lunedì 31 maggio 2010

Legittima difesa

L’art. 52 del codice penale così prevede: “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.

Questo articolo del codice penale è molto chiaro: nel caso di certo rischio di morte si può dunque arrivare fino all’omicidio, se non ci sono altri mezzi per impedire il fatto.

Come si può applicare questo articolo del codice penale nel caso di un paraplegico grave che sta per essere ucciso? Lui non può difendersi. Come si dovrebbe comportare uno spettatore? Se interviene ed in qualche modo riesce ad impedire il crimine fa certamente un atto di coraggio e di civiltà. Mentre se assiste indifferente diventa in qualche modo corresponsabile del delitto. E come possiamo applicare questo stesso articolo nel caso dell’aborto? Il problema è certo di capire due cose: di chi si tratta? Quale l’effetto dell’intervento?

Nel mese di agosto del 1989 a Maryville, città del Tennessee, un giudice si trova di fronte un grosso problema: una coppia ha cercato di avere un figlio attraverso la FIVET. Poi litigano e il marito vorrebbe abbandonare i sette embrioni congelati, mentre la moglie li vuole salvare ad ogni costo e li chiama figli. Il giudice, per dirimere la questione, deve decidere se quelli sono dei ‘figli’ o dei ‘cosi’. Intelligentemente ha accolto la testimonianza del grande genetista francese Jérôme Lejeune (ora Servo di Dio). E’ molto interessante leggere tutto il dibattito riportato nel libro ‘L’embrione segno di contraddizione’1. Il giudice Dale Young il 21 settembre emette la sentenza. Riporto solo alcuni interessanti passaggi: ‘Gli embrioni umani non sono oggetti di proprietà – La vita umana inizia nel momento del concepimento’. Ed in conclusione ha concesso i ‘figli’ alla mamma, perché potesse tentare di farli nascere attraverso l’impianto in utero. A parte il giudizio assolutamente negativo sulle tecniche di fecondazione artificiale, che provocano stragi di bambini, questo processo è veramente emblematico.

Ma mi preme ricordare l’andamento del dibattito. Lo scienziato ha dimostrato chiaramente la realtà di essere umano dell’embrione, ma poi, nel caso qualcuno ancora dubitasse, attraverso l’esempio di Salomone (che provocatoriamente minaccia di dividere in due un bambino conteso da due madri), ha dimostrato che anche chi non ci credesse non potrebbe comunque cosificare un embrione, almeno per il beneficio del dubbio. Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae con semplicità affermava: “Del resto, tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell'obbligo morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l'embrione umano”.2

A Maryville si trattava di embrioni al primissimo stadio e per di più fuori dell’utero della donna e che pertanto molto difficilmente avrebbero potuto sopravvivere, mentre nell’aborto parliamo, quasi sempre, di bambini in condizioni normali e con tutte le possibilità di crescere e nascere, ma soprattutto col massimo di diritto alla vita, avendo ancora tutto da vivere.

All’inizio citavo il caso di un paraplegico a rischio di vita, che certamente avrebbe diritto ad essere difeso da un eventuale testimone. Quando viene uccisa una persona impossibilitata a difendersi, chiunque giudica il delitto più vigliacco e detestabile. E nel caso dell’aborto cosiddetto ‘terapeutico’? In questo caso abbiamo un bambino in una età che spesso già gli potrebbe, addirittura, permettere di vivere autonomamente, ucciso perché supposto malato. Mi piacerebbe chiedere a chi sostiene questo come ‘diritto’ quale sia la differenza tra Hitler (che uccideva gli handicappati) e gli abortisti nostri: questa è semplicemente abominevole eugenetica.

A questo punto mi devo chiedere: fino a che punto dovrei giungere io per difendere i bambini che tutte le settimane vengono uccisi nell’ospedale della mia città? Se il testimone dell’omicidio di un paraplegico resta indifferente, lo giudico un vigliacco. Eppure la condizione del paraplegico è meno grave di quella del bambino prima di nascere: il primo può almeno gridare, mentre il secondo, nonostante tenti di fuggire saltando nell’utero (vedi il filmato ‘Il grido silenzioso’), non ha alcun mezzo né per sottrarsi, né per protestare. E io so che stiamo parlando di un essere umano: non ho alcun dubbio, ma dovrei intervenire a difenderlo persino se non fossi certo della sua natura umana.

Allora mi chiedo: com’è possibile che la ‘cultura di morte’ abbia talmente permeato le coscienze (anche di tanti cattolici) da far passare per violenti coloro che osano definire omicidio l’aborto? Com’è possibile che la legge di uno stato ‘democratico’ possa finanziare l’uccisione degli innocenti, mentre è contrario alla pena di morte per i pluricriminali e condanna duramente chi maltratta gli animali? Come verrei definito se sostenessi il dovere per un cittadino di intervenire, con mezzi adeguati, in difesa dei bambini che ogni giorno vengono soppressi nei nostri ospedali? Come reagirebbero i ‘pacifisti’ e gli ‘animalisti’ se andassimo ad impedire l’ingresso in ospedale ai medici (si possono ancora chiamare così?) che entrano per sopprimere, anzichè curare, esseri umani innocenti?

Giuseppe Garrone

Un volontario pro life

che davvero non si rassegna