sabato 21 dicembre 2013

Lo schiaffo di Costanza Miriano

“La legge che consente l’aborto va eliminata. Adesso ci sono i mezzi per decidere prima e se una donna non vuole più il figlio può abbandonarlo dopo la nascita, ci sono famiglie in fila per l’adozione. E’ possibile abbandonarlo in ospedale senza riconoscerlo”. “Una donna incinta deve essere costretta a partorire” “Dobbiamo essere tutti costretti ad aiutarla ad accogliere il figlio. Va eliminata la possibilità di abortire. Il bambino è un essere umano da subito"
Costanza Miriano,
autrice di due bellissimi libri – "Sposati e sii sottomessa" e "Sposala e muori per lei" - e che gestisce un blog imperdibile, pieno di spunti e riflessioni – ha deciso di affrontare una prova durissima: quella di essere intervistata da Giuseppe Cruciani nel programma La Zanzara su Radio 24. Lo spunto per l'intervista erano le polemiche sorte in Spagna per la pubblicazione del primo dei suoi libri; ma il conduttore – che, come è noto, segue percorsi ed obbiettivi suoi, come è legittimo – ha indotto la giornalista del TG3 a rispondere anche su temi come l'aborto.
Le parole di Costanza Miriano che abbiamo riportato sopra sono uno schiaffo al "politicamente corretto" così diffuso nel mondo cattolico prolife, secondo cui "bisogna applicare interamente la legge 194", soprattutto nelle sue "parti buone", e per il quale non è mai il momento per tentare di abrogarla o di limitare i casi in cui l'aborto – l'uccisione di un essere umano innocente – è autorizzato; sì, perché, secondo la vulgata corrente in quel mondo, la legge 194 "non riconosce l'aborto come diritto" e appresta gli strumenti per evitarlo.

Ci si ritrae, quindi, di fronte alla battaglia contro la legge 194, gettandosi a capofitto sull'aiuto delle donne incinte in difficoltà, che devono essere accolte, comprese, sostenute nella loro "scelta" … non certo obbligate!
Che questo non basti per salvare tutti i bambini che rischiano di essere uccisi (lo sforzo ingente ed ammirevoli dei Centri di Aiuto alla Vita ha permesso, nel 2012, la nascita di circa 10.000 bambini, contro 110.000 uccisi da aborti legali, almeno 40.000 da aborti clandestini, decine di migliaia di embrioni uccisi con le pillole dei giorni dopo e altre decine di migliaia con le tecniche di fecondazione in vitro. I C.A.V., dall'anno della fondazione del primo di essi, quello di Firenze (1975) hanno fatto nascere 150.000 bambini, contro sei milioni di bambini uccisi da aborti legali svolti dal 1978 ad aggi, oltre a quelli clandestini ecc.) evidentemente non induce ad ulteriori riflessioni: no, la legge 194 non si tocca e non si deve toccare!
Lo schiaffo, si diceva: sì, perché affrontando il tema dall'origine, dalla verità dell'aborto ("il bambino è un essere umano da subito"), la Miriano non può che giungere a ritenere necessaria l'eliminazione di una legge che consente l'uccisione di quegli esseri umani ("La legge che consente l'aborto va eliminata"). Non solo: eliminare la legge che consente l'aborto comporta "costringere una donna incinta a partorire"; ma, naturalmente, comporta anche "costringere tutti ad aiutarla ad accogliere il figlio".
"Costringere" significa minacciare sanzioni (non necessariamente il carcere) alla donna che abortisce e gravi sanzioni a coloro che eseguono l'aborto e a coloro che abbandonano la donna incinta in difficoltà, o ancora di più, la spingono a quell'atto.

Impossibile? Assolutamente improponibile? Imbarazzante?
Un fatto è certo: la battaglia per salvare la vita dei bambini si combatte in tutto il mondo (tranne in Italia?) sulle leggi: si cerca di modificarle e cambiarle (Spagna, Texas), si tenta di rafforzare la tutela prenatale con l'inserimento in Costituzione (Ungheria, Irlanda); con gli strumenti giuridici più vari si cerca di far chiudere quante più cliniche che eseguono gli aborti (U.S.A.), anche denunciando i medici, fino a scoprire che alcuni di loro erano dei sadici assassini (Gossnell); si afferma la necessità di tutela dell'embrione anche a livello sopranazionale (Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, 2010); d'altro canto, anche i nemici della vita combattono sulle leggi e nelle Corti: obbligando, per esempio, l'Irlanda a approvare una legge che permetta l'aborto in caso di pericolo di vita. 
Si potrebbe continuare: la battaglia sulla legge 194 – su questa legge ingiusta, che ha permesso l'uccisione cruenta di quasi sei milioni di bambini! – è tutto tranne che secondaria.

Qualche giorno prima dell'intervista della Miriano a La Zanzara avevo letto la bella omelia del Vescovo di Brescia per la festa dell'Immacolata Concezione. 
Mons. Munari osservava: "Mi sembra che tutti – quali che siano le loro preferenze politiche o le loro convinzioni – debbano desiderare sinceramente che i matrimoni durino, che non ci siano aborti, che le persone s'impegnino in una relazione di amore stabile: un matrimonio che dura è un valore maggiore che un legame matrimoniale spezzato; un bambino nato è un valore più grande che un bambino non nato; un impegno di amore per sempre è un valore più grande di un amore incerto, sballottato dagli alti e bassi della vita affettiva. D'altra parte, quando si sono introdotte le leggi sul divorzio e sull'aborto, le si presentavano come scelte necessarie per sanare situazioni di disagio, non come ideali da proporre e da perseguire. È chiaro che un matrimonio stabile immette nella società una preziosa dose di fiducia, di sicurezza, di progettazione e speranza verso il futuro; che garantisce ai figli una crescita più serena, meno tormentata e conflittuale. I figli vedono il mondo attraverso il filtro dei loro genitori: il grande mondo apparirà ai loro occhi amabile e credibile, se il mondo immediato della famiglia apparirà amabile e credibile. È altrettanto chiaro che un aborto è sempre una sconfitta della donna, che pesa inevitabilmente sul suo vissuto e sulla sua gioia di vivere; e che è sempre una sconfitta della società. Dietro a una scelta di aborto c'è un giudizio, almeno implicito, del tipo: non è bene che mio figlio nasca in queste condizioni. Ma questo vuol dire che la società non è ritenuta sufficientemente umana da garantire le condizioni di vita che permetterebbero a una donna di diventare gioiosamente madre."

Il Vescovo si poneva una domanda: "La domanda allora diventa: come è possibile favorire la durata del matrimonio, la nascita dei figli, la progettazione di un futuro familiare, l'offerta ai figli di un ambiente familiare caldo e sicuro, la solidarietà tra le generazioni, la cura personale dei malati e degli anziani e così via? (…) E' possibile favorire l'attenzione al bene di tutti, mettendo anche in conto la possibilità del sacrificio di se stessi? È possibile favorire l'attenzione al bene futuro di altri, anche con la rinuncia a un bene presente nostro?"
La risposta non poteva tralasciare il tema delle leggi ingiuste; ma mons. Munari, in precedenza, aveva già messo le mani avanti: 
"Non m'interessa, in questa sede, la questione delle leggi o di eventuali loro riforme. Desidero, invece, fare un discorso semplicemente umano, riferito al bene delle persone e della società."
La battaglia sulle leggi, quindi, come un aspetto a sé, che viene dopo, che non tocca l'essenza della questione … cosicché la risposta alla domanda che il Vescovo si poneva è debole, balbettante: 
"Ci vorranno anche leggi sagge, ma certo esse non basteranno a garantire i comportamenti virtuosi delle persone; non riusciranno a convincere una persona a rinunciare a una realizzazione personale per il bene della società, forse nemmeno a rinunciare a un bene immediato per la speranza di un bene futuro".
Non voglio certamente contrapporre la Miriano ad un Vescovo: certo è che, con l'agilità del laico slegato dalla correttezza intraecclesiale, la giornalista giunge ad una risposta razionale e convincente. 

Non si tratta solo di approvare "leggi sagge" dal contenuto indefinito; "la legge che consente l'aborto va eliminata".
Grazie, Costanza!

Giacomo Rocchi

domenica 8 dicembre 2013

Democratico?

Davvero interessante ed istruttiva la reazione dell'on. Ivan Scalfarotto – autore della proposta di legge sull'omofobia in discussione al Parlamento italiano – all'esito del referendum costituzionale in Croazia.
Scalfarotto ha presentato un'interrogazione al Ministro degli Affari Esteri: in essa premette che "domenica 1° dicembre si è tenuto in Croazia un referendum sull’emendamento costituzionale che intende limitare l’istituto giuridico del matrimonio alle coppie eterosessuali; (…) alle urne si è recato solo il 37,86% degli elettori. La maggioranza dei votanti, il 65,77%, si è espressa a favore del “sì “al quesito in cui si chiedeva: ”Vuoi definire il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna?”. Contro questa modifica costituzionale si è schierato invece il 33,62% dei votanti".
Come è possibile, si chiede Scalfarotto? Eppure "il 24 giugno 2013 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il documento n. 11492/13 recante “Gli orientamenti per la promozione e la tutela dell’esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI)”; sia l’Italia sia la Croazia sono membri del Consiglio d’Europa e sottoscrittori della Convenzione europea dei diritti umani. Da ultimo con la raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Consiglio dei Ministri agli stati membri è stata avanzata la richiesta di adottare misure per combattere la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere"!
L'indignazione, evidentemente non basta: l'on. Scalfarotto "chiede al Ministro quali azioni intenda intraprendere per conto dell’Italia o di quali iniziative intenda farsi promotore presso altri Paesi al fine di verificare e garantire che i diritti umani in Croazia siano pienamente tutelati e che il referendum in questione, per quanto formalmente insindacabile da parte dell’Unione Europea, non risulti essere un espediente che nella sostanza mira ad aggirare gli standard democratici, di rispetto e di inclusione di tutti i cittadini – indipendentemente dal loro orientamento sessuale – che devono inderogabilmente caratterizzare tutti gli Stati membri".

Evidentemente, secondo l'on. Scalfarotto, definire il matrimonio come "unione tra un uomo e una donna" significa effettuare "una discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere": altrimenti perché richiamerebbe la Raccomandazione del Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa? Chissà cosa avrà pensato dei Giudici della Corte Costituzionale italiana (Sentenza n. 138 del 2010) quando affermarono che "con riferimento all’art. 3 Cost., la normativa del codice civile che contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nell'art. 29 Cost., sia perché la normativa non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio" …

L'on. Scalfarotto, poi, bleffa: la raccomandazione del Comitato dei Ministri della CEDU adottata il 31/3/2010 affrontava il tema "matrimonio" solo per un aspetto: "Gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure appropriate per accertarsi che, una volta avvenuto e accertato il cambiamento di genere e riconosciuto conformemente ai precedenti paragrafi 20 e 21, sia effettivamente garantito il diritto di una persona transgender di sposare una persona di sesso opposto al suo nuovo sesso". Vedete? Anche quei Ministri consideravano il matrimonio come riferito a persone di sesso diverso, tanto da enucleare il diritto del transessuale a sposare una persona di sesso diverso!
Quei Ministri, che pure raccomandavano agli Stati membri "di vigilare affinché siano adottate e applicate in modo efficace misure legislative e di altro tipo miranti a combattere ogni discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere" si guardavano bene dall'indicare il matrimonio tra persone dello stesso sesso come una delle misure da adottare, menzionando, fra l'altro, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo secondo cui "qualsiasi differenza di trattamento è ritenuta discriminatoria se non poggia su una giustificazione obiettiva e ragionevole, cioè se non persegue uno scopo legittimo e se non sussiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo che si vuole raggiungere".
Anche il Consiglio dell'Unione Europea, nel documento citato da Scalfarotto, parla di tutto, ma non di matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Ma sono interessanti altri due aspetti.
Scalfarotto contrappone la volontà del popolo della Croazia espressa nel referendum costituzionale a due documenti approvati da Ministri senza nome e che in nessun modo possono ritenersi legittimati dalla volontà degli elettori, e nemmeno di quella degli eletti delle Assemblee Parlamentari dei due organismi europei. Senza parere, sottolinea che i votanti sono stati pochi, ma si dimentica di ricordare che, anche in Italia, il referendum costituzionale non richiede un quorum di votanti e la modifica costituzionale è approvata se è approvata dalla maggioranza dei voti validi … (art. 138 comma 2 Costituzione).
L'Europa che ha in mente Scalfarotto è questa: non l'Europa dei popoli, ma quella dei corridoi, dei funzionari zelanti che preparano per i loro amici i documenti ridondanti da sottoporre ai Ministri (avete notato il numero della Raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea? 11492! Chiedete ai Ministri se si ricordano di tutti i documenti approvati …)

L'altro aspetto è la curiosa reazione meccanica che è scattata nella mente dell'on. Scalfarotto: "qualcuno pensa che il matrimonio è solo tra uomo e donna? Bisogna punirlo!"
E siccome questo "qualcuno" è, in questo caso, un popolo intero, le sanzioni devono essere quelle internazionali! Quindi il Ministro degli Affari Esteri deve prendere iniziative e intraprendere azioni! E quali, di grazia, on. Scalfarotto? Dichiarerà guerra alla Croazia? Promuoverà un boicottaggio dei prodotti croati? Esprimerà con una nota all'ambasciatore croato il proprio sdegno perché il popolo croato pensa che solo un uomo o una donna possono realizzare un matrimonio?

Si può sorridere … ma il problema è che l'on. Scalfarotto questa punizione di chi la pensa diversamente da lui la vuole realizzare davvero in Italia e le sanzioni che ha in mente sono sanzioni penali …

Un'ultima riflessione: l'on. Scalfarotto è davvero democratico?
Un'ultima domanda ai dirigenti del Partito Democratico: la presenza dell'on. Scalfarotto non inizia a diventare imbarazzante?


Giacomo Rocchi  

mercoledì 20 novembre 2013

DEMOCRAZIA E OBIEZIONE DI COSCIENZA

Il 70% dei sanitari italiani è obiettore di coscienza in materia di aborto. In altre parole il 70% di chi è chiamato ogni giorno a lavorare nei nostri ospedali giudica la soppressione del bimbo che si sviluppa nel ventre materno un atto che contrastata con i principi morali ed etici della professione sanitaria. Obiettivamente l'atto chirurgico con il quale si lacera il corpicino inerme del nascituro è tutto meno che curativo, così come la somministrazione di pillole idonee a provocare l'avvelentameto di quel figlio rifiutato nulla ha di amorevole e salvifico. È, quindi, di tutta evidenza come, nei fatti, alla coscienza dei più ripugni piegare la professione sanitaria ad una pratica che procura la morte di una persona innocente, in barba all'ideologia di morte che ha avvelenato la cultura moderna degli ultimi sessanta anni. Questo stato di cose, però, sta stretto all'ideologismo abortista di una élite intellettuale tardo femminista che vorrebbe proibire l'obiezione di coscienza. Del resto proprio la possibilità di sollevare obiezione di coscienza nei confronti di un atto che non ha contenuto curativo è la prova provata che l'aborto ha in sé una valenza malvagia che contrasta con la funzione stessa del sanitario. È la prova provata inscritta nella legge 194/78 che l'aborto non è un diritto della donna, ma un delitto depenalizzato, ovvero un crimine che lo Stato permette e finanzia in ossequio ad una cultura di morte. Se fosse vero il contrario, se cioè ci trovassimo davanti ad un diritto pieno non sarebbe legittima alcuna obiezione di coscienza. Si è visto mai un medico sollevere obiezione di coscienza per sottrarsi dal praticare un'appendicectomia o una operazione a cuore aperto ? No, mai è capitato e mai capiterà perché quelli sono atti medici a tutela del diritto alla vita del paziente, l'omissione di uno di quegli atti porta alla galera. L'attacco all'obiezione di coscienza è, quindi, l'ultimo atto necessario per negare ciò che è palese a tutti, ovvero che l'aborto è un atto omicida. Diceva Pier Paolo Pasolini: " Che la Vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora di ogni principio di democrazia." Purtroppo la democrazia ha dissacrato la Vita e di questo siamo tutti responsabili. Pietro Brovarone per il Movimento per la Vita Biella

sabato 16 novembre 2013

Prove tecniche di Stato totalitario


Perché l'aggressione nei confronti dell'obiezione di coscienza e degli obiettori è così virulento?
I medici che - applicando una norma contenuta in quella stessa legge 194 del 1978 che tanti vogliono difendere ad ogni costo - si rifiutano di essere coinvolti nelle pratiche abortive dimostrano silenziosamente la natura di quell'atto: un bambino, che cresce felice nel grembo di sua madre, viene ingiustamente e brutalmente ucciso, avvelenato o fatto a pezzi.
La realtà è quella ... ed è una realtà che, spessissimo quell'atto cui la donna si è sottoposta per i più diversi motivi lascia nella stessa donna sofferenze e postumi, fisici e psicologici.
Ma, evidentemente, la realtà non deve apparire: le donne devono essere tenute all'oscuro di quanto avverrà; la popolazione intera non deve sapere, non deve riflettere, non deve usare il proprio cervello e la propria coscienza. Ecco: i medici obiettori non sono disposti a smettere di agire e pensare in "scienza e coscienza".
Per questo bisogna combatterli, intimidirli, licenziarli, esporli al pubblico ludibrio.
Ma in questo slancio è evidente la volontà di andare oltre: dell'aborto non si deve parlare oppure si deve dire solo le cose che lo Stato abortista vuole che si dica ... altrimenti minacce, provvedimenti repressivi, denunce.

Due episodi mostrano quanto abbiamo appena scritto.
A Bergamo, il Corriere della Sera si scomoda perché un medico obiettrice - di cui ovviamente si fornisce il nome e il cognome, e anche l'indirizzo dello studio, così da permettere a qualche femminista nostalgica o a qualche esagitato di fare il suo lavoro ... - nel proprio studio privato ha cancellato un passo del manifesto dello "Spazio Giovani" della ASL di Bergamo in cui si riporta che in quello "Spazio" si forniscono anche informazioni relative all'interruzione della gravidanza. Fra l'altro quel medico, oltre a rivendicare il diritto di appendere quello che vuole nel suo studio privato, dice esattamente che "se qualcuno vuole sapere qualcosa su questo argomento ne parla con il medico, non leggendone sui manifesti".
Ma, evidentemente, questo non è possibile, tanto che la Direttrice dell'ASL ipotizza che la condotta del medico avrebbe leso "il diritto dei pazienti a essere informati sui propri diritti e sui servizi messi a disposizione dall’Asl" e preannuncia provvedimenti, sostenendo che "la spiegazione che l’ambulatorio è suo non regge". 
E perché non "regge"? Perché la verità di Stato sull'aborto deve poter entrare anche nei luoghi privati, così da prevalere sul contenuto dei colloqui che la dottoressa, se richiesta, farebbe con le sue pazienti?

Per un fatto avvenuto a Jesi si è, invece, mosso l'Espresso, che, come sappiamo, ha in atto una campagna con cui vuole dimostrare che, per colpa degli obiettori di coscienza, gli aborti sono impossibili in Italia. 
Jesi era salita all'onore della cronaca qualche tempo fa perché, per un certo periodo, nel locale ospedale gli interventi abortivi non erano stati eseguiti per essere tutti i medici obiettori di coscienza. Si tratta di episodio che fa onore alla classe medica di Jesi ma che - ovviamente - non ha in alcun modo leso il diritto ad abortire delle donne in base alla legge 194, "costringendole" solo a spostarsi di qualche decina di chilometri. Fra l'altro - come si ricava dallo stesso articolo - il problema è stato "risolto" esattamente come la legge 194 aveva previsto: con la mobilità del personale non obiettore.
Ma torniamo al punto. Qui "una lettrice dell'Espresso, Rita", ha da dire sui manifesti presenti nel Consultorio Pubblico: in particolare una bacheca del Centro di aiuto alla Vita in cui si propongono le immagini di feti ai vari stati di sviluppo e si riportava una drammatica testimonianza di una donna che aveva abortito con gravi conseguenze fisiche e psicologiche.
Vedete: negli studi privati è obbligatorio mettere i manifesti dei Consultori pubblici che parlano di aborto alle ragazze a partire dai 14 anni (!); nei Consultori pubblici è vietato parlare di aborto come è nella realtà ...
Vediamo cosa dice "Rita": 
"Trovo questo volantino raccapricciante nel suo fanatismo, oltre che scientificamente inaccettabile nel suo contenuto: il suo unico scopo evidente è di colpevolizzare e, peggio, criminalizzare, le donne che hanno fatto la sempre difficile e drammatica scelta di abortire e che, a termini di legge, rivolgendosi alla sanità pubblica, hanno il diritto di essere aiutate e accompagnate nella loro comunque dolorosa scelta".
Le parole sono ben conosciute: "fanatismo"; sì, perché avvisare le donne che pensano all'aborto che: a) con quell'atto uccideranno un bambino; b) con quell'atto rischieranno gravi danni fisici e psichici, è fanatismo, non è rispetto del "diritto del paziente ad essere informato", per usare le parole della Direttrice della ASL di Bergamo ...
"Colpevolizzare" e "criminalizzare": "Rita" vuole le donne inconsapevoli e felici, eterne minorenni?
"Scientificamente inaccettabile": dove, signora Rita?
"Le donne devono essere aiutate e accompagnate nella loro dolorosa scelta": e non vengono aiutate se, con tutto l'aiuto che un Centro di Aiuto alla Vita fornisce, riescono a portare avanti la gravidanza e a far nascere un bambino?
Ma l'Espresso non si accontenta: si lamenta che 
"la bacheca del “Centro di aiuto alla vita” domina lo spazio centrale del corridoio e non essendo bilanciata da nessun altro tipo di comunicazione attigua ed ufficiale dell'Asl diventa di fatto il primo riferimento che una donna si trova di fronte una volta arrivata al consultorio".
In altre parole: i manifesti che dimostrano che quello che rischia di essere abortito è un bambino devono essere "bilanciati": ci si chiede da cosa, da un manifesto che sostiene che, invece, quello è un semplice "grumo di materia" (per usare le parole di un noto assessore)?

Naturalmente "Rita" e con lei l'Espresso, dimentica che la legge 194 impone ai consultori di informare la donna sui servizi sociali, sanitari ed assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti sul territorio" e che lo scopo è quello di "contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione volontaria della gravidanza", che può essere raggiunto anche con la collaborazione di "idonee formazioni sociali di base e associazioni di volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita" (art. 2). 

Ma quello che colpisce è, anche in questo caso, la decisa spinta verso una "verità ufficiale", che deve dire determinate cose (ad esempio, alle ragazzine di 14 anni che possono avere una bella vita sessuale, usare contraccettivi e non preoccuparsi delle gravidanze, tanto c'è la possibilità di interromperla ...) e deve cancellarne altre, proprio quelle vere!
E allora: andate a guardare la "bacheca degli orrori" di Jesi! Guardate in faccia il volto di quel bambino che sorride, e ringraziate l'Espresso per questo splendido autogol!
Giacomo Rocchi

sabato 9 novembre 2013

L'obiezione di coscienza serve a fare carriera?


Una delle affermazioni più ricorrenti nella quotidiana battaglia contro l'esercizio dell'obiezione di coscienza dei medici, che si rifiutano di uccidere bambini applicando la previsione della legge 194 del 1978, è che esiste una discriminazione nei confronti dei medici non obiettori: se il medico vuole fare carriera, è meglio che faccia obiezione di coscienza.
La LAIGA, l'associazione che raduna i medici non obiettori, tra i suoi compiti statutari ha quello della "sorveglianza sulle pari opportunità in ambito lavorativo tra personale non obiettore e obiettore con denuncia lì ove vi sia discriminazione"; anche il reclamo della CGIL al Consiglio d'Europa lamentava una discriminazione operata nei confronti dei medici non obiettori.
Poco più di un anno fa, un articolo su Repubblica esprimeva al meglio questa posizione: si affermava, infatti, che "I medici obiettori in Italia vedono favoriti carriera e guadagni. E infatti la loro percentuale dilaga: sono obiettori il 71 per cento dei ginecologi italiani": quell'infatti dimostrava chiaramente come l'Autore dell'articolo non credesse affatto che l'obiezione dei medici sia fondata su effettivi motivi di coscienza: Adriano Sofri scriveva, poco dopo, che "una dose modica di ipocrisia è essenziale alla convivenza civile. L'eccesso di ipocrisia la degrada". 
Si intervistava la dottoressa Giovanna Scassellati, direttrice del Day Hospital-Day Surgery della legge 194 al San Camillo di Roma.
La d.ssa Scassellati affermava, tra l'altro: 
"Con l'aborto non ti fai clienti: succede che non abbiano più voglia di vederti, dopo. E la gente per lo più sceglie questo mestiere per fare i soldi". 
Di fronte alla domanda sul perché non fosse diventata primario, rispondeva: 
"Non ci sono primari non obiettori. Poi sono donna".
Quindi, doppia discriminazione: i non obiettori non diventeranno mai primari; se sono donne, poi ... sì perché, evidentemente, il rifiuto di eseguire aborti è un atto tipico del maschio - che ha fatto il medico per fare i soldi e che non accetta che la donna eserciti in pieno la sua autodeterminazione.

La d.ssa Scassellati si sarà (suppongo) stupita a leggere l'intervista della d.ssa Alessandra Kustertmann all'Huffington Post, presentata ai lettori come "primario alla clinica Mangiagalli di Milano, donna di sinistra, laica, da sempre impegnata nella difesa della 194, ha aiutato migliaia di donne a interrompere una gravidanza".
La d.ssa Kustermann risponde sulla polemica relativa al cimitero dei bambini non nati deliberata dal Consiglio Comunale di Firenze. L'intervistatrice cerca, però, di trascinarla sul solito argomento: l'alto numero degli obiettori di coscienza impedirebbe l'attuazione della legge 194. Questa la risposta: 
"L'obiezione è ineliminabile. È duro lavorare come ginecologo non obiettore, ma non possiamo fare altro. Penso che in Lombardia, dove ha governato Comunione e liberazione per molti anni, alla fine sia rimasto intatto il diritto a interrompere una gravidanza. Soltanto a Milano siamo tre primarie non obiettrici: abbiamo comunque fatto carriera nonostante facessimo aborti. Forse siamo nate in un luogo più fortunato di altri."
Tre donne medico, tre non obiettrici, tre primarie - solo a Milano! In una Regione in cui - per la vulgata corrente - la giunta Formigoni (che la d.ssa Kustermann etichetta come "di Comunione e Liberazione") avrebbe fatto il bello e cattivo tempo, piazzando i propri uomini in tutti i posti chiave ...
La d.ssa Kustermann, alla fine "tira il freno": "Forse siamo nate in un luogo più fortunati di altri" ... o forse non è affatto vero che facendo aborti non si fa carriera ...

Giacomo Rocchi

domenica 3 novembre 2013

In Italia è sempre urgente uccidere un bambino malato


L'Espresso continua a raccogliere "testimonianze" che dovrebbero dimostrare che la legge 194 sull'aborto in Italia è disapplicata e che la colpa è tutta degli obiettori di coscienza. 
Quella che potete leggere proviene da tale "Roberta" e, ovviamente, la realtà dei fatti raccontati non può essere verificata (non sappiamo se la redazione della rivista provvede a degli accertamenti dopo avere ricevuto le lettere). 


Una sintesi di questi fatti? La donna viene a sapere della malattia cardiaca del bambino il 12 settembre e il 22 settembre viene sottoposta all'intervento abortivo. La donna mostra tutta la sua indignazione verso gli obiettori, ma non riesce a nascondere un fatto: ella può rivolgersi a tutti gli ospedali che vuole e, dopo pochi tentativi, una struttura pubblica gli fornisce il "servizio" richiesto cinque giorni dopo che ella ha avanzato la prima richiesta: sì, perché, come emerge dallo stesso racconto della donna, ella ha avanzato la prima richiesta di abortire solo dopo il 17 settembre. 

Cinque giorni: perché uccidere un bambino malato è evidentemente urgente nel nostro Paese, molto più che eseguire interventi chirurgici anche importanti ... siete mai riusciti a sottoporvi all'intervento per voi necessario in cinque giorni dal momento della richiesta?
Ma come ha fatto Roberta ad abortire in cinque giorni? Sappiamo - lo dice Lei - che ella aveva superato la 22a settimana di gravidanza: quindi si tratta di aborto compiuto dopo i primi novanta giorni, regolato dall'art. 6 della legge 194. Non solo: come la seconda dottoressa aveva spiegato a Roberta, la gravidanza aveva già superato un limite: quello per cui "sussiste la possibilità di vita autonoma del feto"; in altre parole, il bambino, una volta "abortito" (cioè, partorito con parto indotto: infatti Roberta dice proprio di aver partorito), se adeguatamente assistito potrebbe sopravvivere. 
Cosa prevede la legge 194 in questi casi? L'aborto può essere praticato solo quando la gravidanza e il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna e, inoltre, il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura utile a salvaguardare la vita del feto. 
Roberta era in "pericolo di vita"? La lettera non lo dice affatto; fa cenno ad una "lettera della psichiatra cui mi ero rivolta" senza specificare il suo contenuto. Sì, perché, evidentemente, in quei cinque giorni la donna aveva fatto a tempo anche a fare una visita psichiatrica (oppure no? La psichiatra ha mandato una "lettera" senza visitarla?) e la specialista aveva avuto il tempo di certificare qualcosa (il pericolo per la salute psichica? il pericolo per la vita?). 
Ma - come anche questa "testimonianza" dimostra - in Italia "fatta la legge ....": il responsabile del reparto dell'ospedale al quale la donna si era rivolta "mi fece ricoverare d'urgenza per un aborto terapeutico dicendomi che mi avrebbe aiutato perché non si poteva pensare di far nascere un bambino in quelle condizioni". 
E allora: l'articolo 7 della legge prevede che "qualora l'interruzione della gravidanza si renda necessaria per l'imminente pericolo di vita della donna, l'intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure". Ci vuole un "imminente pericolo per la vita della donna": la donna potrebbe morire entro un brevissimo tempo se l'aborto non venisse eseguito. 
Ricorrevano queste condizioni? Assolutamente no: Roberta non stava affatto morendo e, del resto, il medico aveva preso quella decisione per "aiutarla". 
E allora: il racconto di Roberta (come si è detto, da verificare) ci narra di medici che fanno interamente il loro lavoro (il radiologo che riferisce della malattia del bambino e risponde anche alla donna che manifesta la volontà di abortire richiamando la legge 194) e di altri che - a quanto sembra - fanno "carte false" per procedere ad un aborto che la legge non permette. 
Qualcuno all'Espresso si sarà chiesto se la certificazione del medico era ideologicamente falsa perché attestava un imminente pericolo per la vita della donna che, in realtà, non esisteva? Sarà venuto il dubbio che, forse, in quel certificato, il medico aveva anche attestato falsamente una settimana di gravidanza anteriore a quella effettiva, per eludere il dettato della legge? E poi: qualcuno si sarà chiesto se il medico che aveva eseguito l'aborto aveva adottato ogni misura utile a salvaguardare la vita del bambino, dopo l'aborto?
Tutti comportamenti che la legge 194 - sì, proprio quella di cui si invoca l'applicazione! - sanziona penalmente. 
Roberta conclude la sua "testimonianza" con un giudizio severo sui medici obiettori: "non è così che dovrebbero esercitare il loro mestiere, perché davanti a ogni pensiero dev'esserci il rispetto per la persona che si ha davanti": ma noi sappiamo che il medico che aveva eseguito l'ecografia aveva rispetto per "la persona che aveva davanti", tanto che si rifiutava di ucciderla ... Davvero aveva lo stesso rispetto il medico che, in pochi istanti, decise di "aiutare" la donna uccidendole il figlio malato e facendola entrare in quel "tunnel" da cui ella spera, "prima o poi", di uscire?
Giacomo Rocchi

martedì 8 ottobre 2013

L'aborto in base al sesso del bambino "fa impressione" al Fatto Quotidiano ...

Il Fatto Quotidiano rilancia un articolo del The Telegraph dove si riferisce che il Crown Prosecution Service avrebbe deciso di non procedere nei confronti di due medici che avevano acconsentito a praticare aborti basati sul sesso del nascituro. 

Il Fatto Quotidiano, nella presentazione in internet, la prende alla lontana: si chiede, infatti, "se questa possibilità assomigli troppo all'eugenetica". 
Il giornalista Pietro Citati, nel video di presentazione del giornale, osserva che "è vero che nel Nord Europa l'eugenetica è una tradizione, ma la conferma che questa pratica possa essere in qualche modo legale nella Gran Bretagna di oggi fa comunque impressione". 

Non possiamo che gioire per questo sussulto di umanità: il fatto che un bambino (o una bambina) sia ucciso prima della nascita non può che "fare impressione". 
Oppure fa impressione solo l'uccisione di una bambina e solo se essa è decisa perché si tratta, appunto, di una bambina?
Per restare all'eugenetica: al giornalista del Fatto quotidiano "fa impressione" che l'uccisione del bambino venga deciso perché si tratta di disabile, oppure di down, oppure perché malato o "imperfetto"? Non è anche questa eugenetica?

Ma andiamo ancora più in là: davvero il giornalista del "Fatto quotidiano" è disposto a giudicare gli aborti sulla base di quello che pensa la madre? E' quindi favorevole a vietare l'aborto volontario quando, esaminati i motivi per i quali la donna chiede di abortire, si scopre che ella non vuole una figlia femmina, ma un figlio maschio?

Interessante mi pare un'altra domanda: in Italia, sulla base della legge 194, l'aborto basato sul sesso del nascituro è legale? Il giornalista del Fatto Quotidiano si sorprenderebbe nello scoprire che, sì, si tratta di pratica legale, perché, ovviamente, alla legge non interessa affatto il reale motivo per cui la donna vuole abortire (motivo che, infatti, non viene nemmeno registrato nei primi tre mesi di gravidanza): l'aborto volontario è sempre permesso!

Vedremo se qualcuno nel Fatto Quotidiano farà qualche altra riflessione sul fatto che l'eugenetica, dal Nord Europa, è scesa anche in Italia ...

Giacomo Rocchi

lunedì 7 ottobre 2013

La legge 194 sull'aborto tutela la vita della donna?

Due notizie tragiche, quasi contemporanee, riferiscono della morte di due donne e dei loro bambini. 

A Milano, una donna di 37 anni è morta a seguito di un intervento abortivo che - riferisce l'articolo del Giorno - era "un’operazione chirurgica già pianificata e preceduta da visite e controlli. L’unico cambiamento intercorso era quello della data dell’intervento che era stato semplicemente anticipato ma era programmato da tempo". 

A Bologna, una donna è morta dopo un'amniocentesi svolta alla 21a settimana di gravidanza. Ovviamente - alla luce delle notizie degli organi di stampa - non è certo che l'amniocentesi sia stata eseguita in relazione ad un possibile aborto volontario, eppure il sospetto è legittimo: il marito, al Resto del Carlino, afferma che "Mirela stava bene, la gravidanza era stata regolare. Poi avevamo fatto l’ecografia ed erano emerse malformazioni ai reni del feto. I medici hanno detto che bisognava fare l’amniocentesi, che era necessaria, anche se c’era un rischio minimo di complicazioni. L’abbiamo fatta mercoledì, le hanno dato gli antibiotici, e siamo tornati a casa in attesa degli esiti"; l'Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna riferisce che " Un'ecografia morfologica aveva rilevato malformazioni fetali significative: nella giornata di mercoledì era stata eseguita un'amniocentesi per completare la consulenza genetica". 

A cosa serviva una consulenza genetica sul feto? Era urgente perché si stava avvicinando il termine oltre il quale non sarebbe stato più possibile eseguire l'aborto dopo avere accertato "rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro"?

La legge 194 permette l'aborto quando la prosecuzione della gravidanza comporterebbe un serio (o grave) pericolo per la salute della donna: ma in nessun passo della legge troverete l'obbligo per i medici e per gli operatori del consultorio di rappresentare alla donna che intende abortire il rischio per la sua salute fisica o psichica o anche per la sua vita. 
Già: perché che la gravidanza e la maternità possano essere un pericolo per la salute della donna la legge lo dà per scontato e, in definitiva, lascia la valutazione alla donna; che, invece, l'aborto - operazione cruenta e innaturale - possa integrare quel pericolo (anche se svolto in ospedali di eccellenza ...) nessuno lo dice ...

Aspettiamo gli esiti delle indagini; aspettiamo, però, anche la Relazione del Ministro della Salute del prossimo anno: quando riferirà delle complicanze, terrà conto anche di questi due casi?

Giacomo Rocchi

mercoledì 26 giugno 2013

In piedi! Entra il Tribunale della coscienza dei medici e dei farmacisti!


L'avv. Marilisa D'Amico, su L'Unità (cliccando sul titolo si accede all'articolo) presenta la sua soluzione per quello che ritiene il problema dell'alto numero degli obiettori di coscienza all'aborto. 

Vediamo, intanto, come l'Autrice presenta il quadro normativo:
"Con la legge 194 del 1978, si è garantita la possibilità per la donna di interrompere la gravidanza, a certe condizioni, bilanciando il suo diritto alla salute, fisica e psichica, con il diritto alla vita del nascituro, che naturalmente dipende dalla scelta libera della donna circa il proprio futuro.La stessa legge garantisce, all’art. 9, il diritto dei medici di dichiarare la propria obiezione di coscienza, astenendosi dagli interventi abortivi, a certe condizioni"
Come vedete, l'avv. D'Amico usa due volte l'espressione "a certe condizioni": prima riferendosi al diritto della donna di abortire e poi a quello dei medici di dichiarare la propria obiezione di coscienza. 
Ma quali "condizioni" sussistono per la donna se il diritto alla vita del bambino "naturalmente dipende dalla scelta libera della donna"?Ma soprattutto: dove sono le "condizioni" per esercitare l'obiezione di coscienza nell'art. 9 della legge 194, se, per esercitare il diritto, il medico deve esclusivamente fare una dichiarazione?
E allora diciamolo chiaramente: il diritto della donna di abortire è, in realtà (fino al momento in cui sussiste la possibilità di vita autonoma del feto), incondizionato; e altrettanto incondizionato è il diritto dei sanitari all'obiezione di coscienza alle pratiche abortive (cioè a quelle specificamente e necessariamente dirette a provocare l'aborto). 

Il fatto è che l'avv. D'Amico vuole mantenere incondizionato il primo diritto, mentre vuole limitare il secondo.
E vediamo come: 
"La soluzione, a mio avviso, non sta nell’abolizione del diritto all’obiezione, e cioè dell’art. 9 della legge, come pure è chiesto da più parti, ma nella corretta e severa applicazione dello stesso: un esame serio delle motivazioni individuali; la necessità che l’obiezione sia limitata all’intervento strettamente abortivo e non alle attività collaterali, che per alcuni arrivano fino al farmacista che nega “la pillola del giorno dopo”, pure dietro prescrizione; una verifica a livello regionale della presenza in tutti gli ospedali di medici che applicano pienamente la legge". 

Avete capito bene: qualcuno (la D'Amico non dice chi: si propone Lei?) dovrà "seriamente esaminare le motivazioni individuali" del medico o dell'infermiere o del portantino che non vogliono contribuire all'uccisione dei bambini non ancora nati.
Come verrà condotto questo esame? Che domande verranno fatte al medico? 
Sarà ammesso all'obiezione di coscienza il medico che si limita a recitare il giuramento di Ippocrate? 
Si verificherà la situazione familiare del soggetto, la sua fede religiosa (se è un ateo potrà fare obiezione di coscienza?), il suo impegno politico? 
Si permetterà ad un medico che per anni ha eseguito aborti di fare obiezione di coscienza ("ma dottore, che problema c'è? Ne ha già fatti tanti ... non è mica che vuole prendersela comoda!")? 
E a un giovane laureato in medicina pronto a curare e ad aiutare le persone malate ("perché non ha fatto il dentista? Eppure lo sapeva che abortire è un diritto delle donne! Provi a ripetere con me: l'IVG tutela la salute fisica e psichica della donna ... coraggio, è semplice, provi a chiudere gli occhi e non guardare ...")?

Accanto a questo Tribunale della coscienza dei sanitari la Autrice pensa, ovviamente, a ben altri limiti, come l'obbligo di compimento delle attività "collaterali". Peccato che questo sia già previsto dalla legge e che all'Autrice interessa solo impedire l'obiezione di coscienza ai farmacisti alla pillola del giorno dopo. Interessante vedere il concetto di "collaterale" che ha l'avv. D'Amico: c'è un medico che fa la prescrizione per un preparato; questo preparato viene distribuito nelle farmacie: come fa ad essere "collaterale" la consegna del farmaco, se è un passaggio essenziale tra la prescrizione del medico e l'assunzione del preparato? 
Ovviamente la D'Amico non spiega per quale motivo il farmacista non possa esercitare la sua coscienza, ben consapevole che la "pillola del giorno dopo" (come quella "dei cinque giorni dopo") viene prescritta solo per impedire l'annidamento in utero dell'embrione (nel caso sia stato concepito) e quindi per farlo morire ...

Ma, in realtà, alla D'Amico interessa davvero un risultato: bandi di concorso riservati a non obiettori. 
Questa si chiama - banalmente - DISCRIMINAZIONE di un soggetto che ha esercitato un diritto riconosciuto dalla legge e garantito dalla Costituzione. Ma attenzione: significa anche che il medico che ha partecipato al concorso riservato ai non obiettori non potrà più obiettare per tutta la vita, pena il licenziamento.

Ma, dirà qualcuno, qualcosa bisogna pur fare! E' vero o no che l'alto numero degli obiettori rende quasi impossibile l'esercizio del diritto delle donne?
No: purtroppo non è affatto vero. Ma di questo parleremo nel prossimo post.

Giacomo Rocchi
 

domenica 23 giugno 2013

IL BAMBINO E GLI INTOLLERANTI IGNORANTI

Come commentare l'iniziativa provocatoria avvenuta a Bologna nella quale manifesti per l'applicazione della legge 194 sull'aborto e contro l'obiezione di coscienza nei consultori e ospedali pubblici sono stati affissi nella notte sulla sede del Movimento per la vita bolognese, l’ospedale Maggiore e il Consultorio di via Saragozza?
Leggiamo la rivendicazione: "La sede del Movimento per la vita bolognese, l’ospedale Maggiore e il Consultorio di via Saragozza, nella notte tra il 21 e il 22 giugno a Bologna, sono stati sanzionati da giovani donne impegnate a lottare per la piena applicazione della legge 194. Sulle pareti di queste strutture sono apparsi dei manifesti recanti l’immagine esplicativa  dell’embrione tanto caro ai pro-life e ai ginecologi obiettori, in nome del quale negano alle donne accesso alla pillola del giorno dopo e all’interruzione di gravidanza. Gli obiettori e i pro-life  dimenticano la centralità della decisione delle donne, che sono persone, cioè hanno ricordi e progetti futuri, relazioni e ruoli sociali, per attribuire dei finti diritti all’embrione, che ancora persona non è. L’embrione, eliminato durante le interruzioni di gravidanza ordinarie, ovvero quando non presenta nessuna delle peculiarità della donna, non può essere considerato  titolare di diritti. La legge 194 tutela le donne e non gli embrioni. E i medici del servizio pubblico non dovrebbero potersi appellare ad alcuna coscienza, dal momento che loro dovere è garantire il servizio. L’obiezione di coscienza alla legge 194 ha raggiunto nel nostro paese percentuali insopportabili. In molte regioni la via più facile per le donne abbienti è ricorrere alle cliniche private, purtroppo per le meno abbienti, spesso per le migranti, l’unica via praticabile è quella dell’aborto clandestino. Per questo motivo per noi è arrivato il momento di lottare contro chi ci vuole negare diritto alla salute e all’autodeterminazione. Pensiamo che l’interruzione volontaria di gravidanza sia un diritto di tutte le donne. Non c’è storia che tenga: obiettori di coscienza e cattolici pro life sono dei fanatici irresponsabili che vorrebbero riportare il paese indietro di 40 anni. Vogliamo che l’accesso all’ IVG sia garantito h 24 su tutta la nazione. Vogliamo il movimento per la vita fuori dai consultori e gli obiettori fuori dagli ospedali pubblici."
 Sgombriamo subito il campo dalla questione obiettori in aumento – servizio negato. La Relazione sull'attuazione della legge 194 in Emilia Romagna nel 2011, pubblicata nell'ottobre 2012, riferisce (a commento delle tabelle analitiche) che "nel 2011, come già nei due anni precedenti, si conferma un accorciamento del tempo di attesa tra il rilascio del certificato e l’interruzione di gravidanza, sia per gli interventi non urgenti che per gli interventi urgenti: nel primo caso il 14.9% degli interventi è stato effettuato entro una settimana (era 13.5% nel 2010 e 10.7% nel 2009), il 50.9% dopo un’attesa compresa tra gli 8 e i 14 giorni (stabile rispetto al 2010), il 24.9% tra i 15 e i 21 giorni (25.9% nel 2010) e il 9.3% oltre i 22 giorni (rispetto al 10.1% del 2010); nel secondo caso (IVG con certificazione urgente) l’85.6% degli interventi è stato eseguito entro i primi 7 giorni (erano 80.4% nel 2010 e 76.8% nel 2009), il 13.6% tra gli 8 e i 14 giorni e l’0.8% dei casi oltre le due settimane di attesa". Quanto alla possibilità per le donne straniere di ricorrere all'aborto volontario legale, la percentuale raggiunge ormai il 45% del totale; tra le donne straniere che hanno abortito legalmente in Emilia Romagna (provenienti da 110 diversi Paesi), il 10% non era residente nel nostro Paese. Gli aborti legali sono eseguiti in tutte le AUSL della Regione, ovviamente gratuitamente.

Quindi: ignoranza completa sulla situazione effettiva della Regione: gli obiettori non impediscono affatto un (purtroppo sempre più efficiente) servizio di aborto e nemmeno l'operatività dei consultori pubblici (a proposito: le certificazioni rilasciate dai consultori pubblici sono il 64% dei casi, in costante aumento …)
Eppure: il Movimento per la Vita fuori dai consultori e gli obiettori fuori dagli ospedali pubblici! Perché? Gli audaci provocatori sostengono che "la legge 194 tutela le donne e non gli embrioni", ovviamente ignorando che l'articolo 1 della legge 194 usa esattamente quel verbo: "Lo Stato tutela la vita umana fin dal suo inizio"; chiedono, poi, che l'accesso all'IVG sia garantito 24 ore su 24 – evidentemente ignorando che, dopo il rilascio del certificato, è previsto un termine di sette giorni e, quindi, la legge 194, di cui rivendicano la "piena applicazione", non permette affatto di eseguire immediatamente l'intervento a semplice richiesta (una domanda: gli audaci provocatori pensano che troverebbero medici non obiettori disposti ad eseguire un aborto alle 3'30 di notte?).
Davvero notevole il concetto dell'arte medica di questi "sanzionatori": i medici non possono usare la coscienza, "il loro dovere è garantire il servizio" (se la pena di morte diventasse legale, il dovere dei medici sarebbe quello di "garantire il servizio"?).

Insomma: i prolife e gli obiettori saranno forse dei "fanatici", ma almeno, oltre alla coscienza, usano il cervello …

Un merito a questi provocatori bisogna però riconoscerlo: essi hanno affisso cartelli con l'immagine di un embrione e si sono confrontati con questa immagine; naturalmente si sono rassicurati con affermazioni tassative: "L’embrione, eliminato durante le interruzioni di gravidanza ordinarie, ovvero quando non presenta nessuna delle peculiarità della donna, non può essere considerato titolare di diritti".
Notate però l'imbarazzo nel definire la posizione dell'embrione nell'aborto: esso è "eliminato" (cioè? fatto a pezzi?); ma solo nelle interruzioni di gravidanza "ordinarie" (ci sono quelle straordinarie?), quando non presenta nessuna delle "peculiarità della donna" ("peculiarità"? Quali sarebbero? E davvero l'embrione non ne presenta "nessuna"?)

Un consiglio a chi è stato vittima di questa (modesta) aggressione: lasciate quei cartelli con il bambino: guardandolo, anche degli intolleranti ignoranti come coloro che li hanno affissi qualche pensiero fastidioso ce l'hanno.

Giacomo Rocchi 

sabato 22 giugno 2013

L'azienda Sanitaria di Firenze dà ragione ai Giuristi per la Vita.

In questi giorni, tra Firenze e Borgo San Lorenzo, si assiste ad uno scontro molto istruttivo. Tutto nasce dalla decisione della ASL 10, che copre sia il territorio di Firenze che il Mugello, il cui "capoluogo" è Borgo San Lorenzo, di sospendere, dal prossimo 15 giugno, il "servizio" di esecuzione degli aborti volontari attivo presso l'ospedale di Borgo San Lorenzo e di accentrarlo completamente presso il presidio Palagi di via Michelangelo a Firenze, dove verranno eseguiti la preospedalizzazione e gli interventi. Perché questa decisione? L'Azienda indica che il numero degli aborti del 2012 era stato di 951 al Palagi e di circa 50 a Borgo San Lorenzo. Portando a completamento la centralizzazione del servizio a Firenze, si intende realizzare “un riferimento di eccellenza ove garantire i migliori standard assistenziali e di qualità organizzativa”.
La decisione è ben comprensibile nell'ottica di una organizzazione sanitaria efficiente: la ASL 10 è impegnata, su indicazione della Regione Toscana, a riorganizzare i servizi e a ridefinire la rete ospedaliera, garantendo, tra l'altro, i volumi di attività minima per unità operativa, con la concentrazione casistica in idonei punti della rete, così da ottenere un utilizzo ottimale delle
competenze specialistiche (e, perché no, un risparmio della spesa pubblica).

Interessanti sono le reazioni negative, la loro provenienza e le motivazioni addotte. L'assessore alle Politiche di Salute del Comune di Borgo San Lorenzo così commenta: “pur comprendendo
la necessità di azioni di riorganizzazione aziendale volte a contenere la spesa sanitaria regionale, non si capisce come le donne del Mugello dovrebbero trovare un miglioramento nel ricevere un servizio qualitativamente analogo a quello finora avuto all’ospedale di Borgo, con il disagio aggiuntivo di dover percorrere 35 Km in più". Come si vede si tratta, appunto, di 35 chilometri, ampiamente serviti da servizi pubblici, per giungere al capoluogo di Regione; uno spostamento che può essere ampiamente programmato, tenuto conto che l'intervento abortivo può essere eseguito solo sette giorni dopo il rilascio del certificato.
Ma, evidentemente, questi 35 chilometri assumono, per alcuni, un significato simbolico: dalla Provincia di Firenze l'Assessore alla Pari Opportunità dichiara: "La decisione di spostare il servizio di interruzione di gravidanza da Borgo San Lorenzo a Firenze è una scelta
difficile da comprendere. La legge 194 deve essere pienamente applicata, come più riprese associazioni femminili e autorevoli esponenti politici negli anni hanno ripetuto. L’elevato numero di obiezioni di coscienza e la loro concentrazione in modo disomogeneo nei presidi ospedalieri mettono da tempo a rischio l'Ivg in molte parti del Paese, e questo purtroppo avviene anche nella nostra Provincia; non possiamo far in modo che anche le ASL sospendano il servizio stesso in alcune zone come quelle più distanti fisicamente dai capoluoghi, perché questo mette in discussione l’applicazione della legge stessa e, quel che è peggio, mette in discussione il principio di tutela della salute delle donne”. Potevano mancare i coordinamenti in difesa della legge 194 ("Giù le mani dalla legge 194!")? Ovviamente no; come perfettamente prevedibile è la dichiarazione della Responsabile donne Pd metropolitano di Firenze: “Si chiude un servizio e si ledono i diritti delle donne: passano gli anni e manca ancora la piena applicazione della 194 che impedirebbe accadessero episodi come questo; il presidio ospedaliero era di grande importanza per il Mugello, spostarlo comporterà ovviamente disagi per chi abita nella zona: qualsiasi sia la ragione che ha comportato questa scelta, che dipenda da questioni economiche o no, non può giustificare l’andare contro un principio sancito da una legge dello stato, già molto spesso limitata, anche nel nostro territorio, per la presenza sempre più frequente di obiettori di coscienza”. 
Tenuto conto della provenienza partitica delle reazioni, sarà interessante vedere se la ASL 10 terrà ferma la sua decisione oppure tornerà indietro …

Andiamo al merito della questione: la ASL 10 giustifica la decisione con la volontà di garantire un "servizio di eccellenza": evidentemente 50 aborti in un anno in un ospedale sono troppo pochi per apprestare un servizio efficiente e determinano costi aggiuntivi e spreco di risorse umane e finanziarie. La linea generale è: centralizzare gli interventi chirurgici in un ospedale di riferimento (per questo "servizio", il Palagi di Firenze). Le donne del Mugello che intendono abortire, di fronte a questa offerta, hanno il disagio di compiere un percorso di 35 chilometri (in pullman: 50 minuti). Come si vede, la decisione non ha niente a che vedere con il numero degli obiettori di coscienza ed è chiaramente diretta a tutelare (per quanto un aborto volontario possa farlo …) la salute delle donne in relazione ai rischi di un intervento chirurgico.

Ma, evidentemente, con la legge 194 si ragiona in modo diverso, anzi: si "deve" ragionare in modo diverso! Occorre mantenere alta la bandiera dei "diritti delle donne", individuare i "nemici" (gli obiettori di coscienza, qualche funzionario della ASL 10 non sufficientemente "sensibilizzato"), lottare per difendere questi diritti.
Soprattutto la parola "salute", riferita alle donne che abortiscono, assume un significato sfumato: si tratta di un "disagio" da sopportare per avere un "servizio" più efficiente oppure la salute delle donne viene lesa tutte le volte in cui un presidio ospedaliero non esegue gli aborti?

A certi esponenti politici (e a certi sindacati) interessa davvero la salute delle donne oppure queste donne vengono strumentalizzate per interessi localistici o per aggredire i medici che non vogliono uccidere bambini?


Giacomo Rocchi

martedì 28 maggio 2013

L'assessore alla sanità che non vuole medici coscienziosi

"Isoleremo i fannulloni e tutti i medici che fanno false obiezioni di coscienza. Gli scateneremo contro  la Guardia di finanza"
(La Repubblica, cronaca di Bari, 25 maggio 2013, VII)

A minacciare questa azione è l'Assessore Regionale alla Sanità della Regione Puglia, d.ssa Elena Gentile, che, evidentemente, pensa di dare così il suo contributo alla campagna di diffamazione e calunnie che, ormai da mesi, si è intensificata contro i medici che - silenziosamente - rifiutano di uccidere i bambini non ancora nati.
Poche parole, ma davvero significative.

Partiamo da due connotazioni personali, che ricaviamo dal suo profilo reperibile sul sito istituzionale della Regione Puglia.
L'Assessore Gentile è pediatra; cura, cioè, i bambini scampati all'aborto. Bene: siamo felici per lei, un lavoro bellissimo. Chissà come agirebbe se una legge permettesse l'infanticidio, riconoscendo l'obiezione di coscienza ai neonatologi e ai pediatri: farebbe obiezione di coscienza?
L'assessore pensa che i ginecologi non sappiano che il bambino ucciso dall'aborto è lo stesso bambino curato dal pediatra?

La seconda connotazione è politica. L'assessore Gentile è politico di lungo corso: era iscritta al Partito Comunista Italiano dal 1984 ... quindi da prima che i popoli che avevano avuto a che fare con i comunisti al governo riacquistassero la loro libertà e la loro dignità; ma soprattutto riacquistassero la loro libertà di pensiero e di coscienza prima negata.
Come farà l'assessore Gentile a individuare "i medici che fanno false obiezioni di coscienza"? L'articolo 9 della legge 194 del 1978 (quella approvata anche da quello che poi diventò il suo partito) ha previsto che la dichiarazione di obiezione di coscienza del sanitario all'aborto non sia motivata. L'obiezione di coscienza è un diritto assoluto potestativo, il cui esercizio non dipende da alcuna autorizzazione o giudizio di altri, ma dalla semplice volontà dell'obiettore.
Troppo liberale e democratico uno Stato che non si permette di entrare nella coscienza del sanitario - sapendo di chiedergli di uccidere un essere umano - e si ferma alla sua soglia? Forse era migliore il sistema adottato dai Paesi comunisti nei confronti degli obiettori di coscienza?

E quanto è comunista la diffamazione che accompagna la minaccia! L'assessore Gentile, in realtà (almeno spero, visto il suo ruolo istituzionale) sa benissimo che non ha alcun diritto di giudicare se una dichiarazione di obiezione di coscienza sia "vera" o "falsa"; e allora diffama, accostando agli obiettori di coscienza "i fannulloni".
Vuole forse dire che coloro che hanno dichiarato obiezione di coscienza non fanno niente, stanno con le mani in mano e non vengono destinati ad altri incarichi? Ancora una volta, l'Assessore sa benissimo che non è così, ma lascia intendere ...

La Guardia di Finanza: la ciliegina finale!
Un assessore regionale - un importante ruolo istituzionale - che "scatena" la Guardia di Finanza (la quale, fino a prova contraria, non è un cane lupo e ha una certa autonomia di valutazione e di operatività, che pare che l'assessore Gentile non riconosca) nei confronti di coloro che hanno esercitato un diritto riconosciuto dalla legge e avente rilievo costituzionale, ma anche riconosciuto a livello della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo ... diritti dell'uomo che, forse, l'eroico passato comunista dell'assessore alla sanità tende a dimenticare ...

Giacomo Rocchi


domenica 26 maggio 2013

La scienza e la coscienza dei farmacisti


Su "Repubblica" di Bologna si riferisce dell'esito di un'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 194 sull'aborto nel territorio interessato. Si parla di obiezione di coscienza come di un "problema": verrebbe da chiedersi per chi: forse per coloro che vogliono nascondere la realtà dell'aborto volontario ...
Ma il discorso sull'obiezione di coscienza, in questo caso, serve ad altro: è l'introduzione ad un attacco diretto e personale nei confronti dei farmacisti obiettori di coscienza alla pillola del giorno dopo. L'attacco viene sferrato da un collega, il Vicepresidente dell'Ordine dei farmacisti di Bologna, il dr. Franco Cantagalli, che afferma: "La Federazione ordini farmacisti italiani, nel 2000 emanò una circolare per dire che l'obiezione di coscienza non esiste, nel 2007 noi a Bologna lo ribadimmo e ricordammo le sanzioni. E' assurdo dire queste cose al pubblico, noi dobbiamo dare il medicinale, l'obiezione di coscienza non esiste"

Fuoco amico ... da parte di chi, nonostante il suo ruolo istituzionale, quando una di queste farmacie venne vergognosamente aggredita e danneggiata, colse l'occasione per ribadire che il farmacista non poteva fare obiezione di coscienza e rischiava sanzioni penali e disciplinari. Le sue dichiarazioni sono reperibili su tanti siti internet che fanno capo agli autori di quella aggressione.

Ma analizziamo un po' le affermazioni di Cantagalli per vedere se chi sostiene di avere il diritto di esercitare l'obiezione di coscienza alla pillola che uccide affermi davvero cose "assurde".
"Noi dobbiamo dare il medicinale": Cantagalli, cioè, collega l'obbligo di consegna del medicinale a carico del farmacista con l'impossibilità di esercitare l'obiezione di coscienza ("l'obiezione di coscienza non esiste"). Questa sì che è una posizione assurda: l'obiezione di coscienza ha un senso solo se esiste un obbligo cui il soggetto, per motivi di coscienza, non può adempiere! Se non c'è obbligo, c'è libertà e, quindi, non si può parlare di obiezione di coscienza.
Ma questo svarione del dr. Cantagalli rivela, in realtà, un atteggiamento molto chiaro: lo Stato ha stabilito una legge, io ho una farmacia che rende assai bene, sono stimato ... chi me lo fa fare di esercitare la mia coscienza ... e i colleghi che lo fanno, che fastidio!
Peccato che il Codice Deontologico imponga al Farmacista di "operare in piena autonomia e coscienza professionale, conformemente ai principi etici e tenendo sempre presenti i diritti del malato e il rispetto della vita" ...
"Le sanzioni": il farmacista che ha paura di usare la propria coscienza non ha invece timore di minacciare sanzioni penali e disciplinari per coloro che vi fanno ricorso ...
"Nel 2000 ... nel 2007": il dr. Cantagalli, con le sue convinzioni rocciose, è rimasto fermo: per lui i due documenti del Comitato Nazionale di Bioetica sull'obiezione di coscienza non sono mai esistiti, le mozioni parlamentari mai approvate, la discussione dei progetti di legge mai avvenute, la Risoluzione dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa mai approvata, la discussione ampia dentro e fuori la categoria mai tenuta...
Il dr. Cantagalli sembra ignorare quanto dichiarato dal presidente della Federazione dell'Ordine dei farmacisti al CNB: "Il Presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti, il Dott. Andrea Mandelli, in occasione dell’audizione tenutasi presso il CNB, ha voluto precisare che il farmacista è un operatore sanitario in base alla normativa vigente “e che, se non interviene ovviamente nel processo di diagnosi e indicazione della terapia, ha tuttavia una sua competenza specifica per quanto attiene al farmaco nei confronti del cittadino, prova ne sia che è tenuto al controllo della ricetta”. Il suo compito e la sua responsabilità sono non solo quelli di vendere il farmaco richiesto, ma anche di istruire i pazienti sull’uso appropriato dei farmaci, di indicare le eventuali interazioni con altri medicinali assunti dal paziente, di sciogliere eventuali dubbi sul principio attivo e gli eccipienti, anche rinviando, se del caso, il cliente al medico curante. E in merito ad una possibile “alleanza terapeutica” ha dichiarato: “il farmacista interagisce con il cliente-paziente, anzi è l’operatore sanitario più vicino al paziente ed al servizio della gente”.
Questa dichiarazione veniva fatta per negare che un farmacista possa essere considerato mero "dispensatore di farmaci" e per affermare che egli, al contrario, è un "operatore sanitario", con tutta la dignità umana e professionale che ciò comporta. 
Cantagalli vuole, invece, essere solo dispensatore di farmaci?



E allora, dr. Cantagalli: è davvero "assurdo" che qualche farmacista non dimentichi di aver giurato: "DI ESERCITARE L’ARTE FARMACEUTICA IN LIBERTÀ E INDIPENDENZA DI GIUDIZIO E DI COMPORTAMENTO, IN SCIENZA E COSCIENZA E NEL RIGOROSO RISPETTO DELLE LEGGI, DEI REGOLAMENTI E DELLE NORME DI DEONTOLOGIA PROFESSIONALE; DI DIFENDERE IL VALORE DELLA VITA CON LA TUTELA DELLA SALUTE FISICA E PSICHICA DELLE PERSONE E IL SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA COME FINI ESCLUSIVI DELLA PROFESSIONE, AD ESSI ISPIRANDO OGNI MIO ATTO PROFESSIONALE CON RESPONSABILITÀ E COSTANTE IMPEGNO SCIENTIFICO, CULTURALE E SOCIALE, AFFERMANDO IL PRINCIPIO ETICO DELL’UMANA SOLIDARIETÀ"?

Giacomo Rocchi

venerdì 24 maggio 2013

Sorpresa: la legge 194 non elimina gli aborti clandestini

L'inchiesta di Repubblica sul numero effettivo degli aborti clandestini in Italia prende atto di un dato: la legge 194 del 1978 che ha legalizzato l'aborto e che ha permesso l'uccisione legale di quasi sei milioni di bambini in questi 35 anni non è servita nemmeno a cancellare l'aborto clandestino nel nostro Paese. 

Repubblica rivela un dato che - a leggere le statistiche ministeriali - già emergeva con chiarezza: il Ministero si rifaceva ad una fumosa statistica che quantificava in 15.000 - 20.000 gli aborti clandestini delle donne italiane; tenuto conto dell'aumentato numero degli aborti legali effettuati dalle donne straniere e rilevando che i procedimenti penali per aborto clandestino riguardavano soprattutto cittadini stranieri, non è affatto difficile giungere alla cifra di 50.000 aborti clandestini l'anno che il quotidiano indica. Forse sono ancora di più.

E così, proviamo ancora una volta a rifare la triste "contabilità" dei bambini uccisi: se le statistiche effettive (e non propagandistiche) indicavano gli aborti clandestini in non più di 80.000 - 100.000 all'anno prima dell'entrata in vigore della legge 194, ora i bambini uccisi sono molti di più:
- almeno 105.000 aborti legali
- almeno 50.000 aborti clandestini
- decine di migliaia di embrioni uccisi dalla contraccezione abortiva
- decine di migliaia di embrioni uccisi dalla fecondazione artificiale.

Davvero un bel risultato ...

Naturalmente Repubblica ha un colpevole: e sono i medici obiettori di coscienza. Peccato che non sia affatto dimostrato che gli aborti clandestini siano aumentati con l'aumento dei medici obiettori e, soprattutto, che gli esempi indicati dall'articolo non dimostrino affatto quanto si lascia intendere.
Vediamoli, allora, questi esempi:
- "In intere regioni l'aborto legale è stato cancellato": Al contrario (tabella 1 allegata alla Relazione del Ministro della Salute), gli aborti legali sono stati eseguiti in tutte le Regioni italiane
- si citano ambulatori per aborti clandestini gestiti dalla mafia cinese: è colpa degli obiettori o è vero che la preferenza delle donne cinesi immigrate per l'aborto clandestino eseguito da connazionali (così come dei cittadini cinesi per il ricorso alla medicina tradizionale) è un fatto da sempre esistente? Le statistiche del Ministero della Giustizia sui procedimenti penali per aborto clandestino dimostrano che, da sempre, i cittadini stranieri extracomunitari sono coinvolti in misura nettamente superiore alla percentuale di incidenza sulla popolazione complessiva: il 40% nel 2003, il 48% nel 2006 ... D'altro canto, se l'aborto legale delle donne straniere è giunto alla percentuale del 34%, non pare davvero che vi siano particolari difficoltà per accedere al servizio;
- "Donne che migrano da una regione all'altra ...": nel 2010 (ultime statistiche disponibili), quasi il 90% degli aborti sono stati eseguiti su donne residenti nella stessa Regione; erano il 92% nel 1997, il 90,4% nel 2001, l'89,7% nel 2004 ... non sembrano cambiamenti così radicali ...
- Si parla di Alem, minorenne, che ha abortito da sola perché non voleva che i genitori lo sapessero e perché in ospedale non l'hanno voluta perché minorenne: c'entrano qualcosa gli obiettori? L'ospedale - senza l'autorizzazione del Giudice tutelare - evidentemente non poteva effettuare un aborto ...
- Si parla di un'altra ragazzina che ha abortito da sola perché "è troppo povera per avere un altro figlio": visto che, poco dopo, non si perde occasione per parlare male dei volontari dei Centri di Aiuto alla Vita, ci si può chiedere se non sarebbe stato meglio per quella ragazzina incontrare qualcuno che l'avrebbe aiutata, anche dal punto di vista economico ... in ogni caso, cosa c'entrano gli obiettori?
- si parla della nota triste vicenda del ginecologo che aveva convinto una donna che voleva abortire a partorire e a vendere il bambino ... era un obiettore di coscienza?
- Silvana Agatone, presidente della Laiga - l'associazione che chiede, per i medici non obbiettori, aumenti di stipendio e giorni di ferie in più - ricorda il caso di una donna nigeriana giunta in ospedale in condizioni gravissime: il ricorso all'aborto clandestino delle donne nigeriane è altissimo da tempo, tanto che il Ministro della Giustizia indicava quella nazionalità separatamente dalle altre: nel 2006 il 17,5% del totale dei procedimenti per aborti clandestini riguardavano cittadini nigeriani ... c'entrano gli obiettori di coscienza?
- si parla, poi, della donna pugliese che vive a Matera e che si è rivolta ad una ginecologa privata perché nella sua provincia il servizio IVG non era più garantito. La Relazione del Ministro della salute parla esplicitamente della Basilicata, osservando che "L'esempio della Basilicata è paradigmatico: presenta un
flusso in entrata pari al 12.6% ma ha anche un consistente flusso in uscita (318 IVG), prevalentemente verso la Puglia"; quindi in Basilicata gli aborti si fanno, tanto che vengono ad abortire donne da altre regioni; forse a Matera non si fanno, ma certamente a Matera ci sono Consultori che danno tutte le indicazioni ... Visto che l'aborto poteva essere programmato, era davvero essenziale farlo a Matera?

Ma tutto serve ... serve a calunniare i medici che, silenziosamente, affermano il loro diritto a curare, e non a uccidere; serve a instillare l'idea secondo cui questo diritto dovrebbe essere limitato e che, insomma, questi medici pensano troppo, cosa è questa storia della coscienza!

Giacomo Rocchi

lunedì 6 maggio 2013

DOMENICA 12 MAGGIO A ROMA, CONTRO UNA CULTURA DI MORTE CHE CI STA SOMMERGENDO - di Marisa Orecchia*


Mancano pochi giorni alla terza Marcia per la Vita, che avrà luogo a Roma domenica prossima, 12 maggio.  Come tutte le marce per la vita che da anni camminano per il mondo, richiamerà un gran numero di partecipanti – si è passati nell'arco di due anni dai quasi mille della prima, a Desenzano, ai più di quindicimila  di Roma dell’anno scorso - e le attese degli organizzatori non andranno deluse, nonostante proprio nella  stessa giornata abbiano luogo anche altre iniziative.
La vita chiama, e finalmente c’è un luogo, un evento in cui, con la gioiosa partecipazione di chi si mette in viaggio da ogni parte del Paese, e anche da fuori, nei pullman che solcano la notte, con la famiglia, con i figli piccoli, come in una lieta fatica di pellegrinaggio, è possibile dire che la vita non si uccide, che la vita si tutela, si difende, si accoglie.
In cui è possibile dire che la legge 194, che legalizza l’aborto, è legge sommamente ingiusta, da sostituirsi  con una che tuteli in ogni caso la vita dell’innocente indifeso e che quasi sei milioni di aborti in trentacinque anni sono il desolato risultato di una guerra contro la vita cui troppo spesso abbiamo opposto armi inadeguate.
Tramontano finalmente, con la Marcia per la Vita, i giorni in cui la delega alla battaglia per la vita veniva rilasciata in esclusiva a chi, dalle aule dei Parlamenti, ci diceva che non era ancora il tempo, che non c’erano le condizioni politiche, che occorreva cautela per non rischiare di peggiorare la situazione, che ci accontentassimo di pretendere l’applicazione delle cosiddette parti buone delle 194, che sarebbe bastato  l’esempio di una concreta e fattiva accoglienza alle madri in difficoltà, perché la cultura della vita si imponesse.
Una strategia, questa, servita soltanto a consolidare una situazione nel silenzio della quale si continua ad uccidere. Non si vuole certamente qui misconoscere il grande impegno del volontariato pro-life che in tutti questi anni ha sottratto, nel silenzio e nella povertà di mezzi, tanti bambini all’aborto: chi scrive passa da più di trent’anni un pomeriggio alla settimana in un Centro di Aiuto alla vita e ben conosce la fatica  dell’accoglienza, l’ansia per quella mamma che forse non ce la fa e va ad abortire, la gioia per il sorriso di quel bimbo per il quale era già pronto il certificato di aborto. Ma tutto questo non basta, non è bastato. Il dilagare delle pillole abortive, il fai da te dell’aborto, l’attacco sempre più mirato contro il diritto di obiezione di coscienza dei medici e del personale sanitario sono chiari indicatori di una cultura di morte che ci sta  sommergendo.
Ci riappropriamo, con la Marcia per la Vita, della facoltà di affermare di persona, davanti all’opinione pubblica, che è ora di cambiare, che sull'uccisione dell’innocente non si costruisce nulla, se non la rovina di un popolo tutto, che una legge ingiusta deve essere abrogata. Che adesso basta.

(*) Presidente di Federvita Piemonte

giovedì 2 maggio 2013

VIOLENZA SULLE DONNE O VIOLENZA SULLE PAROLE?

La Consulta di Bioetica organizza per il 3 e il 4 maggio 2013 un Convegno a Novi Ligure dal titolo: "C'eravamo tanto amati? Le varie dimensioni della violenza sulle donne". Come potevamo attenderci da un organismo di quel genere, tra le varie "dimensioni" della "violenza sulle donne" è compresa anche l'obiezione di coscienza dei sanitari all'aborto.
Dopo l'introduzione di Maurizio Mori, una tavola rotonda su "istantanee di violenza contemporanea" vedrà la partecipazione di un giurista sul tema "L'obiezione di coscienza come forma di violenza: limiti giuridici"; ma il tema diventa centrale nella prima sessione del 4 maggio, introdotta da una Lectio Magistralis di Carlo Flamigni, cui seguirà la Tavola Rotonda dal titolo: "L'obiezione di coscienza come forma di violenza?"
In essa Antonella Ficorilli parlerà del tema "L’attuale appello alla coscienza e il suo configurarsi come violenza sulle donne, le loro scelte morali e la possibilità di accedere ai servizi pubblici". A quanto risulta dal titolo della relazione, l'unico difensore dell'obiezione di coscienza sarà Mario Riccio ...

La Consulta di Bioetica gioca con le parole: l'obiettore di coscienza non esercita alcuna violenza sulle donne che intendono abortire, non avendo con esse alcun rapporto; piuttosto si rifiuta di partecipare al massacro di tantissime bambine e di tanti bambini che una legge ingiusta consente. L'obiezione di coscienza, silenziosamente, contrappone a chi urla la consapevolezza che l'aborto uccide un essere umano vivente, che tale uccisione non è mai una soluzione per le donne in difficoltà per una gravidanza e che, anzi, esso si trasforma in una violenza sulle donne che lo subiscono - anche se lo hanno scelto, come la legge permette.
Non sappiamo quale sarà il contenuto della Lectio Magistralis di Carlo Flamigni. Suggeriamo all'illustre medico si rispondere ad una domanda, tra le tante: quante donne sono morte di aborto legale in Italia dall'entrata in vigore della legge 194? Nel libro "Nascere e morire: quando decido io?", a cura di Gianni Baldini e Monica Soldano, Firenze University Press, 2011, Flamigni scrive che
"le reali complicazioni degli aborti chirurgici in realtà non le conosce nessuno ... Dunque, mancano i dati relativi alle gravidanze extrauterine non diagnosticate, alle perforazioni dell'utero, alle flogosi tardive, alle conseguenze di interventi eseguiti per sinechie intrauterine e così via. Resta poi il miracolo delle anestesie, che non fanno danni solo alle donne che abortiscono". 
In un altro passo Flamigni (insieme a Corrado Melega, coautore dell'articolo) riporta un dato, apparso su una autorevole rivista scientifica, secondo cui la mortalità da aborto chirurgico è pari a 0,6 per 100.000 aborti legali; il dato americano dal 1994 al 1999 si aggirava ad una donna morta su 80.000 - 120.000 casi di aborto chirurgico legale.
E allora: se la media è di una donna morta ogni 100.000 aborti legali e se gli aborti legali dal 1978 ad oggi sono stati 6.000.000, sono morte 60 donne? E quante per l'anestesia praticata (ancora molto diffusa, come indicano le statistiche ministeriali)? Qualcuno ne ha saputo qualcosa in questi anni?
Siamo convinti che Carlo Flamigni parlerà anche di questa violenza sulle donne.

Nel frattempo, la Consulta di Bioetica potrebbe riflettere anche sul precipizio verso cui ci spingono coloro che vogliono limitare o negare l'obiezione di coscienza dei sanitari: negando la realtà dell'aborto - l'uccisione di un bambino - essi pretendono di sindacare sulla coscienza di ciascuno e di imporre ai medici di uccidere: lo Stato totalitario compare all'orizzonte, quello stato in cui la singola persona umana - che sia un bambino o un medico - non conta nulla e deve soccombere di fronte al volere della maggioranza.
La violenza sulle parole è il primo passo per la violenza sulle persone. 

Giacomo Rocchi