domenica 28 settembre 2008

Bagnasco/Eutanasia

"La vita umana è sempre, in ogni caso, un bene inviolabile e indisponibile, che poggia sulla irriducibile dignità di ogni persona, dignità che non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un'esistenza".

Che valore vuole dare il cardinal Bagnasco a questo solenne proclama? Valore - per usare le sue stesse parole - "legale", un'indicazione tassativa per il legislatore? Pare di no: manca, infatti, quello che sarebbe un'ovvia conseguenza, il divieto di uccidere chiunque - cosciente o incosciente, sano o malato, che abbia o meno redatto dichiarazioni anticipate e così via.
Questo ci si poteva aspettare: ma Bagnasco si limita a guardare "con fiducia alle sfide che il Paese ha dinanzi a sé, sicuri che il nostro popolo - con l'aiuto del Signore - saprà trovare le strade meglio corrispondenti alla sua voglia di futuro e alla sua concreta vocazione"; una chiusura un po' vaga, piuttosto debole, tenuto conto che si parla di futuro di persone che rischiano di morire per mano altrui ...

Del resto è generico - e anche molto discutibile - l'esaltazione di "quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l'ordinamento italiano": i cinque milioni di aborti legali resi possibili da una legge del nostro ordinamento non contribuiscono a contraddistinguerlo?


Le conclusioni sono generiche e prive di valore vincolante (e quindi si riferiscono non agli obblighi del legislatore, ma alle convinzioni morali e religiose) perché, come si è visto nei precedenti commenti, in realtà la prolusione dà il via libera alla possibilità di uccidere soggetti che - con dichiarazioni certe, esplicite e rese in forma inequivocabile - abbiano disposto che, in un loro futuro incerto, determinate terapie non debbano essere erogate o debbano essere sospese, non sulla base di una nozione oggettiva di accanimento terapeutico e alla luce di una valutazione ponderata e responsabile del medico curante, ma di un loro diritto - che altro non è che il diritto a disporre della propria vita, a far sì che altri possano violarla.

Come il "valore" legale di queste dichiarazioni anticipate possa permettere la permanenza di un "rapporto fiduciario tra il medico e il paziente", quando il primo rischia di diventare l'interprete e l'esecutore delle volontà del secondo, non si comprende; come sia compatibile con la garanzia di una effettiva "presa in carico dell'ammalato" - al quale, in ogni momento, verrà posta l'implicita o esplicita domanda se intende proseguire le cure o interromperle e quali sono le sue intenzioni per il futuro ("non vorrai mica restare per anni in coma?"), davvero non si vede.

Chiediamoci allora cosa intende il Presidente della CEI quando si raccomanda che "non vengano in alcun modo legittimate forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico"; perché la sottolineatura in negativo dell'abbandono terapeutico? Perché si tratta di cessazione di cure in mancanza di richiesta del malato; non si è forse già sottolineato come la prospettiva più agghiacciante che Bagnasco immagina è l'uccisione di malati che non hanno potuto esprimere ciò che vogliono per se stessi?
Il concetto di eutanasia sotteso è, quindi, quella di uccisione (per pietà, per un giudizio sulla qualità della vita ecc.) di soggetti che non hanno chiesto di morire: se invece il malato l'ha chiesto ...

Ma se comprendiamo che il valore giuridico delle dichiarazioni anticipate e il concetto soggettivistico di accanimento terapeutico mettono i malati nelle mani dei loro "interpreti", non garantiscono la loro libertà, li allontanano dai medici, come rischia di ampliarsi il numero dei candidati alla uccisione volontaria!

Per concludere non possiamo non chiederci perché il cardinal Bagnasco abbia voluto dare questa evidente sterzata all'indirizzo che medici, esperti, bioeticisti, teologi e giuristi cattolici avevano espresso ripetutamente. Si tratta di politica: il Parlamento nazionale è sollecitato a varare "si spera col concorso più ampio" una legge sul fine vita ...

E perché dovremmo essere d'accordo su questioni come queste con persone portatrici di valori opposti a quelli autenticamente umani?
Se non ci si scontra su leggi che riguardano l'uccisione di uomini, per che cosa vale la pena di combattere?

Giacomo Rocchi

Bagnasco/Dichiarazioni libere?

Come si è osservato, Bagnasco ritiene che il valore vincolante delle dichiarazioni debba derivare dalla loro forma "certa", ma non fa cenno né alla libertà di coloro che le rendono, né alla informazione che gli stessi devono avere al momento di effettuarle; sembra che le dichiarazioni valgano di per sé, come si deduce da un altro passo, in cui, in negativo, il cardinale descrive come "esito agghiaccciante" la morte procurata a "gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per sé stessi", dove si stenta a capire se l'aggettivo "agghiacciante" sia legato alla morte procurata in sé o al fatto che sia procurata a coloro che non hanno espresso la loro volontà in forma certa.

Che la volontà di un malato debba seguire ad una corretta e completa informazione sulla sua patologia, sugli esiti prevedibili, sulle cure che possono essere prestate e sui relativi rischi e benefici, è dato acquisito: ma da molti si osserva che le dichiarazioni anticipate impediscono una effettiva informazione, che è possibile solo quando il soggetto si trova in quella determinata situazione e deve adottare una decisione che avrà effetti immediatamente successivi.

Ma dichiarazioni non informate rischiano anche di non essere libere: il soggetto che le rende - ad esempio: l'anziano che inizia a presentare problemi di salute e che si sente di peso ai suoi familiari - può essere indotto a rinunciare per il futuro a determinate terapie per motivazioni diverse da quelle strettamente personali e intime che si presentano durante la malattia (ad esempio, un malato di cancro che rinuncia ad un ulteriore ciclo di chemioterapia, ben conoscendo sia gli effetti di tale cura, sia le conseguenze della sua rinuncia). Come si giungerà a far rendere dichiarazioni ad anziani che scivolano verso la demenza? Chi - e come - li convincerà? Chi - e come - spiegherà loro davvero il significato della loro disposizione?

Entrano, quindi, sulla scena altre persone, di cui Bagnasco non parla: eppure sembra che egli sia consapevole che non è tutto così semplice, quando chiede che le dichiarazioni siano "inequivocabili" ed "esplicite". Si tratta, più che di una indicazione, di un auspicio: ogni dichiarazione avente valore giuridico è interpretabile e - come secoli di controversie testamentarie e contrattuali dimostrano - quella di redigere una dichiarazione che non lascia dubbi è una illusione; e questo, come è ovvio, vale ancora di più per dichiarazioni rese per il futuro nella previsione di una determinata malattia, situazione in cui è impossibile prevedere esattamente tutte le variabili, tutte le cure possibili e così via.
Non è infatti un caso che tutte le proposte di legge sul testamento biologico prevedano degli "interpreti ufficiali" delle volontà del malato: previsione presentata come uno strumento per far rispettare fino in fondo le sue volontà ma che, in fondo, altro non è che l'affermazione del potere di altri soggetti di decidere se e quando e come una persona deve essere lasciata morire.

Perché - ricordiamolo - l'approdo che i fautori dell'eutanasia hanno in mente è questo: decidere della morte di altri - che siano malati incoscienti, che siano neonati prematuri con rischio di handicap, che siano anziani che "non si decidono a morire" - sulla base di una valutazione della qualità della vita di questi soggetti, della loro "inutilità" per il genere umano.

Giacomo Rocchi

sabato 27 settembre 2008

Bagnasco e l'approvazione di una legge sul “fine vita”

Il cardinale Bagnasco ha scelto per il discorso di apertura dei lavori della Conferenza episcopale italiana un argomento difficile, auspicando l'approvazione di una legge sul “fine vita”, sperabilmente sostenuta dal “consenso più ampio”. Un auspicio immediatamente inteso come un'apertura della Chiesa cattolica al cosiddetto “testamento biologico”. Apertura che è stata favorevolmente accolta dai politici cattolici di maggioranza e opposizione, ma ha anche suscitato fortissime reazioni all'interno del mondo cattolico. In particolare l'associazione Verità e Vita (molti dei suoi componenti sono attivi anche nel Movimento per la Vita) l'ha definita un clamoroso autogol, dettato da motivazioni essenzialmente politiche, e in contrasto con la posizione assunta in tutti questi anni dalla Chiesa cattolica sul testamento biologico, strumento per la legalizzazione dell'eutanasia.

I cattolici di Verità e Vita ritengono, difatti, l'eutanasia l'inevitabile approdo del testamento biologico, che presuppone il riconoscimento dell’autodeterminazione e della disponibilità del bene della vita, con una conseguente profonda modificazione anche del rapporto paziente-medico, il cui intervento non sarebbe più legittimato dal “bene del paziente”, ma dalla “volontà del paziente”. Oltre tutto nemmeno si evita l'accanimento terapeutico, ma se ne rende il concetto del tutto soggettivo, “slegato dalla condizione di malato terminale e (si) permette ad altri di decidere se quel malato (l'anziano in stato di demenza senile, il giovane in stato vegetativo persistente e così via) è sottoposto a quello che essi ritengono essere accanimento terapeutico”. In conclusione, “riconoscere valore alle dichiarazioni anticipate di trattamento che impongono la cessazione di cure non ridurrà affatto l'accanimento terapeutico, ma renderà lecito quello che fino a questo momento è illecito, l'omicidio del consenziente”.


Fortemente critico anche il “Foglio” di Giuliano Ferrara, che parla di “una risposta intimidita e confusa alle istanze della cultura post-moderna, un'acquiescenza al relativismo soggettivista, che affida alla volontà soggettiva delle persone la scelta insindacabile su come si debba morire”.


Un dissenso così deciso ha scatenato onde di tempesta all'interno del mondo cattolico. A difesa di Bagnasco e della Cei sono intervenuti, fra gli altri, il suo predecessore e due giuristi di livello nazionale come Francesco D'Agostino e Alberto Gambino, sostenendo che basta leggere le esatte parole di Bagnasco per rendersi conto che “in nulla e per nulla avallano l'interpretazione di Ferrara”. Il presule non avrebbe inteso promuovere l'approvazione del testamento biologico (in effetti mai nominato nel suo intervento), ma si sarebbe solo preoccupato di porre riparo al vuoto legislativo che ha consentito la sciagurata sentenza con la quale la Cassazione, ha condannato alla morte per fame e per sete Eluana Englaro Una sentenza che, secondo D'Agostino, “ha di fatto introdotto l'istituto del testamento biologico (e per di più in forma anche verbale!), alterando profondamente il principio etico e giuridico del rispetto assoluto dovuto alla vita umana”.


Resta il fatto che, nonostante la tradizionale prudenza dei principi della Chiesa (forse non più di moda) prudenza l'intervento di Bagnasco non deve essere stato così chiaro se non solo Ferrara, criticamente, ma, approvando, Talamo sul “Messaggero”, Rodari sul “Riformista” e molti altri vi hanno visto un'apertura al testamento biologico. Per di più appare quanto meno discutibile la presenza di un vuoto legislativo, L'art. 579 del codice penale punisce l'omicidio del consenziente e l'art. 580 chi determina altri al suicidio o ne rafforza il proposito o ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione. Esiste invece, purtroppo (questa sì) la sciagurata sentenza sul caso della povera Eluana Englaro, ma questa è sintomo ed espressione della crescente tendenza del giudiziario a ritenersi di fatto “legibus solutus” e ad assumersi compiti e poteri propri del legislativo (si pensi alla recente condanna di un professore per avere minacciato di bocciatura un alunno indisciplinato o alla semi-autorizzazione ad imporre ai figli il solo cognome della madre). Si tratta di un problema diverso e più vasto, che per essere risolto esige un ripensamento (magari in sede di riforma della giustizia) dei rapporti fra poteri dello Stato. Fino ad allora è difficile pensare che l'eventuale legge sul “fine vita” riesca più vincolante del codice penale, tanto più che, come è stato osservato, una volta lanciata la palla nell'agone parlamentare è difficile prevedere cosa, fra compromessi bipartisan ed emendamenti, ne uscirà. O forse è fin troppo facile. Non per nulla i “laici” avvezzi a strapparsi le vesti per le interferenze della Chiesa questa volta hanno osservato un rispettoso silenzio.

Francesco Mario Agnoli - pubblicato su La Voce di Romagna del 26-09-2008

venerdì 26 settembre 2008

Bagnasco/Le dichiarazioni e la loro efficacia

Di quali "dichiarazioni" parla Bagnasco? Si è già detto che non può che trattarsi di dichiarazioni aventi ad oggetto l'interruzione di terapie salvavita: in effetti, se si trattasse di disposizioni di importanza minore (ad esempio: il desiderio del malato di morire in casa e non all'ospedale) esse non meriterebbero l'importanza che viene loro attribuita, né si comprenderebbe la necessità di una forma "certa ed esplicita".

Sono quindi richieste di uccisione per omissione o interruzione di cure: lo si comprende dalla contrapposizione tra la stipula delle dichiarazioni e le garanzie della presa in carico del malato ("riconoscendo valore ... dia nello stesso tempo ...) e, soprattutto, dal passo finale: "quel che ... chiede ogni coscienza illuminata ... è che non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico": Bagnasco sa, quindi, che le dichiarazioni di cui parla riguardano la morte procurata del paziente. (Notiamo, per inciso, che, come per l'accanimento terapeutico, non si fornisce alcuna definizione di eutanasia)

Tornando alle dichiarazioni: sono sicuramente in forma scritta (Bagnasco parla di una forma certa e, notoriamente, scripta manent); sono - la constatazione è inevitabile, anche se qualcuno sostiene il contrario - dichiarazioni anticipate, rese "ora per allora": se il malato fosse, infatti, in grado di interloquire nell'attualità con il medico sulle terapie che gli vengono erogate, non vi sarebbe alcuna necessità di redigere dichiarazioni con forma certa.


Soprattutto sono dichiarazioni vincolanti per il medico: questa caratteristica si desume dall'utilizzo dell'espressione piuttosto equivoca "riconoscendo valore legale a dichiarazioni ...". Sembra ovvio che, se le dichiarazioni fossero solo orientative, si potrebbe riconoscere questo valore anche a quelle rese in una forma diversa (ad esempio: oralmente, dal malato ad un parente); in realtà qui si intende riferirsi ad un'efficacia giuridica delle dichiarazioni e ad un conseguente diritto ad ottenerne l'attuazione davanti ad un giudice, nel caso i curanti non vi si attenessero spontaneamente.

Si può, però, obiettare che il passo successivo della prolusione invoca "tutte le garanzie ... sul rapporto fiduciario tra lo stesso (il malato) e il medico, cui è riconosciuto il compito - fuori da gabbie burocratiche - di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza": il medico sarebbe quindi libero di non dare attuazione alle direttive contenute nelle dichiarazioni?
Non sembra sia così: l'interpretazione logica delle parole di Bagnasco è che esse riconoscano il valore vincolante delle dichiarazioni anticipate nei confronti dello Stato e contemporaneamente invochino la libertà di coscienza dei singoli medici. Insomma: la normativa dovrà prevedere l'obiezione di coscienza ma il medico obbiettore sarà sostituito da un collega pronto a staccare la spina ...

Dichiarazioni rese in forma certa ed esplicita: ma il cardinale non fa cenno alla libertà di chi le rende e alla sua effettiva informazione: ne parleremo nel prossimo commento.

Giacomo Rocchi

giovedì 25 settembre 2008

Bagnasco/Accanimento terapeutico

Si è visto nel precedente post come le parole del Cardinal Bagnasco costituiscano un implicito "via libera" al principio di disponibilità della vita umana: dichiarazioni concernenti la sospensione di terapie mediche rese da pazienti (purché in una certa forma) dovrebbero essere giuridicamente efficaci. La decisione terapeutica dipenderà, almeno in parte, da una valutazione soggettiva della qualità della vita del malato e non più da valutazioni terapeutiche espresse dal medico.

Prima vittima di questa impostazione soggettivistica è il concetto di accanimento terapeutico. Leggiamo il passo in cui Bagnasco ne parla: "Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, pronta a riflettere al di fuori di logiche traumatizzanti indotte da casi singoli per volgersi al bene concreto generale, è che in questo delicato passaggio - mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico - non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia (...)".

Ancora una volta: cosa c'entra l'accanimento terapeutico con la vicenda di Eluana Englaro e con le sentenze che ne permettono l'uccisione? E perché le dichiarazioni legali del paziente dovrebbero evitare inutili forme di accanimento terapeutico?
Le risposte dovrebbero essere semplici e immediate: nel caso Englaro non si riscontra alcun accanimento terapeutico, ma solo la cura, nutrizione e idratazione di una disabile grave; le dichiarazioni anticipate non avranno alcun effetto di impedire l'accanimento terapeutico perché la pratica è già vietata dalle regole deontologiche cui i medici devono attenersi.

Ma queste risposte presuppongono un concetto oggettivo di accanimento terapeutico: l'accanirsi del medico di fronte ad un soggetto in stato terminale la cui morte è imminente e inevitabile con diagnosi o terapie inutili e sproporzionate, lesive della dignità del paziente, impedendogli una morte serena.
Se, invece, l'ottica è quella soggettiva allora l'accanimento terapeutico tende a coincidere con tutte le terapie che il malato intende rifiutare.
Ecco che, in questa ottica, Piergiorgio Welby - che viveva con l'aiuto della respirazione artificiale e che non era in punto di morte quando il Riccio gli staccò il macchinario - era sottoposto ad un accanimento terapeutico: questo, in sostanza, ha riconosciuto il Giudice che ha assolto il Riccio dall'accusa di omicidio del consenziente, nonostante il Consiglio Superiore di Sanità (adottando un criterio oggettivo) avesse stabilito che non si era in presenza di un accanimento.

Dare valore legale a dichiarazioni "inequivocabili" che, per il futuro, vietano al medico di praticare determinate terapie o gli impongono di interromperne altre già iniziate, provocando la morte del paziente, significa accedere al concetto soggettivo di accanimento terapeutico, un termine che diventa relativo: non è quindi un caso che Bagnasco non lo definisca affatto.
Ciò significa, inoltre, accreditare una figura del medico come di soggetto di cui diffidare, che occorre bloccare, in quanto sempre pronto ad accanirsi sui malati per propri interessi (scientifici, di ricerca, di carriera ...).

Ma torniamo ad Eluana Englaro e cerchiamo di rispondere alla domanda: in che modo il suo caso ha a che fare con l'accanimento terapeutico? Bagnasco risponde: in nessun modo, perché si verte in tema di interruzione di sostegno vitale e non di interruzione di terapie.
Risulta chiarissima la debolezza della distinzione, se l'ottica è quella soggettivistica: perché un malato dovrebbe avere il diritto di farsi uccidere mediante l'interruzione di terapie e non quello di farsi uccidere mediante l'interruzione di nutrizione o idratazione, per di più effettuate in una forma artificiale (il sondino nasogastrico) che le fa assomigliare a medicinali? E, d'altro canto, il codice deontologico prevede, per il paziente pienamente capace e informato, sia la possibilità di rifiutare nuove terapie, sia quella di rifiutare di nutrirsi.

Siamo, quindi, di fronte ad un primo "paletto" che si presenta traballante: una volta ammesso il principio che, in presenza di dichiarazioni anticipate vincolanti, il paziente dovrà essere lasciato morire, è facile prevedere che ciò avverrà anche per casi come Eluana Englaro che non ha necessità di terapie, ma solo di cure.

Giacomo Rocchi

mercoledì 24 settembre 2008

Bagnasco/La necessità di una legge

Ogni parola della prolusione del Cardinal Bagnasco che ha dato il nulla osta ad una legge "sul fine vita" è ponderata e scelta con cura: il Presidente della CEI ha voluto dire certe cose, ha inteso dare alcune indicazioni, ma ha deciso di fermarsi ad un certo punto.

Si tratta di un discorso che merita, quindi, un'analisi che faccia comprendere quali sono le premesse e quali gli obbiettivi indicati.


Prendiamo l'avvio dai motivi per cui una legge sarebbe necessaria: si fa riferimento alla vicenda di Eluana Englaro, si ricorda che la sua condizione "interessa circa altri duemila cittadini sparsi per il territorio nazionale" e si punta l'attenzione contro le sentenze pronunciate: "Non è questa la sede per richiamare l'iter abbastanza complesso che, rendendo questo caso emblematico, ha nel contempo evidenziato la nuova situazione venutasi a determinare in seguito a pronunciamenti giurisprudenziali che avevano inopinatamente aperto la strada all'interruzione legalizzata del nutrimento vitale, condannando in pratica queste persone a morte certa".

Il giudizio sul merito delle sentenze è quindi severo: riecheggiando alcuni commenti che si erano levati quando la Corte d'Appello di Milano aveva autorizzato la interruzione della nutrizione ad Eluana, il Cardinal Bagnasco ne denuncia la natura di sentenze di condanna a morte.


Il passaggio che ci interessa è immediatamente successivo: perché queste sentenze rendono necessaria una legge? Bagnasco motiva così: "Si è imposta, così, una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale, sollecitato a varare (...) una legge sul fine vita che - questa l'attesa - riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita ... Dichiarazioni che (...) non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell'alimentazione e dell'idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie".


Qualcosa non torna: le sentenze vengono criticate perché condannano a morte Eluana oppure perché lo fanno in assenza di dichiarazioni inequivocabili?

Se il problema è che in Italia una condanna a morte di una persona non può essere pronunciata, il contenuto di una legge dovrebbe essere: "è vietato interrompere nutrizione o idratazione o terapie sanitarie, se l'interruzione provoca la morte del paziente; chi lo fa è responsabile di omicidio o di omicidio del consenziente se l'interruzione risponde ad una richiesta del malato".


Non sembra che Bagnasco segua questa linea di pensiero; sembra piuttosto che fondi il suo "progetto di legge" ideale sulla distinzione tra nutrizione/idratazione da una parte e terapie sanitarie dall'altra: mentre dichiarazioni anticipate del paziente che chiedesse per il futuro l'interruzione della nutrizione o idratazione non avrebbero alcun effetto, quelle concernenti l'interruzione di terapie sanitarie dovrebbero essere efficaci.

Insomma: una dichiarazione anticipata di Eluana che chiedesse di non essere nutrita non verrebbe rispettata; ma se la vita di Eluana dipendesse anche dall'erogazione di terapie sanitarie, queste dovrebbero essere interrotte se le dichiarazioni fossero inequivocabile e rese in forma certa ed esplicita ...


Due considerazioni si impongono.

1. Non vi è nessun collegamento tra la sentenza sull'Englaro e la legge che Bagnasco auspica, perché, anche se Eluana avesse potuto rendere dichiarazioni, il cardinale avrebbe - giustamente - condannato la sua uccisione mediante la sospensione della nutrizione; la sentenza Englaro è, quindi, solo un pretesto per regolare situazioni diverse da quelle dei malati in stato vegetativo persistente: per salvare i duemila concittadini in quello stato si acconsente a regolare il "fine vita" di altre persone.

2. Si afferma implicitamente un principio: le persone, in qualche misura, hanno la disponibilità della propria vita e possono disporne con dichiarazioni aventi efficacia giuridica che - sempre in qualche misura - dovranno essere rispettate. Lo Stato dovrà uccidere alcune persone che hanno reso determinate dichiarazioni.

Vedremo poi quali conseguenze avrà questo principio.


Giacomo Rocchi

No al testamento biologico. Senza se e senza ma

Invio un importante messaggio (fonte Comitato Verità e Vita) Invito alla lettura in quanto illuminante sul tema in oggetto.
Giovanni Ceroni



http://www.comitatoveritaevita.it/pub/comunicati_read.php?read=143

No al testamento biologico. Senza se e senza ma.
Clicca per Ingrandire Comunicato Stampa N. 54

In questo momento di forte disorientamento dell'opinione pubblica – che vede nel pronunciamento dei vescovi italiani una legittimazione morale del Testamento biologico – Verità e vita ribadisce tutti gli elementi negativi legati al living will:

a. Ogni forma di testamento biologico stravolge il rapporto tra medico e paziente, rendendo il medico esecutore delle decisioni altrui

b. Il testamento biologico, anche se redatto in forma inequivocabile, certa ed esplicita non garantisce affatto che chi lo redige o lo firma sia davvero libero, davvero consapevole, davvero informato.

c. C'è il serio rischio che questo strumento – in se stesso abbastanza asettico e
ambivalente sul piano morale – venga utilizzato come cavallo di Troia per introdurre nell'ordinamento la prassi eutanasica.

d. I più strenui fautori del testamento di vita sono i bioeticisti e i circoli politicoculturali che si battono per la legalizzazione dell'eutanasia e. Il testamento biologico è la prosecuzione del processo di "controllo autogestito" della vita avviato dal pensiero illuminista e anticattolico. Basta leggere questo pensiero del bioeticista laico Maurizio Mori: "A mio giudizio c'è un elemento strutturale profondo, legato al fatto che ormai anche il versante più prettamente biologico della nostra vita è entrato nel nostro ambito di decisione. D'altra parte anche da un punto di vista storico questo è un processo ineluttabile. Se pensiamo ai tre grandi cardini della vita sociale -il matrimonio, l'unione, cioè, di due adulti al fine di generare, la nascita, l'apparire, cioè, di un nuovo individuo, e la mortevediamo che la presa di controllo del matrimonio, iniziata con l'illuminismo, è ormai del tutto acquisita con l'introduzione del divorzio e il controllo della trasmissione della vita attraverso la contraccezione, e che ora stiamo arrivando a controllare anche gli altri due momenti: l'ingresso nella vita e la morte. Questo comporterà una completa riorganizzazione della vita sociale". Verità e Vita non vuol rendersi complice in alcun modo di questo processo, forse ineluttabile.

f. Nessun uomo sa veramente prevedere ciò che vuole per sè in un futuro solo immaginato ma mai vissuto;

g. Il testamento di vita è uno strumento malvagio o inutile. Possiamo ricondurre l'infinita varietà dei casi clinici a tre categorie di casi emblematici. Il primo: il paziente chiede nel testamento di vita al medico di assumere una condotta che configura una vera e propria eutanasia, cioè una condotta attiva o passiva che contiene in sé l'intenzione di provocare la morte. In questo caso, il medico ha il diritto e soprattutto il dovere di ignorare le direttive anticipate. Il secondo caso: il paziente prescrive ai sanitari di insistere oltre ogni ragionevole limite nel somministrare cure e farmaci, mettendo in atto l'ipotesi dell'accanimento terapeutico. E' probabile che in simili situazioni il medico ancora una volta si smarchi dalla richiesta del paziente, e applichi le terapie senza inutili insistenze.
Terza ipotesi: il paziente chiede al medico di fare esattamente ciò che il medico stesso è chiamato a compiere in ossequio alla sua arte e alla sua retta coscienza.
Per cui, anche in assenza del living will, il buon medico avrebbe assicurato al paziente il medesimo trattamento. Mi pare che non siano pensabili altre situazioni.

h. Il Testamento biologico serve casomai a nascondere alcuni veri problemi della medicina moderna, tentando di risolverli con l'arma – sempre deleteria – del legalismo e del formalismo contrattuale. Che il medico e il paziente riprendano a dialogare fra loro; che il medico si sforzi di conoscere il malato nella sua complessità di persona, e non di insieme di organi da riparare; che il malato ritorni ad affidarsi al medico con la fiducia di chi si riconosce bisognoso di salute, di quella salus che contiene in sé la radice della parola "salvezza".

i. La figura del "tutore" è, in tal senso, emblematica: si affida a un terzo rappresentante legale la cura degli interessi del malato, quasi che egli avesse necessità, davanti al "tribunale medico" di un avvocato che ne difenda gli interessi. Sottintendendo che gli interessi del medico e della medicina divergono da quelli del paziente e della sua famiglia.

j. Il nodo del problema sta qui, al livello del senso più profondo dell'arte medica, nella riscoperta dei contenuti essenziali del Giuramento di Ippocrate. Si tratta di decidere se è possibile una medicina che prescinda da quei precetti, o se invece – come dimostra l'esperienza clinica – non c'è medicina vera se non dentro questo misterioso "patto asimmetrico" che lega il paziente al medico. Il testamento di vita appartiene a una visione contrattualistica del rapporto medico-paziente, dove i pilastri della fiducia e della compassione sono stati rimpiazzati dalla volontà negoziale delle parti e dalla minaccia di salatissime richieste di risarcimento danni. Triste il giorno in cui la medicina avrà accettato di diventare una simile desolata landa senz'anima.

Mario Palmaro
Verità e Vita

lunedì 22 settembre 2008

Liberi!

"Non è questa la sede per richiamare l’iter abbastanza complesso che, rendendo questo caso emblematico, ha nel contempo evidenziato la nuova situazione venutasi a determinare in seguito a pronunciamenti giurisprudenziali che avevano inopinatamente aperto la strada all’interruzione legalizzata del nutrimento vitale, condannando in pratica queste persone a morte certa. Si è imposta così una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale, sollecitato a varare, si spera col concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l’attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche − di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza. Dichiarazioni che, in tale logica, non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell’alimentazione e dell’idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie. Una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi. Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, pronta a riflettere al di fuori di logiche traumatizzanti indotte da casi singoli per volgersi al bene concreto generale, è che in questo delicato passaggio – mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico − non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l’ordinamento italiano"

Finalmente il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana ha dettato la linea: a dichiarazioni anticipate di trattamento purché con la forma scritta ed esplicita; no all'accanimento terapeutico; esclusione della nutrizione ed idratazione dalla definizione di terapia. Ciò significa, soprattutto: si al valore di dichiarazioni anticipate di trattamento che conducano alla morte del paziente incapace a seguito della cessazione delle cure.

L'auspicio del card. Bagnasco? Che la legge sul fine vita sia approvata col concorso più ampio: insomma, meglio evitare guerre e battaglie e giungere ad un testo concordato.

Siamo allora finalmente liberi di dire: non sono d'accordo!
Siamo liberi di dire: ogni forma di testamento biologico stravolge il rapporto tra medico e paziente, rendendo il medico esecutore delle decisioni altrui.
Possiamo affermare: il testamento biologico, anche se redatto in forma inequivocabile, certa ed esplicita non garantisce affatto che chi lo redige o lo firma sia davvero libero, davvero consapevole, davvero informato.
Possiamo gridare: ogni testamento biologico conduce all'eutanasia, introduce discriminazioni tra persone, porta a giudicare della qualità della vita e a valutare se la vita è degna o meno di essere vissuta.
Possiamo ribadire: non si evita l'accanimento terapeutico con il testamento biologico: al contrario questo strumento rende il concetto di accanimento terapeutico del tutto soggettivo, slegato dalla condizione di malato terminale e permetterà ad altri di decidere se quel malato (l'anziano in stato di demenza senile, il giovane in stato vegetativo persistente ...) è sottoposto a quello che essi ritengono essere accanimento terapeutico.

Le sciagurate sentenze che legittimano l'uccisione di innocenti come Eluana Englaro necessitano di una sola risposta dal Parlamento: è vietato uccidere, sia il paziente incosciente, sia il paziente consapevole!
Riconoscere valore alle dichiarazioni anticipate di trattamento che impongono la cessazione di cure non ridurrà affatto l'accanimento terapeutico, ma renderà lecito quello che fino a questo momento è illecito, l'omicidio del consenziente.

Sulla vita non si scende a patti con nessuno.

Giacomo Rocchi