sabato 10 aprile 2010

Meglio nessuna legge!/1


Non nutriamo nessuna stima nei confronti della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che, da anni, si presta ad allargare i diritti e le libertà personali sempre in una sola direzione, quella del libertarismo "spinto" e dello smantellamento delle radici vere dell'Europa.

Diciamo subito che il risultato che la Corte ha raggiunto nel valutare la legittimità della legge austriaca che vieta la fecondazione eterologa è grottesco: la legge è stata ritenuta illegittima perché viola la norma (articolo 8 della Convenzione) sul rispetto della vita privata e familiare!

Ciò premesso, la decisione pronunciata nei confronti dell'Austria contiene dei passaggi davvero significativi.

Come è noto i ricorrenti erano due coppie sposate infertili (ovviamente adeguatamente selezionate, come è successo anche nei casi italiani): la prima aveva necessità del seme maschile di una terza persona, poiché il marito era sterile; la seconda aveva necessità di utilizzare un ovocita prodotto da una terza donna, poiché la moglie non produceva ovociti (pur essendo il suo utero adeguato ad accogliere una gravidanza).
La legge austriaca vieta in ogni caso la donazione degli ovociti; quanto all'uso di sperma permette quello di un terzo donatore "solo in circostanze eccezionali" e soltanto se lo stesso viene usato in pratiche di fecondazione in vivo (non per quelle in vitro).

Lo Stato Austriaco, nel difendere davanti alla Corte la legittimità della regolamentazione, utilizzava argomentazioni che ben conosciamo per averle sentite in riferimento alla legge 40 italiana: il divieto della fecondazione in vitro con seme od ovociti di terzi donatori era giustificato obbiettivamente e ragionevolmente, perseguendosi lo scopo legittimo di proteggere la salute e il benessere delle donne e dei bambini coinvolti nonché di salvaguardare i principi etici generali e i valori morali della società; era stato raggiunto un giusto bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che, da una parte, permette la riproduzione artificiale, dall'altra pone alcuni limiti (verrebbe da dire: "paletti") laddove lo stato attuale della scienza medica e lo sviluppo sociale ancora non permettono determinate pratiche.

La Corte parte da una constatazione (sulla base di uno studio di qualche anno fa): nel campo della fecondazione assistita non esiste un approccio uniforme delle legislazioni dei vari Paesi facenti parte della Convenzione: in alcuni paesi le tecniche vengono regolate, più o meno in dettaglio, in altri paesi no; alcune tecniche vengono permesse, altre vengono proibite nei singoli Paesi.
Fatta questa premessa la Corte osserva che, poiché l'uso della fecondazione artificiale fa sorgere obiezioni morali ed etiche e fino a quando non esiste un terreno comune fra i diversi stati, i margini di discrezionalità che devono essere riconosciuti al singolo stato devono essere ampi.

In linea di principio il margine giunge anche alla decisione di non intervenire sulla materia.

Questa affermazione viene ripetuta ancora più esplicitamente:

"La Corte ritiene che le preoccupazioni basate su considerazioni morali o sull'accettabilità sociale non solo da sole ragioni sufficienti per un divieto completo su una tecnica specifica quale quella dell'ovodonazione. Queste ragioni
possono avere un peso particolare nella fase della
decisione se permettere o meno la fecondazione artificiale in generale, e la Corte sottolinea che non
esiste un obbligo per lo Stato di adottare una
legislazione del genere e di permettere la fecondazione artificiale.

Tuttavia, una volta che è stata presa la decisione di autorizzare la procreazione artificiale, nonostante gli
ampi margini riconosciuti agli Stati contraenti, la regolamentazione legale deve essere disegnata in
maniera coerente che permetta di prendere in adeguata
considerazione i differenti interessi coinvolti e deve accordarsi con gli obblighi derivanti dalla Convenzione (Europea dei Diritti dell'Uomo)"

Rifletteremo sulla portata di questa affermazione nel prossimo post.


Giacomo Rocchi