mercoledì 28 maggio 2014

La difesa della vita ha bisogno di verità: un punto fermo per la strategia prolife. 2. La fedeltà alla verità come strategia prolife

Nell'articolo precedente ho cercato di individuare le cause del disastroso fallimento della strategia perseguita da chi volle a tutti i costi l'approvazione della legge 40 sulle fecondazione artificiale, nonostante la tenace opposizione di un minoritario gruppo di prolife: il tradimento della verità.

La fedeltà alla verità ha due aspetti, entrambi importanti.

Il primo è quello che il prof. D'Agostino, nell'articolo su Avvenire del 15 aprile, definisce la "verità delle cose": è l'adesione alla realtà naturale, il riconoscimento – senza nessuna censura, né verso se stessi, né verso gli altri – di cosa avviene veramente; cosicché una raffigurazione "vera" della fecondazione in vitro parte dalla constatazione che gli embrioni prodotti sono esseri umani, passa dalla morte certa e prevista della maggior parte di loro, valuta per quello che sono le barbare pratiche del congelamento, della diagnosi preimpianto e della sperimentazione sugli embrioni.
Non solo: un atteggiamento fedele alla realtà non nasconde l'ideologia della fecondazione in vitro, che produce l'uomo, lo seleziona, lo fornisce ai richiedenti, lo rende un prodotto esente da difetti o utile per gli esperimenti … basta pagare.

Vi è poi la verità sulle leggi. Si tratta di un giudizio diverso e – direi – molto più difficile, che il Comitato Verità e Vita ha nel suo DNA. 
La difficoltà nel giudicare una legge sta innanzitutto nel tecnicismo che inevitabilmente è richiesto, soprattutto nell'epoca contemporanea in cui le leggi sono sempre più complesse; vi è poi il problema delle "leggi ipocrite", quelle il cui testo nasconde la portata effettiva della decisione politica che è stata assunta: le leggi degli ultimi decenni in materia bioetica descrivono, di solito, un "procedimento", un "protocollo", il cui esito è la condotta che – di fatto – viene autorizzata (ad esempio: le pratiche di fecondazione in vitro, oppure l'aborto volontario o ancora – si pensi al famigerato "protocollo di Groningen" – l'uccisione di un bambino).

Non vi è dubbio che è più facile criticare aspramente un progetto di legge piuttosto che una legge definitivamente approvata: lo dimostra la battaglia a viso aperto che i Giuristi per la Vita, la Nuova Bussola Quotidiana e altri soggetti stanno facendo per contrastare l'approvazione della liberticida legge sull'omofobia; nonostante la censura dei media, in qualche modo è possibile argomentare e denunciare il reale contenuto del progetto di legge e gli effetti che esso avrà se definitivamente approvato, suscitando una grande attenzione nella popolazione.
Una discussione del genere fu tacitata prima dell'approvazione della legge 40, in conseguenza della scelta fatta dall'alto: si impedì alle persone di comprendere ciò che veniva autorizzato.

Molto più difficile è l'opera successiva all'approvazione della legge. 
La caratteristica delle leggi ingiuste è di stravolgere e nascondere la verità sulla loro natura e sui loro effettivi contenuti, ma anche sulla realtà sottostante, sulle pratiche che si autorizzano: sulla "verità delle cose".
Ciò è già evidente per le pratiche di fecondazione in vitro: provate ora – solo dieci anni dopo l'approvazione della legge 40! – a convincere le persone che gli embrioni prodotti sono esseri umani e che la maggior parte di loro muore! O che queste tecniche sono antiumane, ledono la dignità degli esseri prodotti, spingono inevitabilmente verso la selezione eugenetica! 
Come dimenticare che i primi commenti "ufficiali" da parte cattolica sui primi anni di attuazione della legge 40 evidenziavano con soddisfazione che la legge "funzionava", tanto che il ricorso alla fecondazione in vitro era aumentato!
Quello che si poteva – anzi: si doveva! – dire di male della fecondazione artificiale fu tenuto nascosto ai più prima dell'approvazione della legge; ora – quando ormai le tecniche sono fornite dal Servizio Sanitario nazionale – è molto più difficile, perfino nel mondo cattolico.

E così la battaglia contro le leggi ingiuste è ardua, difficile, è percepita con fastidio perché non riesce a far emergere l'essenza di quella legge e della pratica ingiusta che autorizza.

Lo stato dell'opposizione alla iniqua legge sull'aborto, che da 36 anni permette di uccidere legalmente i bambini in Italia, ne è la dimostrazione: non solo la popolazione ritiene l'autodeterminazione della donna un dato acquisito, indiscutibile, e ritiene impossibile metterlo in discussione, ma la natura stessa dell'aborto – l'uccisione cruenta di un essere umano vivo e felice – è ormai quasi ignorata; il bambino non c'è più, è nascosto, dimenticato.

Forte è, quindi, la tentazione di condurre battaglie parziali. 
Ma si può davvero – ad esempio – spingere per una maggiore presenza dei Centri di Aiuto alla Vita negli ospedali senza contestualmente ribadire l'iniquità della legge? Oppure il patto tacito è quello di non contestare l'ingiustizia della legge (fino all'eccesso di zelo di qualcuno che ha definito la legge la "migliore possibile")?
Il criterio non può che essere quello della verità integrale, sulla legge e sull'aborto: solo se affermo pubblicamente che è ingiusto che la legge permetta alla donna incinta di scegliere liberamente di uccidere il proprio figlio e che, quindi, questa legge deve essere spazzata via, allora potrò davvero aiutare la donna a "scegliere" di non uccidere, indicandole la natura dell'atto che la legge le permette di compiere.
Molte battaglie parziali – una fra tutte: quella contro la RU486 contrapposta all'aborto chirurgico – sembrano talvolta voler nascondere la verità intera: quasi che si voglia parlare d'altro per distrarre il popolo prolife dall'obiettivo – l'unico vero obiettivo che si debba perseguire: il divieto dell'aborto volontario, la negazione del principio di autodeterminazione.

Ecco perché la Marcia per la Vita – cui il Comitato Verità e Vita aderisce con entusiasmo – è quasi un miracolo: ha permesso di rimettere al centro la verità integrale sull'aborto e la verità integrale sulla legge 194, senza riserve, senza frasi lasciate a metà, senza eccessiva preoccupazione per i timori dei politici "amici" (che, ormai lo abbiamo capito, diranno sempre che "non è il momento", che "si rischia di peggiorare la legge" e che "bisogna lasciar fare a loro" …).

L'unica strategia del mondo prolife è la verità tutta intera: e così dovremo tutti imparare a dire che – come la matrigna legge 194 – la legge 40 è "integralmente iniqua" e che la fecondazione in vitro deve essere, senza se e senza ma, vietata dalla legge, così come l'aborto volontario.

Attenzione: la battaglia sull'eutanasia sta per riprendere! 
Davvero il mondo cattolico e prolife vuole ripetere l'errore fatto per la fecondazione artificiale con la legge 40? Davvero – come è successo nella precedente legislatura, in cui siamo arrivati ad un passo dall'approvazione di una legge sulle DAT "cattolica" (!) – rinunceremo a dire che un anziano, un disabile o un neonato prematuro sono uccisi se vengono lasciati morire, anche se, tempo prima, hanno lasciato scritto qualcosa o i genitori hanno deciso così; e che l'unica legge giusta per queste uccisioni è la norma penale sull'omicidio volontario?


Giacomo Rocchi

lunedì 26 maggio 2014

La difesa della vita ha bisogno di verità: un punto fermo per la strategia prolife. 1. Il disastro

Francesco D'Agostino, su Avvenire del 15 aprile, con l'articolo "L'etica essenziale" commentava la sentenza della Corte Costituzionale che ha spazzato via il divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge 40 del 2004 e l'episodio di scambio di embrioni avvenuto all'Ospedale "Pertini". L'autorevole autore osservava che i commenti eludono il "cuore della questione", vale a dire "l'essenza del problema della procreazione assistita, che non è sanitario, né giuridico, ma etico". 
Il prof. D'Agostino ammoniva: "di etica dobbiamo parlare, perché l'etica non trova le sue radici nelle sentenze dei giudici, ma nella verità delle cose".

La "verità delle cose": un richiamo forte per me, chiamato alla presidenza del Comitato Verità e Vita al posto di Mario Palmaro, che definiva la nostra associazione "una piccola compagnia di gente che non si prefigge di cambiare il mondo a colpi di male minore e di compromessi, ma affermando qui e ora tutta la verità, pur sapendo che è messa in minoranza dall'opinione pubblica"!

Ma quale è l'essenza della fecondazione in vitro, la "verità delle cose"? 
"La procreazione assistita non è terapia, ma artificio; realizza sì, il desiderio genitoriale, ma col sacrificio di un numero spropositato di vite umane embrionali, create appositamente in provetta; altera i vincoli familiari (…); fa venire al mondo esseri umani per i quali la domanda identitaria fondamentale ("di chi sono figlio?") può arrivare a non avere risposta alcuna". 
D'Agostino concludeva richiamando ancora – due volte in una sola frase! – la verità: "La verità è che, fondandosi sul sistematico occultamento della verità generativa, la procreazione artificiale fa violenza a tutte le persone coinvolte in questa procedura".

consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita": l'essenza della legge 40 del 2004 sta in questo periodo dell'art. 1: di fronte all'alternativa tra vietare e permettere quelle pratiche, la scelta fu la seconda: "è consentito".
Certo: quella scelta era circondata da finalità ("Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, è consentito …"), da limiti ("è consentito … alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge") e da garanzie ("la presente legge … assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito"). Sono i "paletti", caduti velocemente uno ad uno: nessun collegamento vincolante con i problemi di sterilità di coppia, sovrapproduzione degli embrioni, diagnosi preimpianto e selezione, congelamento selvaggio, nessun diritto per gli embrioni, tutti i diritti per i desideri degli adulti (mancano alcuni paletti: ma come sperare che anch'essi non saranno travolti?); soprattutto, il sacrificio di centinaia di migliaia di embrioni creati appositamente in provetta.
Ecco che i veli cadono e la verità sulla legge 40 appare con nitidezza: una legge che non solo permette, ma riconosce come diritto garantito e finanziato dallo Stato una pratica di violenza sugli esseri umani, che si fonda sulla menzogna, presentando come terapia pratiche che – con la morte programmata di innumerevoli esseri umani – servono a soddisfare ad ogni costo i desideri – qualunque desiderio! – degli adulti.

Giunti a questo punto, una domanda provocatoria: possiamo parlare di strategie? 
Beh, direi che dobbiamo parlare di strategie, visto che la legge 40 è stata ideata, approvata e difesa, sotto la spinta del principale Movimento prolife del nostro Paese, dal mondo cattolico ufficiale, che ha ritenuto la legge sulla fecondazione artificiale "un primo passo nella giusta direzione" e che ha esclamato: "finalmente è finito il far west della provetta!".
Il fallimento della strategia è un fatto oggettivo, di cui non si può che prendere atto: il "far west della provetta" è stato in realtà legalizzato e reso definitivo. 
Le previsioni fatte da chi ha sostenuto la legge sono state oggettivamente smentite: basta leggere le risposte ad alcune domande del Presidente del Movimento per la Vita, nel libro pubblicato subito dopo l'approvazione[1]: "La legge è anticostituzionale? No, assolutamente. È una legge antieuropea? Al contrario. Da dove risulta che la diagnosi preimpianto è vietata? Lo stesso art. 13 alla lett. b) del terzo comma vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico e il primo comma vieta la soppressione di embrioni".

Il fallimento di una strategia – in ambiti diversi dal nostro – provocherebbe dimissioni o pentimenti pubblici; ma qui interessa piuttosto capire perché quella strategia è fallita e perché le previsioni erano sbagliate. 
Davvero possiamo rifugiarci dietro le toghe dei "magistrati cattivi e politicizzati"? 
Per quanto tempo potrà essere utilizzato il "far west" per giustificare, a decenni di distanza dall'approvazione della legge, il disastro che vediamo, il fenomeno che il prof. D'Agostino definisce di "una società che cammina a grandi passi verso la propria auto-dissoluzione"?
E tra questi "grandi passi" verso la autodissoluzione non c'è forse quel "primo passo" che – ahimè – non era affatto "nella giusta direzione"?

Due risposte possibili alle domande sui motivi del fallimento.
La prima: la legge 40 è stata frutto di una strategia ingenua, che riteneva di essere in grado di piegare a finalità "buone" (la cura della infertilità delle coppie coniugate, quindi stabili, eterosessuali, disponibili all'accoglienza dei bambini) una tecnica di origine zootecnica, sviluppata per la selezione e che quindi porta in sé sovrapproduzione, congelamento, diagnosi preimpianto, distruzione, sperimentazioni sugli embrioni. Un'ingenuità pagata a caro prezzo, con la caduta di tutti i paletti, travolti dalla potenza economica, scientifica e mediatica della fecondazione artificiale, un business enorme in tutto il mondo, capace di convincere, in un modo o nell'altro, chiunque …

La seconda: fu approvata a tutti i costi una legge di compromesso, con la consapevolezza degli effetti dell'applicazione delle tecniche - primo fra tutti: la morte di innumerevoli embrioni - nell'indifferenza verso l'obiettivo della difesa integrale della vita e della famiglia. 
Lo si fece per vincere una singola battaglia politica, disinteressandosi dell'esito della guerra.
Che questa sia la risposta esatta (che non esclude un buon tasso di ingenuità) si coglie da tanti aspetti: ad esempio dal fatto che, da molti anni, un gruppo di sinceri prolife aveva pubblicamente ammonito che "la fecondazione umana extracorporea (omologa ed eterologa) è eticamente inaccettabile in quanto viola il diritto alla vita e la dignità della persona umana; (essa) comporta la decisione di ricercare la nascita di un figlio mediante l'intervento di tecnici estranei, pur nella consapevolezza del sacrificio di embrioni fratelli; non è un trattamento terapeutico perché non cura né rimuove le cause della sterilità"[2], continuando, fino all'approvazione della legge 40, a ribadire che "il riconoscimento del diritto alla vita fin dalla fecondazione è intrinsecamente impossibile usando la tecnica FIVET,  non importa se omologa o eterologa. L'aborto entro tempi in genere brevissimi di ogni concepito-in-provetta è infatti un aborto procurato, volontario e, in ultima analisi, premeditato"[3]

Il Comitato Verità e Vita è stato costituito subito dopo l'approvazione della legge 40 per continuare ad affermare queste verità.

Eppure la scelta fu di permettere la fecondazione in vitro omologa e di vietare quella eterologa; disciplina giustificata con una distinzione artificiosa, non a caso oggi esplicitamente sconfessata dal prof. D'Agostino: da una parte vi sarebbe una distruzione programmata e premeditata di embrioni derivante dalla loro sovrapproduzione, congelamento e selezione, dall'altra la morte – non procurata direttamente, né programmata – della stragrande maggioranza di embrioni prima e dopo il trasferimento in utero. 
Si giunse addirittura a sostenere che "una volta che gli embrioni sono trasferiti in utero essi sono affidati alla natura. Molti muoiono anche nel caso di fecondazione naturale e comunque manca una programmazione diretta e premeditata della distruzione di nuovi esseri umani"[4]: un artificio semantico, che cancellava dallo scenario centinaia di migliaia di embrioni morti dopo la produzione, ritenendo "uccisi" solo pochi di essi.
L'ipocrisia di tale posizione – che giungeva a presentare il ricorso alla fecondazione in vitro omologa nell'ambito della legge 40 come un problema di "morale cattolica" – era ben rappresentata dal numero massimo, fissato dalla legge, di embrioni producibili: tre; da esso si deduceva che uno o due embrioni prodotti erano comunque destinati alla morte. Sarebbe stata la Corte Costituzionale a svelare l'ipocrisia, individuando nella legge "un limite alla tutela apprestata all’embrione, poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a gravidanza"[5].
Che dire poi del congelamento degli embrioni, deprecato in pubblico e permesso esplicitamente dall'art. 14, comma 3 della legge? E del mancato espresso divieto della diagnosi genetica preimpianto, tecnica ampiamente conosciuta all'epoca di approvazione della legge 40? E dell'esplicita "salvezza" delle norme della legge 194 sull'aborto anche per i (pochissimi) embrioni che fossero riusciti ad impiantarsi nell'utero materno?

Il fallimento della strategia che ha portato all'approvazione della legge 40 del 2004, a mio parere, ha una vera ed unica causa: il tradimento della verità
Si fingeva di voler autorizzare le tecniche di fecondazione artificiale per casi limitati e solo per scopi "buoni"; in realtà si accettava la logica della fecondazione in vitro e le inevitabili conseguenze che essa portava. Le sentenze dei giudici e della Corte Costituzionale sono, quindi, commentate con indignazione apparente da chi aveva previsto (o almeno: non poteva non averlo fatto) l'evoluzione in atto.
Eppure, con il Manifesto Appello del 28/2/2004, il Comitato Verità e Vita denunciava che "senza sacrificare embrioni umani non è possibile fare la FIVET omologa. Il diritto alla vita degli embrioni dei quali sia avvenuto l’impianto è violato a favore del principio di autodeterminazione della madre, in forza della confermata vigenza della legge 194/78. (La FIVET)  riduce l’uomo-embrione a oggetto da usare come mezzo per ottenere una gravidanza; incoraggia la selezione eugenetica dei concepiti per l’eliminazione dei difettosi; crea le premesse per l’uccisione dei gemelli con l’aborto selettivo – legale in forza della legge 194/78 – nel caso di gravidanze plurime. Inoltre, non è oggettivamente possibile garantire una effettiva tutela giuridica a un embrione umano che si trovi fuori del corpo della madre"[6].

E allora: quale strategia è necessaria? Lo vedremo nel prossimo articolo.

Giacomo Rocchi




[1] Carlo Casini, La legge sulla fecondazione artificiale. Un primo passo nella giusta direzione, Cantagalli, Siena, 2004
[2] Un annuncio doveroso, Studi Cattolici, novembre 1998
[3] Lettera alla Conferenza Episcopale italiana e a tutti i vescovi italiani, 1/1/2002
[4] Movimento per la Vita Italiano, Primo Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40, Si alla Vita, Agosto 2007
[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 151 del 2009
[6] Manifesto Appello, Una legge gravemente ingiusta: la verità sulla fecondazione artificiale in vitro, http://www.comitatoveritaevita.it/pub/nav_Manifesto_Appello.php