi che negli ultimi anni hanno ceduto alle pressioni internazionali depenalizzando l’aborto, come l’Etiopia, non hanno affatto visto diminuire la mortalità materna. Il tasso di mortalità materna in Etiopia è 48 volte più alto che a Mauritius.

Secondo l’OMS, il paese dell’America Latina con il più basso tasso di mortalità materna è il Cile, che addirittura protegge la vita del non-nato nella sua Costituzione.
Il paese con il più alto tasso – 30 volte superiore a quello del Cile - è invece la Guyana, che ha introdotto l’aborto già nel 1995 e praticamente senza alcuna restrizione. Ironicamente, una delle due principali giustificazioni usate nella Guyana per liberalizzare l’aborto è stata quella di “conseguire l’ottenimento della maternità sicura” eliminando le morti e le complicazioni dell’aborto insicuro.
Il Nicaragua poi è stato al centro di una fortissima azione di lobby internazionale abortista da quando tre anni fa ha modificato la sua legge per garantire piena protezione alla vita prenatale. Ad esempio la Svezia ha tagliato i suoi 20 milioni di dollari di aiuti allo sviluppo come misura di ritorsione. Più recentemente, Amnesty International ha pubblicato un rapporto affermando che i tassi di mortalità materna sono cresciuti in Nicaragua a causa di questa legge. Analisti hanno però contestato i dati di Amnesty mentre le statistiche del governo nicaraguense mostrano che al contrario i tassi di mortalità materna sono in diminuzione dal 2006.
Allo stesso modo, le statistiche dell’OMS per l’Asia meridionale e orientale mostrano che il Nepal, dove non c’è alcuna restrizione all’aborto, ha il più alto tasso di mortalità materna della regione. Il più basso è invece nello Sri Lanka, con un tasso 14 volte minore di quello del Nepal. Ebbene, secondo l’organizzazione di legali Center for Reproductive Rights – che è parte della lobby abortista – lo Sri Lanka ha la legge sull’aborto tra le più restrittive al mondo.

A livello mondiale, il paese con il più basso tasso di mortalità materna è l’Irlanda, paese che proibisce l’aborto e la cui Costituzione protegge esplicitamente i diritti del non-nato.

giovedì 20 agosto 2009

Il bambino invisibile per legge ...


Da ADUC Salute:
"Lo Stato dell'Oklahoma ha abrogato con una sentenza di tribunale la legge che obbliga i medici a sottoporre le donne incinte che chiedono di abortire ad un ecografia ventiquattro ore prima dell'intervento.

La decisione e' stata presa da un giudice statale, Vicky Robertson, secondo cui la norma approvata nel 2008 viola la Costituzione in quanto non rispetta il diritto alla privacy delle donne, la loro dignita' e mette in pericolo il loro stato psico-fisico. Secondo la normativa, durante l'ecografia pre-aborto il medico doveva descrivere i particolari fisici del bambino, anche se la paziente avesse cercato di opporsi. Sempre secondo la legge, qualunque clinica o medico avesse tentato di opporsi alla pratica avrebbe rischiato una denuncia o l'arresto.

Sono almeno sette gli stati americani che obbligano i dottori ad effettuare il monitoraggio sulle pazienti incinte prima di un aborto".

Per uccidere un bambino occorre che non si veda, che diventi un'entità solo verbale e, se possibile, scompaia anche dalle parole che si usano per descrivere la sua soppressione ...
La donna in difficoltà per una gravidanza (o che, semplicemente, non vuole un figlio) deve quindi, essere indotta a non rendersi conto di quello che sta per fare ...
Si deve impedire che ella - vedendo il figlio - (quanti di noi, padri e madri, hanno provato quella gioia intensa, quell'emozione, quel legame subito profondo nel vedere il battito del cuore di un bambino in un'ecografia!) comprenda (o meglio: si ricordi) il miracolo che sta avvenendo, il dono che le è stato fatto, la responsabilità gioiosa che l'attende ...

Tutto in nome della privacy ... che, come si vede, prevale sul principio del consenso informato del paziente (l'aborto è pur sempre un'operazione sulla donna) e sullo stesso principio di autodeterminazione: che è tale solo se chi si autodetermina (autorizzato dalla legge) conosce il significato della decisione che sta per prendere.

E - davvero non sorprende - l'aborto di Stato, anche nei democraticissimi U.S.A., è antidemocratico: un Giudice - un singolo Giudice - decide che una legge votata dal Parlamento dello Stato è illegale: "è così e basta!".

Giacomo Rocchi

Il caso San Raffaele /3

Cosa distingue la condotta dell'Istituto San Raffaele di Milano nell'ambito delle tecniche di fecondazione in vitro da quella degli altri centri, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha eliminato il numero massimo di embrioni che possono essere prodotti e l'obbligo di trasferimento in utero di tutti gli embrioni prodotti?

Nell'intervista apparsa sul Corriere della Sera il 26/6/2009 il prof. Augusto Ferrari, ribadisce: «Per noi, e con riguardo all' insegnamento del fondatore don Luigi Verzé, l'embrione, fin dal momento della sua costituzione, rappresenta una originale individualità, caratterizzata da un patrimonio genetico unico in grado di concretizzare una persona irripetibile, frutto di un disegno divino. Di qui l'onere di garantire all' embrione umano le migliori cure e attenzioni».

Come si è visto, però, l'individualità dell'embrione non lo salva - nemmeno presso il San Raffaele - da una produzione in gran numero, da una coltivazione prolungata per vedere se resiste o muore e da un congelamento basato sul numero ("sono troppi").
Non lo salva, del resto, nemmeno dal destino di essere prodotto con una prospettiva di morte nella prima settimana di vita superiore al 90% ...

A leggere bene la frase il prof. Ferrari lascia cadere una distinzione niente affatto banale: l'embrione non è persona, ma è "in grado di diventare (concretizzare) una persona irripetibile" ... sottintendendo: "sempre che non muoia prima, o che non venga congelato" ...

Quale sarebbe il "disegno divino" che il prof. Ferrari riconosce per l'embrione?
La creazione artificiale degli embrioni è frutto di un disegno divino?
Ma allora quale è il Dio che ha concepito questo disegno?

Quale fastidio nello scoprire che un medico che produce embrioni in gran quantità, li lascia morire nella provetta, li congela (li scongelerà?), li trasferisce a suo piacimento, ha la impudenza nel rivendicare che Dio - il Dio della Chiesa Cattolica, quella di cui Don Verzè fa parte - ha voluto questo!

E non è ipocrita sostenere che "Non diciamo no al congelamento in assoluto, ma a quello considerato come una strategia di gestione della coppia infertile": l'embrione congelato sarà contento di esserlo non in conseguenza di uno strategia malvagia?
Insomma: c'è un congelamento buono e uno cattivo?

Nel sito web dell'Istituto San Raffaele si legge: "Il nome ‘Raffaele’, scelto dal suo fondatore, deriva dall'ebraico Raf-el, che significa "medicina di Dio", "Dio guarisce". In linea con le finalità istituzionali della Fondazione, la missione propria dell'Istituto è infatti la cura dell'uomo secondo il mandato evangelico "Andate, insegnate, guarite". Tale missione si traduce nell'orientamento dell'attività di assistenza, ricerca e didattica ad un unico obiettivo: la centralità dell'uomo nella sua triplice dimensione bio-psico-spirituale."
La fecondazione in vitro guarisce qualcuno? No, è una tecnica che si usa proprio quando le cure dell'infertilità non hanno successo.

L'embrione viene curato? No, viene prodotto in soprannumero, lasciato morire in vitro, congelato ...

La coppia e l'embrione vengono messi al centro nella loro "dimensione bio-psico-spirituale"?

Giacomo Rocchi

mercoledì 19 agosto 2009

Il caso San Raffaele /2

Quale sarà, quindi, la condotta del San Raffaele dopo l'emanazione della sentenza della Corte Costituzionale? Dopo un'intervista al Corriere della Sera l'Istituto ha emanato un comunicato ufficiale che vale la pena di riportare per intero:

"In merito a quanto pubblicato oggi sul Corriere della Sera relativamente alla protesta apparsa su un blog a proposito della procreazione medicalmente assistita e alla crioconservazione degli embrioni, l’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele intende fare chiarezza rispetto alla dichiarazione articolata del Prof. Augusto Ferrari che è stata riportata solo parzialmente dal quotidiano, ingenerando così una serie di interpretazioni erronee sulla posizione del San Raffaele.In particolare, Augusto Ferrari, Direttore della Clinica Ostetrico-Ginecologica Università Vita-Salute San Raffaele precisa che:

1- Il San Raffaele ha accolto integralmente le modifiche alla legge 40/2004 secondo la sentenza n 151 della Corte Costituzionale.
2- Il nuovo articolo 14 prevede la scelta di un numero di ovociti da inseminare per ciascuna coppia al fine di ottenere il numero di embrioni strettamente necessario al trattamento. Questo significa che il medico ha la facoltà di scegliere, sulla base delle condizioni cliniche della coppia e dell’età, il numero di ovociti.
3- La crioconservazione degli ovociti ritenuti in eccesso viene comunque garantita.
4- La crioconservazione degli embrioni secondo legge è procedura che viene effettuata in caso di grave e documentato rischio per la salute della donna o per ridurre il rischio di gravidanze multiple (situazione pericolosa per la donna). E questo noi lo applichiamo integralmente.
5- La coltura prolungata fino allo stadio di blastocisti, nei casi in cui è indicata, può permettere di incrementare le percentuali di gravidanza in virtù di una selezione naturale passiva, evitando il trasferimento o la criopreservazione di embrioni senza possibilità di sviluppo.
6- Nel caso in cui, anche con la coltura prolungata, si dovessero ottenere più blastocisti, si proporrà il trasferimento contemporaneo ragionevole o la criopreservazione, sempre nell’ottica di privilegiare la salute della donna
"


Nell'intervista al Corriere della Sera, il prof. Ferrari aveva indicato un "duplice obbiettivo": «Offrire il miglior trattamento scientificamente possibile alla coppia ed evitare la criopreservazione degli embrioni. Non diciamo no al congelamento in assoluto, ma a quello considerato come una strategia di gestione della coppia infertile».
Come si comporta insomma il San Raffaele?
1. Produce più di tre embrioni: quindi il limite di tre embrioni massimi producibili - tanto sostenuto da parte del mondo cattolico e collegato al trasferimento in utero di tutti gli embrioni prodotti (per dare a ciascuno una chance di sopravvivenza) viene abbandonato.
Il San Raffaele era obbligato dalla sentenza della Corte Costituzionale? Assolutamente no, ben avrebbe potuto conformare le proprie regole interne al limite massimo abrogato.

2. Quanti embrioni produce per ogni ciclo? La scelta - assolutamente discrezionale - è del medico: quindi gli embrioni prodotti non sono predeterminati. Il riferimento alle condizioni cliniche e all'età della coppia fa intendere che, in certi casi (età avanzata) si cercherà di produrre più embrioni possibile sia per evitare di sottoporre la donna ad un nuovo prelievo ovocitario, sia per trasferire più embrioni, risultando inferiore la possibilità di attecchimento. Se il numero degli ovociti prelevati è manifestamente sovrabbondante, alcuni di essi saranno crioconservati prima del tentativo di fecondazione in vitro.

3. Il San Raffaele seleziona gli embrioni? Si. Non stiamo parlando della diagnosi genetica preimpianto (la sentenza della Corte Costituzionale non affermava esplicitamente la liceità di questa tecnica, affermata da alcuni giudici di merito e dal TAR Lazio), ma di una diversa selezione, quella che, nell'intervista al Corriere della Sera, viene definita "naturale" (Sic! "il San Raffaele vuole attrezzarsi per fare crescere gli embrioni in vitro, anziché trasferirli subito nell' utero o congelarli. Quelli che sopravvivono a una selezione passiva saranno, poi, impiantati a 5/6 giorni di distanza. Per la donna potrebbero esserci più chance di restare incinta, ma la maggior parte degli embrioni è destinata a morire naturalmente": il passo riportato, però, non è virgolettato ed è quindi una sintesi della giornalista): gli embrioni prodotti vengono coltivati in vitro per un periodo superiore a quello usuale (5-6 giorni), alcuni muoiono e quindi vengono automaticamente eliminati dalla "corsa al trasferimento in utero".

4. Il San Raffaele trasferisce in utero tutti gli embrioni prodotti e sopravvissuti alla selezione? No. Il comunicato dice chiaramente che il criterio seguito è quello del rischio di gravidanze multiple; non solo: fa capire che, nel caso più embrioni siano sopravvissuti alla selezione "naturale" (sic!) della coltivazione prolungata in vitro, a decidere se e quanti embrioni trasferire sarà la donna (la clinica propone soltanto ...)

5. Il San Raffaele congela gli embrioni? Si.
Congela tutti gli embrioni sopravvissuti alla coltivazione prolungata che si decide di non trasferire (o meglio: che la donna decide di non trasferire).


Una domanda: il San Raffaele ha una condotta differente rispetto agli altri centri che fanno fecondazione in vitro?



Giacomo Rocchi

martedì 18 agosto 2009

Il "caso San Raffaele"/1

Si può operare nel campo della fecondazione in vitro e insieme rispettare la vita e la dignità degli embrioni prodotti?

Siamo convinti di no: la fecondazione in vitro, riducendo l'embrione a prodotto, a cosa, nega in radice ogni sua dignità e ogni suo diritto: non a caso le tecniche di fecondazione in vitro "producono" un grandissimo numero di embrioni destinati a morte certa e rapida, o a congelamento: e questo - chi fa fecondazione in vitro lo sa benissimo.

Come è noto questa è anche la posizione - assolutamente ragionevole e basata sui dati scientifici - espressa dalla Chiesa Cattolica e ribadita con notevole chiarezza nell'Istruzione "Dignitas personae", quella che (a sorpresa) papa Benedetto XVI ha regalato a Barack Obama in occasione della visita in Vaticano.

Ma - è altrettanto noto - molti cattolici ritengono di essere più intelligenti dei loro pastori.
Parliamo del San Raffaele di Milano: clinica fondata da un sacerdote e che "offre" ai potenziali clienti fecondazione in vitro; opera di carità? Se sono veri i dati espressi in un articolo del Corriere della Sera ("mille ogni anno le coppie che si rivolgono al suo Centro scienze della natalità, con rimborsi del servizio sanitario di milioni di euro"), qualche dubbio è legittimo.

La sentenza della Corte Costituzionale che ha fatto cadere il limite massimo dei tre embrioni producibili per ogni ciclo - giunta dopo un inutile pressing del mondo cattolico teso a dimostrare che il limite era legittimo e serviva ad evitare il congelamento o la soppressione di embrioni soprannumerari - era un buon "banco di prova" per verificare quale fosse davvero l'atteggiamento del San Raffaele rispetto agli embrioni che produceva: avrebbe mantenuto le rigide regole previste prima della sentenza oppure si sarebbe adeguato alla sentenza? Avrebbe, in altre parole, dato la prevalenza ai propri (presunti) principi bioetici dell'assoluto rispetto dell'embrione oppure avrebbe ceduto alla logica commerciale?

Si, perché - ricordiamoci - dopo la legge 40 quella della fecondazione in vitro è una situazione di piena concorrenza tra strutture pubbliche e private e anche (vista l'ampia mobilità in Europa) tra istituti italiani e istituti stranieri.
Il criterio con cui le coppie scelgono a quale struttura rivolgersi è uno solo: la probabilità maggiore o minore di avere quel "bambino in braccio" per il quale sono disposte a sopportare sacrifici - personali ed economici. Conta, quindi, la "pubblicità" che fanno le strutture, la reputazione delle stesse, il "passaparola" all'interno di quella "comunità" di aspiranti genitori ben rappresentato in alcuni siti internet, tra cui "Cerco un bimbo".

Per una struttura autorizzata una cattiva fama, notizie in ordine ad inefficacia di trattamenti o a limitazioni delle tecniche disponibili possono significare il disastro economico: mancheranno i soldi delle coppie e anche gli abbondanti soldi pubblici.

Come si sarebbe adeguato, quindi, il "San Raffaele" alla nuova regolamentazione? Avrebbe considerato la pronuncia della Consulta come una semplice facoltà di aumentare il numero degli embrioni prodotti, continuando a rispettare il limite di tre embrioni che tutto il mondo cattolico riteneva giusto? Avrebbe ritenuto ancora vigente il divieto (non formalmente abrogato dalla Corte Costituzionale) di congelamento degli embrioni?

Di fronte ad un articolo del Corriere della Sera riportava le accuse della "comunità" di Cercounbimbo di non applicare la sentenza della Corte Costituzionale, il San Raffaele ha risposto, evidentemente preoccupato della propria reputazione.

Come vedremo, come i "paletti" presenti nella legge 40 erano fin dall'origine palesemente deboli e destinati a cadere (ed è puntualmente avvenuto), così chi opera nelle tecniche di fecondazione in vitro non è capace di fermarsi, perché ha già rinunciato ad ogni limite.

Giacomo Rocchi

lunedì 17 agosto 2009

Aborto: qualcuno è cambiato ... ma qualcuno no! /8

Abbiamo terminato il precedente post sottolineando come la legge 194 abbia pesantemente inciso sulla considerazione dell'aborto da parte della popolazione e sul rispetto in generale della vita.
Del resto, la mozione che l’on. Buttiglione ha proposto e fatto approvare alla Camera dei Deputati, è il migliore esempio di quanto si è detto.
Il bambino ucciso – a ben vedere – non c’è.

Nella premessa si lamenta, che “la diffusione nel mondo della pratica dell'aborto selettivo a danno prevalentemente delle concepite di sesso femminile sta provocando in alcune aree geografiche un forte squilibrio fra i sessi”, che “legislazioni straniere attivamente promuovono l'aborto come strumento di controllo demografico” e che “politiche colpiscono con sanzioni di vario genere le donne che rifiutano l'aborto”.
L’uccisione del bambino, quindi, non è indicata come male in sé: è un male solo se non è frutto di libera scelta della donna o se determina uno squilibrio fra i sessi dei bambini nati.

Non si chiede di ridurre l’aborto: questa non è una moratoria sull’aborto! Si chiede, piuttosto di fare altrove quello che sta avvenendo in Italia!
È una mozione oggettivamente abortista.

“Libertà di scelta per la donna”: espressione che una persona intelligente come Buttiglione non può usare senza riflettere: “Si può dire che l'aborto in qualche modo è sempre un'imposizione, ma questo è piuttosto un concetto filosofico”.
Il fatto è che, in realtà, Buttiglione dell’effettiva libertà delle donne di abortire in Italia non sa nulla: non sa che – o se – le prostitute extracomunitarie spesso vengono costrette ad abortire legalmente da chi le vuole “rimettere in pista” velocemente. Non sa nemmeno i motivi che spingono le donne ad uccidere i loro figlio in Italia: la 194 non prevede che si sappiano!

Molto meglio farsi belli con la libertà di aborto negata alle donne dell’altra parte del mondo (a proposito: con saggia prudenza la mozione non indica nemmeno i Paesi cui si riferisce …), piuttosto che affrontare il verminaio di casa nostra.

A noi interessano tutti i bambini e tutte le donne: e se non siamo cambiati (come invece è cambiato l’on. Buttiglione) è perché sappiamo e abbiamo potuto constatare in questi anni che il compromesso sui temi della difesa della vita non serve a nulla se non aiutare coloro che, della vita, sono nemici.

Giacomo Rocchi

domenica 16 agosto 2009

Aborto: qualcosa è cambiato? /7



Non aveva forse ragione Carlo Casini quando, mentre era in corso la battaglia per l’approvazione della legge che legalizzava l’aborto, osservava: “Uno Stato che si fa distributore di morte, lungi dal combattere per rimuovere le cause dell’aborto, crea un ulteriore e gravissimo incentivo ad esso. (…) Il monopolio dell’aborto è davvero un antidoto all’aborto? Checché se ne dica, la principale causa che spinge molte donne ad interrompere la gravidanza è il diminuito senso del valore del nascituro nella coscienza sociale così come nella mente e nel cuore delle mamma. Uno Stato che si offra come “braccio secolare”, come esecutore di morte (boia? killer?), non contribuisce forse ad aumentare il peso della più importante causa dell’aborto? (…) Ma è poi errata – a mio giudizio – l’affermazione che l’indigenza sia la principale causa dell’aborto. In questi ultimi due anni la professione mi ha fatto incontrare centinaia di donne che hanno abortito o avevano intenzione di abortire. (…) E’ mio dovere però dire che quasi mai sono state addotte ragioni di indigenza. Molte erano le donne sposate con due figli, che non volevano il terzo, molte le studentesse universitarie. Nessuna, comunque, era più povera della mia poverissima madre. Mi è apparso chiaro, allora, che la principale causa dell’aborto è quella che ho già indicato: l’illanguidirsi nella coscienza sociale del valore del concepito come individuo della specie umana”.

Non avevano forse ragione i Vescovi italiani (nella foto il card. Antonio Poma) che, subito dopo l’approvazione della legge 194, ribadivano che “nel suo intervento circa la vita nascente, la comunità politica non può restringersi all'emanazione di una legge, peraltro necessaria, che proibisca come reato l'aborto, da punirsi tuttavia con giustizia ed equità, tenendo conto delle situazioni concrete, in cui é stato commesso” e aggiungevano che “quando autorizza l'aborto lo Stato contraddice radicalmente il senso stesso della sua presenza e compromette in modo gravissimo l'intero ordinamento giuridico, perché introduce in esso il principio che legittima la violenza contro l'innocente indifeso”, definendo così la legge che autorizzava l’aborto “legge intrinsecamente e gravemente immorale”?

A quel tempo non si aveva timore di indicare il dovere politico dei cristiani di “richiamare, con coraggio e con metodi democratici, il dovere di rispettare la vita umana sin dal suo inizio, denunciando di conseguenza l'iniquità della legge abortista; di operare una lettura critica dell'attuale normativa sull'aborto e di rilevare le profonde contraddizioni che essa presenta con la Costituzione e all'interno dei suoi stessi articoli; e di operare per un superamento della legge attuale, moralmente inaccettabile, con norme totalmente rispettose del diritto alla vita"; e si sottolineava il particolare dovere dei politici cristiani, “più direttamente responsabili di leggi che incidono sul costume dei cittadini”, di non “sentirsi dispensati dal dovere morale di lavorare per contenere il più possibile gli effetti negativi della legge abortista vigente e soprattutto di spingere verso un suo superamento. Ciò é tanto più urgente quanto più manifestamente ingiusta é la legge emanata”.

Buttiglione queste cose le sa: ma non rinuncia a proporre la favola (non solo sua) secondo cui la coscienza sociale nei riguardi dell’aborto sta cambiando, anche per merito di iniziative come la sua: “Tutti siamo cambiati. Chi volle la 194 oggi riconosce, grazie pure alle scoperte scientifiche su embrione e DNA, che il feto non è un grumo di sangue nel corpo della donna: il feto è una vita”.
Si tratta di una ricostruzione contraria alla storia e alla verità: da una parte la maggioranza che approvò la legge 194 non negava affatto che il bambino (giustamente Bellieni mette in guardia dall’utilizzo dell’espressione feto per indicare il bambino prima di nascere: è un bambino!) fosse una vita, tanto da inserire (ipocritamente) la norma della “tutela della vita umana fin dal suo inizio”; la posizione prevalente era esattamente quella espressa dalla Turco (la libertà della donna è la migliore garanzia per il bambino); ma soprattutto, questi trent’anni hanno dimostrato una progressiva e inarrestabile scomparsa del bambino: la banalizzazione dell’aborto è ormai avvenuta, si ignora l’uccisione di un bambino, le sue modalità cruente e crudeli.

Non basta: esattamente all’opposto di quanto sostiene Buttiglione, parte della coscienza sociale è ormai disposta a negare la dignità umana – e quindi ad uccidere – anche a persone già nate, sulla base della loro condizione di disabilità, della loro “inutilità”, della malattia: neonati con handicap, pazienti in stato vegetativo e poi, via via, malati di Alzheimer, anziani in stato di demenza ecc.

Non è stata forse la liberalizzazione dell’aborto operata dalla 194 a permettere di far crescere questa mentalità? L’aborto eugenetico “suggerito” esplicitamente per le gravidanze dopo il terzo mese non è stato forse il nucleo fondante di questa sensibilità?

Giacomo Rocchi

venerdì 14 agosto 2009

I risultati della legge 194/ 6

Vediamoli, allora, questi dati che l'on. Buttiglione sembra ignorare, partendo dal dato complessivo: nel 2007 (dato definitivo, l’unico attendibile), sono stati eseguiti 126˙562 aborti volontari.

Prima del 1978 gli aborti clandestini in Italia – secondo le stime attendibili del prof. Colombo dell’Università di Padova, autore dell’unico studio scientifico sul tema – erano forse 100.000 all’anno, ma probabilmente meno: dopo più di trent’anni – e dopo più di cinque milioni di bambini uccisi – gli aborti legali sono in numero maggiore di quelli eseguiti prima della legge!

Non basta: alla cifra enorme che abbiamo riportato sopra (345 bambini uccisi gratuitamente dallo Stato ogni giorno, 14 ogni ora …) dobbiamo aggiungere gli aborti clandestini (ben più del 15.000 ammessi a denti stretti nella relazione ministeriale: non a caso i procedimenti penali per aborto clandestino sono nettamente aumentati nel corso degli anni) e gli aborti precoci, quelli – innumerevoli: qualche decina di migliaia all’anno? – realizzati con la cosiddetta pillola del giorno dopo o con la pillola estroprogestinica.

Bastano questi numeri? No.
Come negare, infatti, oggi che l’aborto – nonostante quanto declamato dalla legge 194 – viene utilizzato come mezzo di controllo delle nascite dalle donne che intendono così utilizzarlo? Quasi una donna su tre che abortisce volontariamente l’ha già fatto in precedenza; molte donne ripetono l’aborto anche quattro volte!

E che dire dell’aborto delle minorenni? Con un tasso di abortività ormai stabilmente vicino a 5 per 1000 (nel 2007 hanno abortito legalmente anche 266 ragazzine di età inferiore a 15 anni!).

Che dire, ancora, dell’aborto per motivi eugenetici, dimostrato eloquentemente dall’enorme aumento degli aborti dopo il terzo mese di gravidanza: lo stesso Ministro della Salute ammette che si tratta di uccisioni causate da esito sfavorevole delle diagnosi prenatali: una caccia feroce al bambino malato o imperfetto!
Sono questi i dati che fanno dire all’on. Roccella che “la 194 ha prodotto buoni risultati, il ricorso all'aborto in Italia continua a diminuire” (trent’anni fa il Ministro della Sanità preannunciava che l’aborto sarebbe presto scomparso…), aggiungendo ovviamente che “la legge funziona e non credo che ci sia bisogno di intervenire con modifiche legislative, ma si deve puntare e andare avanti sulla prevenzione, rendendola ancora più efficace e applicare quindi in modo sempre più intenso la prima parte della 194”.
On. Buttiglione: perché ritiene di essersi sbagliato? La legge 194 corrisponde al quadro che Lei ritiene necessario: piena libertà della donna di accogliere o uccidere il bambino … forse che i milioni di bambini uccisi “legalmente” o meno in questi trent’anni sono stati difesi da questa libertà?

Giacomo Rocchi

martedì 11 agosto 2009

Legalizzazione dell'aborto: questione chiusa? /5


Nessuno, in definitiva – né Buttiglione, né la Turco, né la Roccella (rappresentanti di mondi e di provenienze diverse) – spiega per quale motivo garantire alla donna una libertà incondizionata di abortire o meno sia più efficace per difendere la vita dei bambini di una legge che vieta e punisce l’aborto volontario.

Eppure Buttiglione, nell’intervista al Corriere della Sera, ammette di “essere cambiato” (sostiene che “tutti sono cambiati”, ma questo è certamente falso) e sostiene che la sua convinzione in ordine all’impossibilità di difendere il bambino in contrapposizione è frutto di un ripensamento: “Chi, come me, si batté contro la 194, riconosce di essersi sbagliato su un punto”, appunto questo.
Anche questo è un bluff: quello del vietare e punire l’aborto volontario non è un punto, ma è piuttosto il punto; l’aborto depenalizzato è aborto libero e tutti i “paletti” che vengono posti (in buona fede o meno) per limitare il ricorso all’aborto vengono travolti, come la vicenda della legge 194 dimostra ampiamente. In Italia l’aborto volontario è “libero” (torneremo su questa espressione) fino al momento della gravidanza in cui scatta la vera sanzione penale (quella per l’omicidio volontario), cioè quella della capacità di vita autonoma del feto, e ciò a prescindere dall’epoca della gravidanza, dalla presenza o meno del certificato medico, dai motivi che la donna “accusa” (che, guarda caso, non vengono nemmeno annotati, tanto sono irrilevanti).

Davvero Buttiglione credeva a quello che diceva alla Camera dei Deputati quando affermava: “Nello spirito della legge n. 194 l'aborto è un rimedio estremo … In generale, lo spirito della vigente legge n. 194 … tenta … un bilanciamento di beni morali o di valori. Da un lato, il diritto di scelta, dall'altro, il diritto alla vita, dando una certa prevalenza al diritto di scelta, ma senza negare che esista un diritto alla vita del bambino e, quindi, delimitando l'ambito all'interno del quale questo diritto alla vita può essere posposto ad altri diritti o sacrificato”?
“Una certa prevalenza”? Buttiglione vuole forse dire che in alcuni casi la legge attribuisce prevalenza al diritto alla vita del bambino? E in quali, se è lecito chiederlo?

E così, questo “punto” su cui l’opinione di Buttiglione è cambiata è più che sufficiente per abbracciare per intero la legge 194: menzionata come modello nella stessa mozione (“l'articolo 1 della legge n. 194 del 1978 afferma che «l'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite») e la cui inattaccabilità viene riaffermata: “Il movimento non è contro la 194. Noi la legge non vogliamo cambiarla, meno che mai l’articolo 1, secondo cui l’aborto non è uno strumento di controllo delle nascite”. E, alla Camera: “Noi ci muoviamo interamente nel solco di questa posizione della legge n. 194 e questa mozione, in realtà, non chiede allo Stato italiano in alcun modo di cambiare la legge n. 194”.

Si noti: Buttiglione afferma di non voler cambiare la legge, non di non poterla cambiare …

Ecco che il nostro si imbarca nella vasta compagnia che insieme a Roccella e Turco, comprende, tra gli altri, anche Luigi Laratta dell’AIED (“È proprio perché l'Italia ha adottato una valida legge sull'aborto, che il nostro Pese può legittimamente promuovere presso le Nazioni Unite la messa al bando dell'obbligo di abortire per la ragion di Stato”) e Adriano Sofri (“Perseguire penalmente l'aborto, condannarlo alla clandestinità e all'infamia, è un delitto contro la persona, e specialmente contro la donna”) …

Ma sulla base di quali considerazioni Rocco Buttiglione sostiene di essersi sbagliato? Il suo è un percorso mentale che parte dai dati dell’esperienza di questi anni di vigenza delle leggi abortiste nel mondo oppure è solo frutto di riflessioni filosofiche maturate in questi anni?
Buttiglione, si sa, è un filosofo, e quindi un teorico; ma è anche un politico, un arduo compito che impone di governare la realtà effettiva – uomini concreti, situazioni reali – alla luce di determinati principi.

Buttiglione ha analizzato i dati sul numero di aborti nei paesi in cui – come in Polonia o in Irlanda – l’aborto è vietato e sanzionato? (a proposito: sosterrà i tentativi all’interno dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa di costringere questi Paesi a depenalizzare l’aborto?)
E ha fatto delle considerazioni sulle statistiche relative all’applicazione della legge 194?

Giacomo Rocchi

domenica 9 agosto 2009

Un nuovo femminista? /4

Ecco, allora, che la posizione dell’on. Buttiglione, benché “condita” da riferimenti a Dio e alla Chiesa, non si differenza affatto dalla più spinta posizione libertaria.
E così, sul Corriere della Sera del 19 luglio, Eugenia Roccella può dire a Buttiglione: “benvenuto tra le femministe”.

Ecco alcuni passi della lettera: “do il benvenuto tra le femministe a Rocco Buttiglione. Scorrendo la sua intervista sul «Corriere», ho letto finalmente sull’aborto parole che avrei potuto firmare, parole che ammettono l' errore di un tempo (e già questo è difficile da parte di un politico) e prendono finalmente atto di una realtà incontrovertibile, che però gli uomini, cattolici e non, hanno difficoltà a capire. La realtà è questa: che ognuno di noi è «nato di donna», ha vissuto dentro un altro corpo, smentendo alla radice la nozione di individuo così cara alla cultura occidentale”.

Le parole sull’aborto che Eugenia Roccella firmava sono ben note: “Non più una cosa da consumare in silenzio, l’aborto, peccato voluto da chi lo condanna, reato. In massa, in 2.700 abbiamo rotto il silenzio delle vicende personali, abbiamo dichiarato di avere abortito o aiutato ad abortire … È un vecchio discorso che non ci stancheremo di ripetere, perché a difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe, noi donne, che l’aborto in sé per sé siamo le ultime a volerlo; ma è un primo passo verso la libera disponibilità e l’autogestione del nostro corpo, senza la quale non c’è libertà né felicità possibile … Mammana è la donna che usa il suo sapere antico, tramandando, purtroppo inagibile perché privo di garanzie di sicurezza, in “aiuto” alle donne; è l’unica ad avere assicurato in questi secoli la libertà, rischiosa quanto si vuole, ma libertà, di abortire … La nostra proposta è di cominciare a creare gruppi di auto-assistenza nei quartieri, riuscendo a mobilitare e a coinvolgere le donne, facendole partecipare direttamente. Non si tratta di “convincere” le donne della necessità di liberalizzare l’aborto, non si tratta di fare propaganda: le donne, se è vera come è vera almeno la cifra più riduttiva di quelle che conosciamo sul numero degli aborti clandestini ogni anno, cioè un milione e mezzo, sanno benissimo cos’è l’aborto e hanno bisogno solo di strumenti per farsi sentire, di occasioni per partecipare e uscire dal silenzio e dall’isolamento. Lotteremo da posizioni di forza nel momento in cui saremo in grado di girare per le case e per i quartieri con la valigetta con gli attrezzi del Karman, quando faremo le riunioni direttamente nelle case delle donne, creando quel tipo di solidarietà che ogni volta stupisce e che è veramente “tra donne” al di fuori di divisioni generazionali e anche di classe, di ideologia, di mentalità. L’aborto può non essere soltanto un aborto, cioè qualcosa di cui liberarsi in fretta e nel migliore dei modi possibile, ma anche una occasione di presa di coscienza, per mettere in discussione se stesse, il proprio modo di vivere la sessualità, la maternità, i rapporti, il ruolo della famiglia, da parte delle donne soprattutto ma anche degli uomini, mariti-padri-fidanzati che, come diceva una compagna del MLAC “non hanno mai messo molto in discussione della propria vita, e non l’avrebbero forse messo se non ci fosse stato il contatto con il gruppo, l’occasione drammatica dell’aborto”. (Introduzione al libro “Aborto, facciamolo da noi. Una proposta di lotta per l’aborto libero e gratuito in strutture sanitarie pubbliche e un trattamento alternativo per le donne”, a cura di Eugenia Roccella, Napoleone editore, 1975).

Certo: vedendo l’on. Roccella l’errore di un tempo di Buttiglione, ci si poteva aspettare che chi apparteneva alle femministe “che apparivano come scalmanate odiatrici di feti” e sostenevano che “l’aborto esula dal territorio del diritto” (e quindi faceva parte della libera disponibilità e dell’autogestione del corpo delle donne: qui il feto non è odiato, è proprio cancellato) riconoscesse qualche errore anche da parte sua (forse l’ha fatto altrove): in realtà la lettera se la cava con la “radicalizzazione dello scontro” (“come accade sempre quando le lotte politiche arrivano nelle piazze”), cosicché “per anni non c’è stato posto per le sfumature” (a rileggere il brano del 1975, l’espressione sfumature appare, come dire, un po’ sfumata …).

Ma, lasciando da parte la capacità degli uomini politici di pentirsi, l’on. Roccella ha tutti i titoli, come si è visto, per accogliere l’on. Buttiglione tra le femministe e quindi nel valutare la considerazione circa l’affidamento del bambino alla madre da parte di Dio: “Non è un ripensamento, ma la verifica di un’impossibilità: non si può partire dall’opposizione donna contro bambino, se vogliamo tentare di combattere l’aborto, che è la soppressione di una preziosa e unica vita umana”.
Da dove dovremmo partire, allora? Dalla “fine di un pensiero che svalorizza la maternità e il patrimonio della differenza femminile, da parte laica come da parte cattolica. Perché l’antifemminismo laico esiste, eccome: e si nasconde proprio tra chi difende con più ardore l’assoluta uguaglianza, l’appiattimento delle donne sul modello maschile. È l’emancipazione, bellezza: come se le donne non potessero aspirare a nulla di meglio, e di più, che assomigliare agli uomini, disperdendo il patrimonio storico della differenza di genere”.
Avete capito? Nella famiglia tradizionale – marito, moglie, figli – in cui la donna partoriva ed accudiva i figli che Dio aveva mandato in collaborazione con il marito, nella piena fedeltà al disegno divino, vi era “un pensiero che svalorizzava la maternità e il patrimonio della differenza femminile … da parte cattolica”!

Pare alla Roccella che nel nostro paese non ci sia altro da fare, se non partire “dalla libertà di essere madri”.
Giacomo Rocchi

sabato 8 agosto 2009

Una mozione ipocrita/3

Analizziamo la frase dell’on. Buttiglione per comprenderne pienamente la portata.
Colpisce, in primo luogo, il riferimento a un disegno di Dio di affidare il bambino alla madre: sorprende che – in un’aula parlamentare, dove si dovrebbero approvare le leggi conformemente alla Costituzione – un componente faccia discendere direttamente dal proprio essere “bigotto” un orientamento relativo alla regolamentazione dell’aborto: perché è questo che Buttiglione fa.
Si tratta, però, chiaramente di un artificio dialettico – a dire la verità particolarmente sgradevole: se Buttiglione intende richiamarsi al suo essere cattolico, vuole forse rinnegare con questa sua frase l’insegnamento della Chiesa che definisce l’aborto come “abominevole delitto” e sottolinea che esso contribuisce gravemente alla diffusione di una mentalità contro la vita, minacciando pericolosamente una giusta e democratica convivenza sociale? O vuole forse respingere la sua grave responsabilità di parlamentare cattolico di rendere a tutti chiara e nota la sua opposizione ad una legge abortista e di non permettere che le sue iniziative o il suo voto vengano interpretati come “adesione ad una legge iniqua”?
Buttiglione se ne guarda bene: richiama, come si è detto, Dio, il Papa, i Vescovi ma, si potrebbe dire, ad colorandum, per darsi un’aria (niente di nuovo, si potrebbe osservare: di parlamentari democristiani che hanno accuratamente aggirato le proprie responsabilità nelle leggi contro la vita continuando a proteggersi dietro lo scudocrociato ne abbiamo visti tanti …).

Difendere il bambino in contrapposizione alla madre è giusto, ma impossibile”.
Due sottolineature sono necessarie: chi mette in contrapposizione madre e bambino? Cosa è giusto e cosa impossibile?
La contrapposizione tra madre e figlio non è affatto frutto di chi vuole che l’aborto volontario sia vietato e punito: al contrario è proprio il nucleo delle legislazioni abortiste, che hanno voluto scindere il destino della donna da quello del suo bambino in nome di diritti della prima ritenuti prevalenti su quelli del secondo; ma questa scissione porta in sé – come la sentenza della Corte Costituzionale del 1975 dimostra chiaramente – la negazione dell’essere il bambino “persona”, “vero uomo”. Una legislazione che vieta e punisce l’aborto volontario (salva l’applicazione delle scriminanti comuni) non contrappone affatto madre e bambino: permette a tutti – madre, padre e società – di considerare il bambino nella sua dignità umana, di difenderlo prima della nascita e di accoglierlo con amore dopo il parto.

Ma Buttiglione ritiene, comunque, che la penalizzazione dell’aborto sia giusta: attenzione! Qui il parlamentare – filosofo – giurista si riferisce proprio alle leggi, richiamando la distinzione tra leggi giuste e leggi ingiuste, inique.
Cosa significa, allora, affermare che una legge giusta (e quindi che il Parlamento ha il dovere di approvare) è nello stesso tempo impossibile? Buttiglione si riferisce all’impossibilità di raggiungere una maggioranza parlamentare che approvi una riforma della legge 194 oppure all’inefficacia di una legge che vieti e punisca l’aborto volontario rispetto all’obbiettivo di difendere i bambini?

Certo egli ha ben chiaro anche il primo aspetto: nell’illustrare la mozione alla Camera egli osservava che “su questo tema esiste, credo, un consenso di fondo del popolo italiano che, mentre non vuole la punizione della donna e del medico e mentre ritiene che la decisione di abortire vada rispettata, tuttavia non ritiene che si possa imporre ad una donna di abortire e che si possa utilizzare l'aborto come strumento sistematico di controllo delle nascite”.
Quanto conta, nel ragionamento di Buttiglione, questo essere minoranza, questa fatica di dover ripetere inascoltato concetti giusti ma rifiutati, di dover avanzare proposte destinate ad essere respinte?
Conta tantissimo: e lo dimostra la constatazione che egli non spiega affatto per quale motivo una legge che punisce l’aborto volontario sarebbe inefficace a salvare tante vite umane e, quindi, a ridurre il numero complessivo degli aborti.

Buttiglione lo fa intendere senza spiegare perché: e questo, per colui che il giornalista definisce “il più colto tra i politici italiani”, significa che cerca di ingannarci, vuole far credere che il suo atto di fede (che vedremo subito dopo) sulla bontà della legge 194 dipenda dall’inefficacia di una regolamentazione diversa dell’aborto, mentre, in realtà, egli consapevolmente si arrende sperando, così, di ritagliarsi uno spazio politico superando la conventio ad excludendum che colpisce tutti coloro che la verità la dicono per intero.
Basta, quindi, proclamazione del diritto alla vita: invece di proclamare sui tetti la verità riflettiamo “su come sia possibile difendere questo piuttosto puntando sul rafforzamento dell'alleanza originaria, naturale, tra madre e bambino, che tentando di difenderlo senza la madre, o peggio, contro la madre”.

Già, rifletta, onorevole Buttiglione: e provi a spiegare in che modo un’alleanza – quindi un rapporto tra due soggetti con pari dignità – viene rafforzata dalla regola per cui uno dei due – in qualunque momento, per qualunque motivo – può in ogni caso uccidere l’altro …
Questa non è un’alleanza: questo è un rapporto – come lucidamente spiega l’on. Turco nel passo sopra riportato – in cui uno dei due (la donna) non solo ha il potere di uccidere l’altro, ma ha il potere di riconoscergli o negargli la dignità di persona; il bambino non è più riconosciuto tale, la sua “vita biologica” non conta.
Giacomo Rocchi

giovedì 6 agosto 2009

Legalizzazione dell'aborto: questione chiusa? /2



L’on. Buttiglione, nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 17/7/2009, mostra di credere all’efficacia della sua iniziativa in un contesto internazionale: “Carlo Casini e Magdi Allam proporranno una risoluzione al Parlamento Europeo a favore della moratoria; se sarà approvata, come credo, sarà difficile per i 27 paesi d’Europa non sostenerla all’ONU. Luca Volontè presenterà la stessa risoluzione al Consiglio d’Europa … andrò in America, con il sostegno di Mary Ann Glendon, l’ex ambasciatrice presso la Santa Sede, che mi farà incontrare sia i movimenti per la vita, sia l’Amministrazione di Obama … Ne ho parlato con mons. Martino … ne parlerò con Berlusconi, ma anche con Angela Merkel”, e ancora: “tutti insieme possiamo unirci per cambiare le cose nei paesi in cui non esistono né la scelta, né la vita. Paesi in cui l’aborto è obbligatorio, come in Cina … e paesi – parte dell’India, dell’America Latina, dell’Africa – dove l’aborto è incentivato, perché ti danno il pane per i figli se rinunci a quello che sta per arrivare”.

Questo fervore ottimistico si accompagna (curiosamente?) all’evanescenza della proposta, già vista: davvero Buttiglione pensa che i governanti della Cina – che della moratoria sulla pena di morte si sono tranquillamente disinteressati, addirittura organizzando negli ultimi tempi (come riferisce Nessuno tocchi Caino) dei furgoni attrezzati per le esecuzioni capitali che si spostano in lungo e in largo per il loro macabro scopo – avranno dei ripensamenti al leggere (forse) la risoluzione dell’ONU?

Sembra quasi che l’on. Buttiglione prenda atto che l’unico modo per raggiungere un consenso in tema di aborto sia quello di non parlar male dell’aborto in sé e di affermare la liceità di ogni liberalizzazione dell’aborto.
La sostanza della mozione, in realtà, è proprio questa (e il proponente non fa nulla per nasconderlo, come vedremo): ma intanto si intravede in trasparenza che gli obbiettivi sono tutti interni, tutti insiti nel quadro politico nazionale: “Continuo a perseguire lo stesso progetto del ’94: ricostruire il centro. Occorre che si spacchi il PD e rinasca il partito popolare. Se Bersani vincerà il congresso, lascerà liberi i popolari, recuperando parte della sinistra e svuotando Di Pietro; a quel punto l’alleanza sarà possibile. Se però Berlusconi non si ricandidasse a Palazzo Chigi, allora potremmo andare dall’altra parte …”; e per raggiungere questi scopi non fa mai male tirare per la manica il Papa (“Il Papa spero proprio che sia contento”) e pavoneggiarsi attribuendosi un ruolo centrale nella politica mondiale (“Il presidente Obama ha promesso al papa che si batterà per far diminuire il numero degli aborti, ma non vuole entrare in contraddizione con la sua politica: la moratoria può essere il modo di trarsi dall’imbarazzo”; chissà se quel Presidente – preoccupato e pensieroso al ritorno da Roma – leggendo l’intervista di Buttiglione non abbia esclamato: “Yes, we can!”).

E allora rileggiamo il dispositivo della mozione per coglierne il significato effettivo: confrontiamo le premesse con le conclusioni.
La premessa? Ogni uomo – e ogni “fanciullo”, concetto in cui Buttiglione giustamente inserisce anche i non ancora nati – ha diritto alla vita e di essa non può essere privato arbitrariamente: la legge deve proteggerne la vita.
Le conclusioni (il “dispositivo” della mozione)? L’aborto non può essere strumento di controllo demografico e le donne non possono essere costrette ad abortire.

Non si vede il salto logico? Applicando la mozione alle persone già nate, la mozione direbbe: gli uomini hanno diritto alla vita … nessuno può essere obbligato ad uccidere … peccato che tutte le legislazioni nazionali (conformemente agli accordi internazionali), semplicemente stabiliscono che “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con il carcere”, infliggendo pene severe (talvolta la morte).
Nel caso dei bambini non ancora nati, invece, non si parla di pena per chi li uccide: si parla esclusivamente di violazione della libertà della donna di decidere se abortire o meno.

Come giustifica Buttiglione questo evidente salto logico? Leggiamo sull’intervista al Corriere della Sera questa frase: “Da bigotto che sono, lo dico teologicamente: Dio affida il bambino alla madre in un modo così particolare, che difendere il bambino in contrapposizione alla madre è giusto, ma impossibile. Dobbiamo sostenere la madre, renderla libera: più sarà libera, più sarà difficile che rinunci al bambino”.
Nel presentare la mozione alla Camera Buttiglione aveva usato parole simili: “è … difficile negare che Dio affida il bambino alla madre in un modo del tutto particolare, tanto che la difesa dei diritti del bambino contro la madre è una difesa forse necessaria, ma forse anche impossibile. Pertanto quelli che, come me, hanno difeso fermamente il diritto alla vita, devono tutti riflettere su come sia possibile difendere questo piuttosto puntando sul rafforzamento dell'alleanza originaria, naturale, tra madre e bambino, che tentando di difenderlo senza la madre, o peggio, contro la madre”.
In sostanza: l’unico modo per difendere il bambino dalla morte è lasciare alla madre la piena libertà di ucciderlo o di salvarlo. “… la libertà della donna, quando la donna è veramente libera, serve a salvaguardare la vita del bambino”. Proprio quello che la on. Livia Turco ha sottolineato (Buttiglione la loda): “il principio di libertà di scelta delle donne che è un potente principio etico, l'unico che può accogliere la vita e l'unico che può prevenire l'aborto”.
La on. Turco, en passant, si spinge un po’ oltre (forse l’on. Buttiglione non ascoltava): “La libertà di scelta e la responsabilità verso la procreazione è un potente principio etico … perché è la capacità di accoglienza delle donne ciò che genera la persona, la persona e non soltanto la vita biologica”.

Giacomo Rocchi

mercoledì 5 agosto 2009

Il veleno e la vita

La nostra vita è spesso insidiata da veleni, alcuni hanno effetti immediati e letali, altri si accumulano, senza che noi lo immaginiamo, nel nostro organismo e, poi, danno origine a malattie che ci uccideranno, altri ancora li assumiamo più o meno consci del loro effetto nocivo e a lungo termine mortale.

Per contrastare l'effetto venefico di molte sostanze, l'uomo, da sempre, cerca antidoti che facciano vivere, che riducano gli effetti malefici; inventa medicamenti. In passato, però, ideologie malvagie, condannate dalla storia, hanno applicato la medicina e la farmacologia allo sterminio di uomini considerati inferiori per ragioni di razza o per idee politiche.

Oggi, la nuova ideologia egolatrica, attenta al benessere e al momento presente, priva di una qualsivoglia visione metafisica, intrappolata in un materialismo dialettico, senza più speranza nel sol dell'avvenire, taglia i ponti con il futuro inventando veleni che uccidono la vita nascente, dopo aver sperimentato e applicato per lunghi anni tecniche chirurgiche di macellazione del feto.

La vita nascente racchiusa nel figlio portatore di speranza, perché lanciato verso quel futuro che è negato al genitore per ragioni d'anagrafe, deve essere uccisa quando non è programmata o voluta e per mille altre validissime ragioni a tutela di donne sempre più egoiste.

L'atto omicida non deve, però, sconvolgere la coscienza della madre, visto che la legge voluta dal popolo sovrano dice che uccidere un bimbo indifeso non è più reato, per questo il veleno si adatta meglio allo spirito della legge. Puoi eliminare tuo figlio all'interno delle calde mura domestiche, senza doverti sottoporre alla violenza dell'aborto ospedaliero che si concreta nella asportazione fisica, pezzo per pezzo, di quell'altro che è dentro di te.

No !! Tutto questo è inaudito, meglio il veleno, più dolce; sono sufficienti due deglutizioni e non c'è violenza fisica, solo qualche perdita abbondante di sangue e, in più, lo Stato risparmia, meno ospedalizzazione.

Ecco spiegato il duplice beneficio di un metodo abortivo pulito, economico, con qualche effetto collaterale (forse la morte della madre, ma solo in 29 casi, poca cosa) che, però, non coinvolge la responsabilità del medico (altra grande conquista) che si è limitato a salvaguardare il diritto inviolabile della donna prescrivendo la RU 486. Del resto tutti i preparati farmacologici, in casi rari, possono avere quale conseguenza la morte dell'assuntore; è nozione statistica.

Quale il motivo di tanto rumore davanti ad un veleno che risolve molti problemi, fa risparmiare, ed è conforme ad una disciplina legale che favorisce la morte in luogo della vita.

Smettiamo di essere ipocriti, la maggioranza vuole che la donna possa dare la morte al figlio che porta in grembo e allora tutto il resto è una conseguenza diretta di una scelta omicida certificata e sovvenzionata dallo Stato.
L'unica vera soluzione è il ritorno al passato: aborto = reato, se la vita è un valore che deve sempre essere difeso, tertium non datur.
Pietro Brovarone

martedì 4 agosto 2009

Legalizzazione dell'aborto: questione chiusa? /1





Come non concordare con il contenuto della mozione proposta dall’on. Buttiglione ed approvata dalla Camera dei Deputati il 15/7/2009?

La mozione “impegna il Governo a promuovere la stesura e l'approvazione di una risoluzione delle Nazioni Unite che condanni l'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico ed affermi il diritto di ogni donna a non essere costretta ad abortire”.
Come non ricordare che, nelle premesse, la mozione ricorda i documenti internazionali che affermano il diritto alla vita di ogni essere umano (art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), impongono che la vita umana sia protetta dalla legge e vietano di privare arbitrariamente della vita qualcuno (art. 6 dell’Accordo internazionale sui diritti civili e politici) e riconoscono il diritto alla vita anche al fanciullo (art. 6 della Convenzione sui diritti dell'infanzia)?
Come non sottoscrivere i passi in cui si constata che “la diffusione nel mondo della pratica dell'aborto selettivo a danno prevalentemente delle concepite di sesso femminile sta provocando in alcune aree geografiche un forte squilibrio fra i sessi” e in cui si lamenta che “è sempre crescente il numero delle legislazioni straniere che attivamente promuovono l'aborto come strumento di controllo demografico e delle politiche che colpiscono con sanzioni di vario genere le donne che rifiutano l'aborto”?

Eppure non possiamo esimerci da alcune riflessioni.

Prendiamo l’avvio dall’esame dello strumento che è stato scelto: una mozione parlamentare. Il Parlamento approva anche mozioni, ma quando lo fa un punto è chiaro: non viene esercitato il potere tipico del Parlamento, quello di approvare o modificare leggi: quindi il presupposto della mozione era evidente: “la legge 194 sull’aborto non si tocca”.

Torneremo su questo punto centrale, ma continuiamo ad analizzare questo primo aspetto: la mozione, come si è visto, è diretta al Governo: esso dovrebbe agire nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per promuovere la stesura e l’approvazione di una risoluzione. Si notino gli innumerevoli passaggi che il testo prevede: al Governo non viene fornito il testo della risoluzione già preparato, ma solo suggerito il tema della risoluzione che deve essere ancora redatto; se mai si dovesse raggiungere l’accordo su un testo di risoluzione esso dovrebbe essere portato all’approvazione dell’Assemblea dell’ONU; e l’on. Buttiglione (e la Camera con lui) spera che questo testo (che ancora non esiste) venga approvato …

Ammettiamo pure che si giunga a questo risultato: la risoluzione dell’ONU avrebbe qualche effetto sul comportamento dei Paesi che ne fanno parte? Avrebbe valore vincolante? Servirebbe a impedire l’utilizzo dell’aborto come strumento di controllo demografico?

Nel presentare la mozione Buttiglione si è collegato alla vicenda della Risoluzione, approvata dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite su iniziativa dell’Italia, per la moratoria della pena di morte: “È stata una battaglia lunga, difficile, ci sono voluti molti anni ed è stata necessaria una grande mobilitazione dell'opinione pubblica, italiana e di altri Paesi, ma un numero crescente di Paesi ha riconosciuto la giustezza di quella battaglia, ha riconosciuto che la dignità e la vita dell'uomo hanno un valore così alto da non consentire la distruzione della vita umana, anche se colpevole”.
Ma la moratoria è stata rispettata? No.
Come dimostra il Rapporto di “Nessuno tocchi Caino”, nell’anno successivo, il 2008, “le esecuzioni sono state almeno 5.727, a fronte delle almeno 5.851 del 2007 e delle almeno 5.635 del 2006”: quindi il dato complessivo è rimasto stabile, in alcuni paesi (Giappone e Indonesia) vi è stato un drastico aumento delle esecuzioni capitali, altri paesi (tra cui Guatemala, Liberia, Giamaica e Stati Uniti) hanno esplicitamente interrotto la moratoria in corso (quanto agli Stati Uniti, con la decisione della Corte Suprema sulla legittimità del metodo dell’iniezione letale), altri hanno invece ridotto o sospeso le esecuzioni capitali.
In sostanza l’effetto della Risoluzione ONU è stato nullo: sempre che si pensasse a salvare la vita a molti condannati.

Ma il riferimento a quell’iniziativa dell’Italia è significativo: la risoluzione approvata dall’ONU non imponeva alcunché agli Stati membri, che erano solo invitati a “limitare progressivamente l’uso della pena di morte” (“ammazzateli pure … ma un po’ meno!) e a “stabilire una moratoria delle esecuzioni nella prospettiva dell’abolizione” (“tenete un anno in più i condannati nel braccio della morte … e poi decidete liberamente cosa fare”: l’abolizione della pena di morte è solo una prospettiva, non un’indicazione dell’ONU).

Insomma: l’on. Buttiglione ha scelto lo strumento e la procedura che permettono di affermare con certezza l’assoluta inutilità di quanto approvato: la mozione non vincola nessuno (il Governo cosa dovrebbe fare in concreto?) e non cambia la legislazione, mentre l’improbabile risoluzione dell’ONU altro non sarebbe che vuote parole al vento.

Una domanda, allora: quali sono le effettive ragioni che hanno mosso l’on. Buttiglione?
Giacomo Rocchi