lunedì 5 dicembre 2011

Obiezione di coscienza e giuristi "democratici"

"Oggi, a più di trent'anni dall'approvazione della legge sull'interruzione di gravidanza, la possibilità dell'obiezione di coscienza dei medici andrebbe semplicemente abolita".
Come vedete, il grande maestro di diritto prof. Stefano Rodotà non ha dubbi e propone una soluzione semplicissima: se vuoi fare il medico, devi praticare gli aborti.
A leggere l'articolo apparso su "D" di Repubblica e ripreso da Micromega (cliccando sul titolo si accede all'intervista) si comprende in che modo Rodotà giunge a questa conclusione, per lui del tutto logica: cancellando il bambino ucciso.
Secondo lui i medici che sollevavano obiezione non lo facevano per non uccidere bambini: "Quando la legge è stata approvata, la clausola dell'obiezione di coscienza era ragionevole e giustificata: i medici avevano iniziato la loro carriera quando l'aborto era addirittura un reato ed era comprensibile che alcuni di loro opponessero ragioni di coscienza".
Avete capito? I medici potevano obbiettare solo perché, quando avevano iniziato a lavorare, l'aborto era un reato ... i nuovi medici iniziano a lavorare quando l'aborto è un diritto e quindi non possono opporre "ragioni di coscienza".
In questa frase è racchiusa la concezione che ha Rodotà, sia dell'arte medica che del lavoro dei giuristi.
I medici: la loro coscienza coincide (deve coincidere) con il dettato della legge: "il ginecologo sa che l'interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge, che rientra nei suoi obblighi professionali e non è più ragionevole prevedere una clausola per sottrarvisi".
Rodotà sa che fare aborti è un lavoro "sporco", tanto che, a suo parere, attualmente i medici non obbiettori sono "medici di serie B che fanno solo aborti, con il rischio di una dequalificazione professionale" (non sarà che la qualificazione professionale si ottiene curando il paziente e non sopprimendo bambini?). Strana, però, questa dequalificazione: quei medici garantiscono - a parere dell'illustre professore - "il diritto alla salute della donna, che è un diritto fondamentale della persona e non è mera assenza di malattia, ma benessere fisico, psichico e sociale"; perché dovrebbero sentirsi dequalificati?
I giuristi: la realtà è quella scritta nella legge? Rodotà pensa che ripetere più volte la parola d'ordine "interruzione di gravidanza" muti la sostanza dell'atto abortivo? Il compito del giurista è solo commentare la legge vigente (ovviamente "saggia")? Fare finta che davvero gli aborti siano terapeutici (e per chi?).

In realtà il prof. Rodotà applica fino in fondo lo spirito della legge 194 - una legge che afferma il diritto ad uccidere bambini innocenti, le "non ancora persone", per usare le parole della Corte Costituzionale: quando si è violato il diritto fondamentale alla vita, davvero è possibile rispettare la libertà di coscienza dei medici? E per quanto tempo ancora gli obbiettori di coscienza non saranno discriminati per legge (a partire dai bandi per l'assunzione riservati ai non obbiettori, che Rodotà propone)?

Giacomo Rocchi

giovedì 1 dicembre 2011

In Italia esiste il diritto di uccidere



Qualche riflessione sulla sentenza della Cassazione che, confermando una sentenza della Corte d'Appello di Perugia, ha condannato l'Università La Sapienza di Roma al risarcimento dei danni morali subiti dai genitori di un bambino down che avrebbe potuto essere abortito e non lo fu.

Durante la gravidanza era stato eseguito l'esame della funicolocentesi che aveva dato esito negativo; l'Università è stata dichiarata responsabile perché la gestante non era stata informata della inaffidabilità dell'esame "e quindi sulla necessità di ripeterlo entro la 24a settimana". Non avendo ripetuto l'esame (e non avendo, quindi, conosciuto l'esistenza della sindrome nel suo bambino) la madre non aveva potuto esercitare "il diritto di poter decidere liberamente, anche attraverso un'adeguata informazione sanitaria, la scelta dell'aborto terapeutico o di rischiare una nascita a rischio genetico". In un ulteriore passaggio l'inadempimento dell'Università è stato ritenuto "suscettibile di ledere i diritti inviolabili della persona e quindi anche della gestante e del padre".

Come quantificare il danno? La Corte d'Appello di Perugia aveva liquidato l'importo di euro 80.000; somma troppo bassa, secondo la Cassazione, "considerata la gravità del sacrificio personale e la permanenza dell'assistenza di una persona che abbisogna di continue cure, sorveglianza ed affetto". Abortire il bambino sarebbe costato meno ...

Giudici impazziti? Anche se Avvenire titola "Risarcimento per mancato aborto: la Cassazione sbanda", in realtà non si tratta affatto della prima sentenza di questo tipo. Alberto Gambino, intervistato da Avvenire, sostiene che "l'aborto non è un diritto, ma un bilanciamento di interessi contrapposti" e aggiunge che "bisogna essere un po' cauti nell'accogliere questi percorsi giurisprudenziali, perché sembrerebbe che in Italia esiste un diritto ad abortire sostanzialmente illimitato. Invece la nostra legislazione prevede una possibilità di sacrificare la vita del nascituro davanti ad una lesione psicofisica. E questa è la condizione che si deve verificare".


I Giudici applicano la legge: e la legge sull'aborto è la legge 194 (alcuni ritengono che non si dovrebbe tentarne la cancellazione). Per riconoscere il risarcimento del danno, occorre che ad essere violato sia un diritto soggettivo. E che quello della donna ad uccidere il proprio figlio sia un diritto (anche dopo il terzo mese di gravidanza) la Cassazione civile (i giudici civili sono, appunto, i giudici dei diritti) lo ha affermato fin dal 2002.

Ma, si dice, almeno dopo il terzo mese, per abortire dovrebbe esistere una lesione psicofisica della donna. No, ribattono i giudici civili: la legge 194 prevede solo che le anomalie del nascituro possano provocare "un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna"; quindi per ottenere il risarcimento non occorre accertare se davvero, dopo il parto, la madre abbia subito un danno; è sufficiente verificare "se la dovuta informazione sulle condizioni del feto avrebbe potuto determinare durante la gravidanza l'insorgere di un tale processo patologico".

Insomma: nessun danno reale e neanche nessun pericolo reale.


Le novità di questa sentenza sono altre: la prima è che viene riconosciuto il diritto al risarcimento anche al padre (pensate un po': l'uomo non può intervenire per impedire l'uccisione di suo figlio, ma può chiedere soldi come risarcimento se la madre non ha potuto esercitare il suo diritto di ucciderlo ...); e, inoltre, i Giudici civili superano di slancio l'unico limite della legge 194.

Sì, perché, come è noto, l'aborto non sarebbe permesso se il bambino, strappato dal corpo della madre, ha qualche possibilità di vita autonoma: quindi, attualmente, a circa 22 settimane di gravidanza. Che senso aveva, allora, fare una seconda funicolocentesi alla 24a settimana, se l'aborto "terapeutico" (sic!) era vietato? Ma, si risponde, è una questione di onere della prova: era l'Università a dover provare che il bambino - se fosse stato abortito alla 24a settimana - avrebbe potuto sopravvivere (chissà come questa prova poteva essere fornita): quindi la coppia di genitori ha diritto ad essere risarcita per la nascita del loro figlio e per il grave sacrificio personale, non avendo potuto compiere l'unico sacrificio possibile, quello del bambino.


Comprendiamo così come una legge ingiusta, oltre a permettere l'uccisione di milioni di innocenti, educa i cittadini.



Giacomo Rocchi

domenica 27 novembre 2011

Educazione vs legislazione: riflettiamo ancora

Un prolife intransigente è inevitabilmente un rompiscatole. Quando i sottosegretari dicono che gli aborti sono diminuiti, salta su a ricordare i sei milioni di bambini uccisi con l'aborto legale e con quello clandestino e gli embrioni eliminati con le "pillole che uccidono"; quando un quotidiano cattolico magnifica i successi di una tecnica particolare di fecondazione in vitro, ricorda il numero di embrioni morti o congelati che conseguono anche a questa tecnica; quando gli ambienti cattolici ufficiali spingono per l'approvazione di una legge che proclama l'inviolabilità della vita, sostiene pubblicamente che si va verso l'eutanasia legale e che si rischia di ripetere il caso Englaro ...
Un prolife intransigente, in Italia, non ha amici: forse perché molti di quelli che, come lui, vogliono difendere la vita, fanno finta di non conoscerlo e sembrano ignorare le sue prese di posizione (che pure cerca di argomentare); ma quando alza un po' la voce e fa polemica, gli dicono che non è il modo di fare, che avresti potuto parlare direttamente con lui, e che - diamine! - ne viene fuori un quadro non bello, che figura ci facciamo ...
Un prolife intransigente, in Italia, non conta nulla: non ha niente da perdere, finanziamenti da ottenere, cariche da conquistare o da mantenere; è fuori dai "giochi importanti", non partecipa ai gruppi che contano, non conosce le dinamiche dei gruppi ufficiali: insomma, non conosce il contesto.
Un prolife intransigente si occupa anche di leggi: non perché gli piaccia particolarmente, ma perché sa che una legge ingiusta ha permesso l'uccisione di milioni di bambini innocenti e un'altra consente la morte programmata di decine di migliaia (per ora) di embrioni; sa che queste leggi nascondono la loro essenza dietro proclami ipocriti; sa che queste leggi fanno "cultura"; teme che altre leggi permetteranno l'uccisione di altre persone ... Ma questo occuparsi di leggi lo rende ancora più scostante, spigoloso, talvolta petulante ("viene a parlarci di quel certo comma ... non gli basta che al primo articolo abbiamo piazzato: "La vita è indisponibile?").
Insomma: un caso pietoso! Sempre a ripetere: "valori non negoziabili!", "leggi ingiuste!", "bambini uccisi!"; sempre a puntualizzare, precisare, dissentire ...

Fatto questo quadro, torniamo a parlare dei due articoli di Carlo Bellieni sulla Bussola Quotidiana e, perché no?, dei nostri due commenti, che hanno suscitato qualche reazione negativa. Che Bellieni non sia stato un esempio di chiarezza, sembra confermarlo l'articolo di Francesco Agnoli ("Le leggi e la cultura") che vi abbiamo segnalato: Agnoli sostiene che per capire il contenuto "occorre fare uno sforzo: contestualizzare"; poi interpreta un "non detto" di Bellieni: "Non ha neppure scritto, ma certi sottintesi si possono intuire, che la legge in questione oggi, quella sul testamento biologico, non è poi così opportuna". Insomma, per capire fino in fondo cosa voleva dire Bellieni, ci volevano sforzo e intuizione ...
Affronteremo subito il contenuto dei due articoli: prima, però, una domanda: perché l'articolo di Bellieni è coraggioso? Agnoli premette: "Carlo Bellieni è uno dei 5 membri del Direttivo di Scienza e Vita". Quindi - se ho capito bene - l'articolo sarebbe coraggioso perché l'autore avrebbe fatto intendere il suo fastidio rispetto all'invito a Bersani/Casini/Alfano, avrebbe sottolineato che "certamente c'è dell'altro"; ma lo avrebbe fatto concludendo il suo articolo con l'affermazione che "dal convegno di Scienza e Vita coi politici usciamo rafforzati" e ricordando che "oggi nella Chiesa c'è chi dialoga sapientemente di leggi con gli Alfano, Bersani, Casini", contrapponendo piuttosto il contenuto della seconda giornata del Convegno di Scienza e Vita (quella in cui "le associazioni locali di S&V hanno mostrato cosa sia il lavoro quotidiano, la bellezza e l'eroismo di chi cura e la bellezza e l'eroismo di chi viene curato") alla prima (quella in cui erano intervenuti i politici).
Mah ... tempo fa abbiamo sentito rumore di porte sbattute in Scienza e Vita. (Comunque: se esprimere il dissenso rispetto a S&V e ai vertici della CEI su scelte "laiche" significa essere coraggiosi, qualcuno potrebbe considerarci degli eroi ...).

Ma appunto: passiamo al contenuto dei due articoli e dei nostri commenti. Un dato è chiaro: né Bellieni, né i nostri commenti hanno mai affermato che servono solo le leggi o, al contrario, solo la battaglia culturale. Nel primo commento scrivevamo: "In definitiva: serve davvero una nuova evangelizzazione; serve alzare la voce - come fa egregiamento Bellieni - per mostrare le conseguenze negative delle presunte conquiste etiche; ma serve - e tanto - anche una battaglia a viso aperto contro l'ingiustizia delle leggi (prima fra tutte l'iniqua legge sull'aborto)".
In nessun punto del nostro commento abbiamo fatto dire a Bellieni (i cui articoli integrali sono stati richiamati con l'apposito link e dei quali ampi passi sono stati riportati letteralmente) cose che non aveva detto: abbiamo però sottolineato che nel pensiero di Bellieni (ovviamente quello espresso nell'articolo, non quello sottinteso) era evidente una scala di priorità (prima l'educazione e la fede, poi le leggi) e, insieme, una visione che tiene distinte le due questioni, tanto da poter affidare a "pochi" la questione legislativa. In altre parole: la sottovalutazione della efficacia culturale (positiva o negativa) delle leggi, giuste o ingiuste; e insieme la negazione della valenza culturale delle battaglie per le leggi giuste o contro le leggi ingiuste. Nell'articolo del 12/10/2011 ("Bioetica e morale, cristiani normlizzati") vi era una frase davvero significativa: "sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all'ufficialità delle leggi". Certo: una frase che ribadiva che "per rendere etica una società si passa anche dalle leggi" (come Bellieni scrive nel secondo articolo), ma che raffigurava la legge come qualcosa di "ufficiale", per la quale il lavoro di "perfezionare" sembra vano ("forse i buoi sono già scappati") e di cui comunque Bellieni non è particolarmente interessato (come indica il fatto che di leggi - ed in particolare del progetto di legge sulle DAT - non ne parla, tanto che il suo pensiero sul punto si deve intuire: "invece").
Il prolife intransigente ha fretta, sente l'urgenza: sarà forse vero, come ritiene Francesco Agnoli, che "in una società profondamente corrotta le leggi buone non sono applicabili, mentre in una società sana certe leggi disumane non nascono" e che "non potremmo mai sconfiggere, così, con una bacchetta magica, l'aborto legale" senza rieducare ai valori del "pudore, fedeltà, senso dell'onore, della responsabilità, della famiglia, del peccato"; ma è difficile rinunciare ad una battaglia di popolo per salvare - anche con la legge civile - la vita di quei bambini che ogni giorno vengono soppressi o di quegli embrioni che vengono prodotti; o per impedire che quei neonati o quegli anziani vengano fatti morire nel futuro.
Una battaglia di popolo, sì (e qui siamo proprio d'accordo con Bellieni nel valutare l'invito ai VIP della politica): come fu quella del referendum contro la legge 194 e prima ancora quella per l'approvazione della proposta di legge di iniziativa popolare del Movimento per la Vita che raccolse milioni di firme. Il fatto è che far comprendere al popolo l'ingiustizia e l'ipocrisia di certe leggi, svelare quello che esse davvero permettono, coinvolgerlo nella battaglia democratica su di esse, non è affatto tormentarlo con questioni formali: è una battaglia che fa cultura e mostra la malvagità di certi atti e la necessità di impedirli.
Bellieni vuole dare il suo contributo anche a questa battaglia?

Giacomo Rocchi

venerdì 25 novembre 2011

Educazione vs. legislazione /2



Francesco Agnoli interviene sull'articolo di Carlo Bellieni che abbiamo commentato con il post precedente. Cliccate sul titolo e sarete indirizzati all'articolo.



Riprenderemo il tema nei prossimi giorni.



Giacomo Rocchi

martedì 22 novembre 2011

Bellieni: Educazione vs legislazione?




Sulla Bussola Quotidiana Carlo Bellieni ritorna sul tema dell'educazione e della necessità di fare buone leggi (cliccando sul titolo si accede all'articolo). Già in un precedente articolo, che avevamo commentato sul post "I contenuti della battaglia prolife", scriveva: "I cristiani sono stati assimilati, magari consolati da qualche legge che fa ancora da argine alle derive in campo bioetico; ma mentre perfezioniamo le leggi, forse i buoi sono già scappati, e sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all’ufficialità delle leggi".
Nell'articolo di oggi, a commento del Convegno di Scienza e Vita che ha visto la presenza di politici nazionali, la riflessione si approfondisce e i toni diventano più forti. Viene chiamato esplicitamente in causa il fronte prolife:



"Alfano, Bersani e Casini e Scienza e Vita: un colloquio in cui è chiaro che la società vuole etica e che loro lo capiscono; che per rendere etica una società si passa anche dalle leggi (...) Ora è il caso di domandarci se questo basta. Cioè se quello che davvero occorre alla gente è solo il dialogo con i vertici della politica. E se davvero basta fare “buone leggi” per fare crescere un popolo. Probabilmente c’è dell’altro. Certamente c’è dell’altro. Perché fare buone leggi non serve a niente se la gente è convinta che siano leggi cattive e i maitre à penser finiscono per mostrarle come una soverchieria. (...) Insomma: non basta fare gli autovelox per ridurre i morti sulle autostrade: bisogna educare. I primi cristiani non si misero a chiedere all’Imperatore che facesse
una legge per vietare i giochi omicidi nei circhi, o l’infanticidio: semplicemente costruirono una cultura che non li prevedeva, che mostrava che erano bestialità. San Benedetto costruì l’Europa non domandando ai barbari di smettere di fare stragi, ma costruendo i monasteri, rendendo l’Europa disseminata di luoghi di salvezza. (...) San Benedetto e San Paolo non rifuggivano dai politici di allora; e anche oggi nella Chiesa c’è chi direttamente dialoga sapientemente di leggi con gli Alfano, Bersani, Casini. Ma
c’è anche chi, inoltre, costruisce cultura, chi mostra al popolo la bellezza della vita, chi crea case famiglia, luoghi d’accoglienza, banchi alimentari, e vuole rendere questo cultura; questa è ora la strada da aprire".
Sono riflessioni importanti che devono essere prese in considerazione. A queste Bellieni aggiunge altre che riguardano la sproporzione delle forze in campo:
"Già, i maitre à penser sono quelli che contano sui giornali, in TV, quelli che
danno il “la” all’opinione pubblica, quelli che fanno la cultura di un popolo. E
con la loro artiglieria, il fronte pro-life cosa oppone? Siamo di fronte ad
un’asimmetria, ad un braccio di ferro fatto tra un omone di due metri e un bambino (anche se il bambino apparentemente non è sprovveduto e disarmato, il che visti gli esiti è anche peggio). Da una parte l’artiglieria pesante dei massmedia, dei Vip (dalle soubrette ai presentatori Tv: ricordate le cento facce di Vip che campeggiavano sulla copertina di un settimanale alle soglie del referendum sulla legge 40 invitando a votare SI?); dall’altra… qualcosa che evidentemente non incide sulla cultura, sul modo di decidere della gente"



Una domanda a Bellieni: quando si impegna a rianimare e curare un neonato prematuro, ha in mente la cultura che circonda questa "categoria" di pazienti oppure vuole soltanto salvare la vita del suo piccolo paziente? La battaglia prolife non si giustifica soltanto con lo scopo di "fare cultura", di cambiare la mentalità della gente: essa è doverosa innanzitutto per lo scopo di salvare la vita di quei bambini che stanno per essere uccisi, di quegli embrioni che stanno per essere prodotti e congelati, di quei disabili che potrebbero essere lasciati morire di fame e di sete o non curati. Abbiamo in mente ciascuno dei sei milioni di bambini abortiti, così come abbiamo cercato di salvare la vita di una disabile, Eluana Englaro!

E allora veniamo alle leggi e alla battaglia sulle leggi: Bellieni dice che fare buone leggi può risultare inutile: è inutile anche abrogare le leggi ingiuste, che permettono i massacri degli innocenti? Se l'obbiettivo è quello di ridurre il numero degli innocenti uccisi o lasciati morire (è questo l'obbiettivo dei movimenti prolife, come per un medico è quello di salvare la vita dei suoi pazienti), vietare l'aborto volontario ed abrogare l'iniqua legge che lo permette a semplice richiesta è davvero inutile? E vietare la fecondazione extracorporea ed abrogare l'ingista legge che la consente, ridurrebbe il numero degli embrioni morti o congelati o sottoposti a diagnosi preimpianto?

Bellieni, poi, mostra di non credere che davvero la legge possa "fare cultura", cioè contribuire in maniera rilevante (anche se non esclusiva) a permeare la mentalità del popolo; temo che sottovaluti la questione. Non sto sostenendo che l'educazione (soprattutto quella cristiana) non serva: ma che l'esistenza di leggi ingiuste nell'ordinamento civile ostacola e a volte impedisce una corretta educazione.
Quale è l'esito della posizione di Bellieni rispetto al tema delle leggi giuste e ingiuste? Posso esprimere una sensazione? La questione viene delegata ad altri; altri si occuperanno dei rapporti con i politici; e - poiché la delega è totale e gli "altri" sono stati scelti all'interno della Chiesa - le loro azioni sono per definizione giuste ("nella Chiesa c'è chi dialoga sapientemente di leggi"). L'atto di fede di Bellieni in questi politici cattolici sembra assoluto, tanto che ancora la legge 40 (quella che afferma: "è consentita la procreazione medicalmente assistita" e che poteva invece statuire: "è vietata la fecondazione extracorporea"...) è presa come punto di riferimento. E' sicuro Bellieni che quel dialogo sulle leggi sia sapiente? Davvero sulle leggi che possono permettere o vietare l'uccisione di embrioni, bambini e pazienti, egli vuole lavarsene le mani?
Giacomo Rocchi

P.S.: L'infanticidio fu vietato per legge per la prima volta dall'imperatore Costantino; il divieto per legge fu rafforzato dall'imperatore Giustiniano. Costantino vietò per legge anche i giochi gladiatori (il divieto fu reso definitivo da Onorio)

venerdì 18 novembre 2011

Perché l'obiezione di coscienza è un problema?



Non è certo una novità: l'obiezione di coscienza dei sanitari (medici, infermieri, farmacisti) è scomoda.


Come mai tanti professionisti - proprio quelli che conoscono il meccanismo della generazione umana, le tecniche abortive, l'efficacia dei farmaci - si rifiutano di prestarsi agli interventi previsti dalla legge 194 o di vendere pillole che provocano (o possono provocare) la morte dell'embrione? Il fatto è che l'aborto uccide un essere umano e le pillole di uno o cinque giorni dopo sono "pillole che uccidono".


Questo Chiara Lalli, intervistata da Repubblica in relazione al suo saggio da poco pubblicato (cliccando sul titolo si accede all'articolo), non ve lo dice: nell'intervista nessun accenno viene fatto sulle vittime delle pratiche per le quali i professionisti sanitari oppongono l'obiezione di coscienza.

Anzi sì. Leggiamo il passo finale: "Dunque un'espressione usata a sproposito, quella di obiezione di coscienza, che finisce spesso per creare una contrapposizione diretta tra i diritti di singole persone: medici e pazienti. Anche se non è sempre così: l'obiezione è prevista anche per la sperimentazione suglia animali, "dove però non si crea un conflitto diretto tra diritti individuali, come in ambito sanitario". Abbiamo capito bene: la differenza tra la sperimentazione animale e l'aborto volontario è che nel primo caso vi sono conflitti diretti tra diritti individuali: non che nell'aborto si uccide un uomo e nella sperimentazione animale una bestia ...


E la Lalli dice di voler difendere le persone più deboli: "La situazione attuale di solito penalizza le persone più deboli: chi non conosce i propri diritti, oppure chi si trova nell'ansia di dover fare presto, come nel caso della contraccezione d'emergenza, o chi non ha i mezzi per andare all'estero per aggirare i problemi di casa nostra". E la difesa del più debole - il bambino - che oltre a non conoscere i propri diritti, non si può difendere?


Sia chiaro: chi segue la Lalli sul suo blog non si stupisce di queste prese di posizione: per Lei i bambini prima di nascere (e tanto meno gli embrioni!) non hanno autocoscienza e quindi, non sono persone ... non sono nulla.

Ma come non preoccuparsi di questa campagna sempre più forte contro un diritto inviolabile dell'uomo come l'obiezione di coscienza?


Gli strumenti sono i soliti: ad esempio la ridicolizzazione: davvero dobbiamo credere alla Lalli quando scrive: "Sono andata in giro per ospedali, ho parlato con molti medici obbiettori per capirne la motivazione ... e spesso mi sono trovata di fronte ad argomentazioni fantasiose ...": davvero non ha trovato nessun medico che le ha risposto: "sono obbiettore perché non voglio e non posso uccidere"? Ma la Lalli equipara quelle posizioni a quelle di un poliziotto che avrebbe voluto astenersi dal garantire il servizio pubblico ai concerti di Simone Cristicchi ...


Lo Stato che permette l'uccisione di esseri innocenti tende inevitabilmente a diventare uno Stato totalitario, che non nega solo la vita, ma anche gli altri diritti inviolabili dell'uomo, in particolare la libertà e la libertà religiosa.

Questi sono i diritti che devono essere garantiti: non certo "un servizio previsto dalla legge".


Giacomo Rocchi

giovedì 10 novembre 2011

"180" Movie - Da pro-choice a pro-life in qualche manciata di secondi


Questo meraviglioso mini 'film' di 33 minuti fa riflettere, emoziona, e insegna che le nuove generazioni sono spesso solo 'senza verità'.

Per attivare i sottotitoli è sufficiente premere il tasto CC come da figura e scegliere 'italiano'.

Buona visione.

martedì 8 novembre 2011

Equilibrismi sulla pelle dei bambini






Antonio Polito, sul Corriere della Sera del 6/11 (cliccando sul titolo si accede all'articolo) affronta il tema delle "bambine mancanti" - le "bambine mai nate" del titolo e del libro di Anna Meldolesi, Mai nate, Mondadori. Il tema è noto: l'aborto selettivo utilizzato per non far nascere le bambine in una programmazione del numero dei figli che non superi i tre per famiglia. Sappiamo bene che la politica coattiva del figlio unico attuata da certi Paesi (prima fra tutti la Cina) produce - fra l'altro - l'infanticidio di neonate femmine o l'aborto di feti femmine in misura maggiore dei maschi; ma - sembra emerga dal libro della Meldolesi - la tendenza è generale in determinate popolazioni orientali (e, qualcuno potrebbe osservare, ovviamente non cristiane).
Ebbene: le statistiche dimostrerebbero che gli immigrati indiani e cinesi hanno portato importato in Italia questa pratica. In particolare, tra gli immigrati cinesi regolari, il rapporto tra neonati maschi e neonati femmine è di 109 a 100 se si tratta del secondo figlio e di 119 a 100 se si tratta del terzo figlio; rapporto che, per gli immigrati indiani, è di 116 a 100 per il secondo figlio e di 137 a 100 per il terzo figlio. Poiché si tratta di numeri nettamente difformi dal rapporto "naturale" tra maschi e femmine (105 maschi nati per ogni 100 femmine), si intravede in essi l'eliminazione delle bambine non desiderate.
Partiamo dalla conclusione del giornalista: "Le divisioni sul tema dell'aborto tra credenti e non credenti qui non c'entrano nulla. Si tratta piuttosto di impedire che nelle nostre città si manifesti la forma più orribile di relativismo culturale: quella che ci fa chiudere un occhio quando una bambina non nasce".
Questo - diciamolo esplicitamente - altro non è che moralismo: abbiamo deciso - il popolo italiano ha deciso! - di chiudere tutti e due gli occhi sulle centinaia di migliaia di bambini - maschi e femmine - massacrati con l'aborto, permesso a prescindere da qualunque motivazione; non c'è, quindi, nessun occhio da chiudere ancora! Piuttosto sarebbe il momento di riaprirli tutti e due e prendere coscienza di quanto avviene da più di 30 anni in Italia!
Si noti che Polito usa due termini "forti": "orribile", ma non si riferisce all'uccisione volontaria del bambino ... ; e "relativismo culturale": e su quest'ultimo termine si potrebbe ridere (o piangere) e parlare a lungo. Ci dica Polito quali sono i principi morali e culturali che non possono essere considerati "relativi"; uno di questi è forse il seguente: "si possono sempre uccidere i bambini prima della nascita, tranne il caso in cui si tratti del secondo o del terzo figlio, di sesso femminile, e l'uccisione avvenga perché i genitori vogliono concepire un altro figlio maschio"?
E quale sarebbe la "battaglia legislativa da ingaggiare al più presto" invocata nell'articolo? Polito vorrebbe che la Polizia convocasse le immigrate straniere incinte del secondo e del terzo figlio, si facesse mostrare le ecografie per verificare se il figlio è femmina, le interrogasse sulle intenzioni in ordine ad un possibile aborto e, soprattutto, che lo Stato impedisse a quelle donne di abortire, magari con sanzioni penali?
Il fatto è che la legge 194 permette questa pratica, come afferma, a denti stretti, l'articolo: "Dove sono dunque finite le bambine mancanti, le «missing girls»? Fino a qualche tempo fa venivano soppresse con l' infanticidio, cioè dopo la nascita, o uccise dalla negligenza deliberata dei genitori. Ma da quando c'è un accesso sempre più facile alla diagnosi prenatale del sesso, attraverso amniocentesi ed ecografia, e all'interruzione assistita della gravidanza, il nuovo sistema di selezione di massa è l'aborto (...) Se si ricorre alla villocentesi, che può essere fatta anche alla decima settimana, non è infatti escluso che le bambine siano abortite nelle pieghe della 194 e nelle strutture pubbliche. Se invece è l' ecografia a rivelare il sesso, c' è da sospettare aborti tardivi e clandestini".





Ecco a voi la legge 194 (quella che dovrebbe essere applicata integralmente ...)! Ecco la legge che proclama che "l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite"! Ecco la legge che avrebbe cancellato il fenomeno dell'aborto clandestino! Alla ricerca del "bambino imperfetto" da eliminare si affianca (per chi lo vuole) la ricerca della figlia femmina da non far nascere; la legge permette tutto (gratuitamente); se è troppo tardi, l'aborto clandestino è sempre possibile ...





Giacomo Rocchi

lunedì 7 novembre 2011

Il decoro e la dignità degli infermieri



Bisognerà pure parlare di Giorgio Celsi, l'infermiere fondatore dell'Associazione "Ora et Labora in difesa della Vita" che manifesta davanti agli ospedali contro la legge sull'aborto e per convincere le donne a non uccidere i loro figli. Si deve parlarne, se è vero che, come il cardinal Bagnasco ha sottolineato a Todi, "il bene è possibile solo nella verità e nella verità intera", per cui occorre respingere gli inviti, più o meno espliciti, a non parlare di certi valori perché "divisivi", "inopportuni e scorretti", a lasciarli "in un cono d'ombra e di silenzio".
In due post dell'ottobre e del novembre 2010 ("Citazioni e strategie" e "Volontari buoni e volontari cattivi") abbiamo visto come Valter Boero, del Movimento per la Vita di Torino, riteneva evidentemente "divisive" le condotte del Celsi, mostrando a "La Repubblica" tutta la sua "correttezza" e anche un po' di disprezzo ("Né tantomeno andiamo a pregare al mattino presto davanti al Sant'Anna come fanno alcuni di loro").

Il fatto è che, con quella preghiera e con quella manifestazione, quel gruppo (e gli altri gruppi che adottano iniziative analoghe) ribadiscono una "verità tutta intera": con l'aborto si uccide un bambino innocente in modo crudele; in Italia c'è una legge che permette di uccidere i bambini che stanno crescendo nel grembo delle loro mamme.

La verità rende liberi, ma fa male a coloro che non vogliono ascoltarla: e così - si direbbe: puntuale - è giunta - dopo la diffamazione a mezzo stampa - la minaccia: "se non smetti, ti licenziamo e non potrai più fare l'infermiere!" Sì, perché Celsi, alle riunioni davanti agli ospedali ci va con il suo camice di infermiere: e questo, evidentemente, deve fare ancora più rabbia a chi non vuole che la "verità tutta intera" sia proclamata; perché - lo sanno bene i pubblicitari ... - un camice significa maggiore autorevolezza di chi testimonia un fatto di natura medica: un infermiere conosce ancora meglio cosa significa uccidere un bambino con l'aborto!


"Non si fa, non è decoroso, non è dignitoso, dove va a finire l'immagine della nostra professione infermieristica?" Già: dove va a finire - non l'immagine - ma la sostanza della professione dell'infermiere?

Certo non aiuterà a trovarla colui che ha firmato la lettera formale di contestazioni, che in un editoriale apparso su un giornale di categoria, così inizia: "DDL Calabrò: l'unica speranza è quella di prendere un treno per Lugano" (sottintendendo: con quel progetto di legge, per farsi ammazzare le persone dovranno andare in Svizzera ...). Si tratta - lo dice subito dopo - di una "provocazione", ma con un incipit di questo tipo si legge con timore che il presidente Giovanni Muttillo invita a riflettere sul "ripensare al significato profondo di assistere", sul "prolungare le funzioni biologiche per tempi indefiniti", sul "valutare il ricatto della tecnica invadente" e - soprattutto - sul "gestire risorse finite a fronte di bisogni in espansione" (in parole povere: i soldi sono pochi, chi lasciamo morire?).

Il dott. Giovanni Muttillo, Presidente del Collegio Interprovinciale Milano - Lodi - Monza - Brianza, vuole rifondare la professione infermieristica? E sulla base di quali criteri?

Cercheremo di approfondirlo in seguito.


Giacomo Rocchi

sabato 5 novembre 2011

I contenuti della battaglia prolife



Carlo Valerio Bellieni, sulla Bussola Quotidiana, il 12 ottobre si chiedeva: "Dove sono finiti i cristiani?" (cliccando sul titolo si accede all'articolo). L'Autore descrive la reazione dei cristiani di fronte alle nuove sfide della bioetica: un disastro, una completa omologazione e si chiede: "Perché questa rassegnazione, mentre invece il mondo scientifico alza la voce per mostrare le conseguenze negative di tante presunte “conquiste etiche”?" Stranamente ad essere attaccati, però, sono soprattutto coloro che sembrano "baloccarsi" di leggi: "I cristiani sono stati assimilati, magari consolati da qualche legge che fa ancora da argine alle derive in campo bioetico; ma mentre perfezioniamo le leggi, forse i buoi sono già scappati, e sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all’ufficialità delle leggi".

Ho scritto al Direttore della Bussola Quotidiana questa lettera:
Gentile Direttore,
leggo l'articolo di Carlo Bellieni in data odierna, "Bioetica e morale, cristiani normalizzati". Ho sempre apprezzato Bellieni nei suoi scritti; e, aggiungo, concordo con lui sulla "normalizzazione" dei cristiani (o meglio: di molti cristiani) nel campo bioetico. Ma quanto contano le "leggi ingiuste" in questa normalizzazione? Bellieni dà un preciso criterio di priorità: "sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all'ufficialità delle leggi"; quasi che l'incidenza della legislazione civile sulla cultura e sull'educazione del nostro popolo (e soprattutto del popolo cristiano) sia irrilevante. Non è così.

Prendiamo come esempio proprio la legge 40 sulla fecondazione in vitro: Bellieni la ritiene una delle "leggi che fa da argine alle derive in campo bioetico"? Una legge che ha "sdoganato" presso il popolo quelle pratiche di fecondazione in vitro, rendendole un diritto soggettivo per quasi tutti gli adulti che intendono avere un figlio per vie non naturali; una legge che non pone un limite ai tentativi, una legge che, già nella previsione iniziale (poi ulteriormente allargata dalla Corte Costituzionale) prevedeva la produzione di tre embrioni, dando per scontato che almeno due dei tre fossero destinati a morire; una legge che prevedeva espressamente casi di congelamento degli embrioni; una legge che non vietava espressamente la diagnosi genetica preimpianto ... potremmo continuare. Come stupirsi, allora, se, nel giro di pochi anni, il ricorso alle tecniche di fecondazione in vitro è massicciamente aumentato e che l'età degli aspiranti genitori sia andata a salire? E' stata proprio quella legge - che ipocritamente dichiarava di attribuire diritti agli embrioni, ma che ne permetteva la produzione, la morte programmata, il congelamento, il sezionamento, il tutto a spese dello Stato - a contribuire a rompere ogni argine culturale e morale nei confronti di queste tecniche antiumane.

Quindi - se Bellieni vuole riferirsi anche all'attualità - la battaglia che piccoli gruppi, soprattutto cattolici o di cattolici, fanno contro il progetto di legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento - battaglia che non emerge soprattutto perché gli organi di stampa cattolici non lo permettono - non è affatto un tentativo di "perfezionare le leggi, quando i buoi sono già scappati": essa è mossa, piuttosto, dalla convinzione (fondata sull'esperienza) che anche questa legge aprirà un'altra breccia nel cuore del nostro popolo (e anche di quello cristiano) e contribuirà ad una accettazione sempre più ampia delle pratiche eutanasiche.

In definitiva: serve davvero una nuova evangelizzazione; serve alzare la voce - come fa egregiamente Bellieni - per mostrare le conseguenze negative delle presunte "conquiste etiche"; ma serve - e tanto - anche una battaglia a viso aperto contro l'ingiustizia delle leggi (prima fra tutte l'iniqua legge sull'aborto); è una battaglia che ha una grande valenza morale e culturale, perché riafferma la verità tutta intera, senza tacere e senza cedere a compromessi.

Giacomo Rocchi

giovedì 3 novembre 2011

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\6

Nei precedenti post abbiamo richiamato tre discorsi pubblici del Cardinal Bagnasco: abbiamo preso avvio dalla Prolusione al Consiglio Permanente della CEI, nel quale si auspicava la rapida approvazione del progetto di legge sulle DAT, un "provvedimento necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita"; abbiamo richiamato la Prolusione del 2008, in cui si dava il "via libera" all'adozione del provvedimento, indicando i contenuti che esso avrebbe dovuto avere o non avere; e, infine, abbiamo commentato il discorso al Convegno di Todi, in cui si ribadiva l'impossibilità di compromessi o di "volenterose mediazioni" in tema di "valori non negoziabili", "perché questi valori non sono né quantificabili né parcellizzabili, pena trovarsi di fatto negati".

Molti sono gli elementi che indicano che i cattolici impegnati in politica che si stanno adoperando per l'approvazione del progetto di legge sulle DAT altro non stanno tentando che una "volenterosa mediazione" sul valore non negoziabile della difesa di ogni vita umana, qualunque sia la condizione in cui la persona si trova; così creando il rischio che quel valore sia "di fatto negato". Qualche esempio? Il divieto di accanimento terapeutico - che permette la sospensione delle terapie a determinati pazienti! - esteso ai soggetti in stato di "fine vita" (e non limitato ai soli pazienti terminali), categoria che per la sua vaghezza è assai pericolosa; cosa pensare dell'eliminazione del comma che stabiliva che detto divieto "non può legittimare attività che, direttamente o indirettamente, configurino pratiche di carattere eutanasico o di abbandono terapeutico"? Eliminazione richiesta dal sen. Marino, che sosteneva che la nozione di accanimento terapeutico "dipende dalla visione personale della vita e della malattia dell'individuo". Come non ritenere che questa previsione - che disegna un divieto di legge per i medici! - non faciliterà una "razionalizzazione della distribuzione delle risorse sanitarie" (sic!) da parte degli amministratori degli ospedali, alle prese con i problemi di budget? E quali saranno le categorie di pazienti su cui si risparmierà?

Il principio del consenso informato inteso come necessità di un preventivo consenso ad ogni terapia: è uno scambio, con i medici messi al riparo dalla responsabilità professionale, ma insieme privati di ogni autonomia.

L'attribuzione ai tutori e ai genitori dei minori del potere di decidere sulle terapie, anche salvavita, per interdetti e figli: da dove nasce questa previsione, che altro non è che la ratifica del caso Englaro (in cui il tutore decise per l'interdetta)? Come è possibile che si ignori che, per i neonati prematuri, in tutto il mondo è forte la spinta per attribuire ai genitori la decisione se curare o lasciare morire i figli che rischiano di essere disabili?

La ventilazione artificiale "dimenticata": non è forse anch'essa "sostegno vitale", per il quale dovrebbe essere vietata in ogni caso la sospensione, così come per l'idratazione e la ventilazione?

L'adozione delle Dichiarazioni anticipate di Trattamento: con il mondo cattolico che, da sempre, era stato decisamente contrario al testamento biologico, in qualunque maniera denominato, e che all'improvviso mostra una ferrea certezza sulla diversità ontologica tra Testamento biologico e DAT (ignorando che, nel testo approvato, è possibile rinunciare a tutte le terapie, previsione che - è facile prevedere - sarà interpretata come vincolante).


Abbiamo più volte segnalato queste e altre perplessità su questo testo che - non è certo un caso - è stato più volte cambiato e rimaneggiato. Davvero chi ne sollecita l'approvazione può garantire che non si tratti di "un altro passo nella direzione sbagliata", il secondo gradino (dopo il primo: l'uccisione di Eluana Englaro) verso l'eutanasia legale nel nostro Paese?


Se il discorso del Cardinale Bagnasco a Todi voleva essere un punto fermo da cui ripartire, l'indicazione di un criterio fermo e certo in base al quale giudicare la bontà di certe iniziative politico-legislative, come non sperare che esso segni un'inversione di rotta rispetto al disegno di legge sulle DAT?
Forse una "mediazione volenterosa"; certo non un provvedimento che "garantisce la vita di tutti", soprattutto dei nostri fratelli più deboli e senza voce!

Giacomo Rocchi

martedì 1 novembre 2011

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\5

Abbiamo commentato nel precedente post il discorso del Cardinal Bagnasco al Convegno di Todi, sottolineando il riferimento finale alle "mediazioni volenterose" operate o tentate sui valori non negoziabili che "di fatto" conducono alla loro negazione.
Quella del Presidente della CEI era soltanto un'argomentazione di carattere culturale o poteva applicarsi anche all'azione politica e legislativa? Benché si sia trattato di discorso di altissimo profilo culturale e religioso, il Cardinale non si è certo tirato indietro rispetto alla concretezza della politica e delle sue scelte, più volte facendo riferimento alle leggi. In primo luogo nel ribadire che "esiste un terreno solido e duraturo, che è quello dei principi o valori essenziali e nativi, quindi irrinunciabili non perché non si debbano argomentare ma perché, nel farlo e nel legiferare, non possono essere intaccati in quanto inviolabili, inalienabili e indivisibili"; poi nello stigmatizzare che "nella sfera culturale si rivendica la più assoluta autonomia delle scelte morali, e nella sfera legislativa si formulano leggi che prescindono dall’etica naturale, come se tutte le concezioni della vita fossero equivalenti"; infine nel sottolineare, in un passaggio davvero mirabile, l'incidenza dei "codici" sul costume di un popolo: "E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento? E non modella la forma di pensare e di agire – il costume – di un popolo, il suo modo di rapportarsi nel proprio interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale? Questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti propri dei singoli, ma anche della società e dello Stato, manifesta il livello di umanità o, per contro, di cinismo paludato, di un popolo e di una nazione".

Non era, quindi, abusiva la conclusione del nostro commento, quando indicavamo due testi legislativi come esempi di "mediazioni volenterose": la legge 40 sulla fecondazione artificiale e il progetto di legge sulle DAT.

Sulla legge 40, davvero - almeno nell'ambito cattolico - non dovrebbe essere necessario spendere molte parole, vista la premura di tanti commentatori nel ribadire che si tratta di una "legge imperfetta", di una "legge non cattolica", perché la fecondazione artificiale "per i cattolici" è illecita, e così via. L'obbiettivo proclamato all'epoca - eliminare il "far west" della provetta - conteneva nella stessa formulazione il compromesso (la "mediazione volenterosa") - perché presupponeva la previa rinuncia a vietare la fecondazione extracorporea: una tecnica che aveva mostrato tutta la sua malvagità e contrarietà alla natura umana nei suoi esercizi estremi ("utero artificiale", commistione di geni umani e animali, embrioni umani inseriti in femmine di animali), in quelli intermedi (clonazione umana, soppressione di embrioni per ricerche scientifiche, banche del seme), ma anche nella pratica abituale (congelamento di embrioni; diagnosi genetica preimpianto, selezione degli embrioni a scopo eugenetico, maternità surrogata, "mamme nonne", fecondazione eterologa, genitori omosessuali). Il percorso parlamentare, per di più, registrò (inevitabilmente?) sconfitte su questioni importanti (esplicitamente ammesse dai proponenti) ed infine i "paletti" su altre questioni furono disegnati in modo da essere facilmente travolti od aggirati.

Benché il mondo cattolico sia stato mobilitato per difendere questa legge (anche in questo caso con una tattica compromissoria: utilizzare l'astensione fisiologica nei referendum per impedire il raggiungimento del quorum, cosicché oggi non si può nemmeno sostenere fino in fondo che il popolo italiano ha confermato la legge 40, soprattutto dopo il successo "vero" dell'ultimo referendum), i suoi risultati - in termini di vite umane perse e di cultura del popolo - sono sotto gli occhi di tutti.

Ma anche la proposta di legge sulle DAT è chiaramente una (più o meno) "volenterosa mediazione", come vedremo nel prossimo post.

Giacomo Rocchi

domenica 30 ottobre 2011

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\4


Come non rallegrarsi di quanto insegnato dal card. Bagnasco all'incontro di Todi, in un luogo e in un'occasione in cui molti si aspettavano di sentire parole diverse?
L'allarme: "La nostra Europa, come l’intero Occidente segnato da una certa cultura radicale fortemente individualista, si trova da tempo sullo spartiacque tra l’umano e il suo contrario".
L'analisi: "Sono in gioco le sorgenti stesse dell’uomo: l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino. Proprio perché sono “sorgenti” dell’uomo, questi principi sono chiamati “non negoziabili”. Quando una società s’ incammina verso la negazione della vita, infatti, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”.
Lo smascheramento di certe linee di pensiero: "Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ogni altro valore necessario al bene della persona e della società, infatti, germoglia e prende linfa dai primi, mentre staccati dall’accoglienza in radice della vita, potremmo dire della “vita nuda”, i valori sociali inaridiscono".
La tutela delle persone deboli e senza voce come criterio per giudicare una società: "Ma, ci chiediamo, chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto?...Vittime invisibili ma reali! E chi è più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora o, forse, non l’ha più? E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento?"
Il tentativo (anche all'interno della Chiesa?) di tacere sui valori non negoziabili: "A volte si sente affermare che di questi valori non bisognerebbe parlare perché “divisivi” e quindi inopportuni e scorretti, mentre quelli riguardanti l’etica sociale avrebbero una capacità unitiva generale. L’invito, non di rado esplicito, sarebbe quello di avvolgerli in un cono d’ombra e di silenzio, relegarli sempre più sullo sfondo privato di ciascuno, come se fossero un argomento scomodo, quindi socialmente e politicamente inopportuno. L’invito è spesso di far finta di niente, di “lasciarli al loro destino”, come se turbassero la coscienza collettiva. Tuttalpiù si vorrebbe affidarli all’opera silenziosa e riservata della burocrazia tecnocratica".
La scelta opposta: non si può tacere, bisogna dire tutta la verità: "Ma è possibile perseguire il bene comune tralasciandone il fondamento stabile, orientativo e garante? Il bene è possibile solo nella verità e nella verità intera".
Le conclusioni del Presidente della CEI non sembrano dare spazio ad equivoci od interpretazioni: nessun compromesso è possibile su questi valori, nessuna mediazione! Soprattutto occorre perseguire la loro tutela effettiva, che leggi di compromesso non garantiscono affatto: "Per questa ragione non sono oggetto di negoziazione: su molte questioni, infatti, si deve procedere attraverso mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che, per il contenuto loro proprio, difficilmente sopportano mediazioni per quanto volenterose, giacché, questi valori, non sono né quantificabili né parcellizzabili, pena trovarsi di fatto negati".

Il valore della vita umana - la vita umana di ciascun uomo - non è né quantificabile, né parcellizzabile; una legge che facesse ciò inevitabilmente produrrebbe di fatto la sua negazione!



Quali sono - è lecito chiedersi - le "mediazioni volenterose" che sono state fatte o che vengono tentate su valori non negoziabili? E' arbitrario pensare all'esito disastroso della legge 40 sulla fecondazione artificiale che - anche se proclama l'embrione "soggetto di diritto", di fatto (per usare le parole del card. Bagnasco) nega il loro diritto a vivere, a non essere congelati o sezionati, ad esser concepiti nel luogo naturale del grembo materno, a nascere in una famiglia?

O - quanto ai tentativi ancora in corso - come non valutare il progetto di legge sulle DAT - a voler essere benevoli - una "volenterosa mediazione" che rischia di permettere l'uccisione di persone senza più voce?



Giacomo Rocchi

domenica 9 ottobre 2011

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"/3




Perché il cardinal Bagnasco ribadisce l'auspicio per l'approvazione rapida del progetto di legge sulle DAT? E questo progetto, cosa "salvaguarda" davvero? La risposta alla prima domanda sta nelle parole che in un'altra Prolusione, quella del 22/9/2008, lo stesso porporato pronunciò. In quell'occasione egli incoraggiò l'approvazione di una legge con un determinato contenuto: evidentemente il progetto che sta per essere approvato corrisponde a quanto allora auspicato. Vale davvero la pena di rileggere le parole pronunciate tre anni fa.

Prendendo lo spunto dalla vicenda di Eluana Englaro (che sarà fatta morire pochi mesi dopo), il card. Bagnasco sollecitava il Parlamento a "varare, si spera con il concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l’attesa – riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche – di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza. Dichiarazioni che, in tale logica, non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell’alimentazione e dell’idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie. Una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi. Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, pronta a riflettere al di fuori di logiche traumatizzanti indotte da casi singoli per volgersi al bene concreto generale, è che in questo delicato passaggio – mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico - non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l’ordinamento italiano. La vita umana è sempre, in ogni caso, un bene inviolabile e indisponibile, che poggia sulla irriducibile dignità di ogni persona, dignità che non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un’esistenza".
Avevamo davvero compreso quale regolamentazione auspicava il Presidente della CEI? Partiamo proprio dal caso Englaro: benché esso non avesse in alcun modo a che fare né con dichiarazioni anticipate della giovane (la sentenza della Cassazione aveva, in realtà, attribuito al padre/tutore il potere di esprimere la volontà della disabile, sia pure agganciando la sua decisione ad una volontà presunta della figlia interdetta) e tanto meno con un accanimento terapeutico operato su di essa (le suore misericordine forse si accanivano su di lei, dandole da mangiare e da bere e curandola amorevolmente?), esso era il punto di partenza del discorso per dare indicazioni al legislatore.

Insomma: Eluana Englaro veniva strumentalizzata per finalità politiche.

Cosa proponeva il card. Bagnasco? Dichiarazioni anticipate rese in forma scritta aventi efficacia giuridica in base alle quali coloro che le avevano fatte potessero essere lasciati morire per omesse terapie. L'indicazione è chiarissima: solo le dichiarazioni riguardanti la sospensione di alimentazione e idratazione non potevano essere consentite, tutte le altre invece dovevano essere permesse ed avere efficacia.


Notiamo il riferimento alle altre persone che si trovavano nella condizione di Eluana Englaro (il cardinale indicava in 2000 il numero delle persone che si trovavano allora in "stato vegetativo"); quale è l'esito agghiacciante che il cardinal Bagnasco temeva? Il fatto che essi non fossero stati messi "in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi": non la possibilità che essi fossero uccisi (a meno che lo fossero mediante sospensione dell'alimentazione e idratazione)! Sì, perché ciò che conta è "il rapporto fiduciario tra il malato e il medico": formula bellissima, ma che - quando si adottano dichiarazioni aventi valore legale - altro non significa che "consenso informato" e, quindi, possibilità di rifiutare terapie, anche salvavita.

Iniziamo, allora, a comprendere perché, pochi giorni orsono, il Presidente della CEI ha affermato che il progetto di legge "salvaguarda il diritto di tutti alla vita" e non "salvaguarda la vita di tutti". La differenza non sembra più così sottile ... Del resto, come non notare che, per definire l'ordinamento italiano contraddistinto dal favor vitae, il Presidente della CEI dimenticava i milioni di bambini uccisi in forza di una legge dello Stato? Il presule tralasciava quanto i vescovi italiani avevano scritto nel 1978: "quando autorizza l'aborto lo Stato contraddice radicalmente il senso stesso della sua presenza e compromette in modo gravissimo l'intero ordinamento giuridico, perché introduce in esso il principio che legittima la violenza contro l'innocente indifeso".

Cercheremo di scendere più a fondo nel prossimo post.



Giacomo Rocchi

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"/2

Torniamo a riflettere su quanto il Presidente della C.E.I. ha esternato con riferimento al progetto di legge sulle Dichiarazioni Anticipate di trattamento.
Come già riportato, il cardinale manifestava l'auspicio di una rapida approvazione del testo di legge, esprimendo la "persuasione" che "si tratta di un provvedimento oggi necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita".
Due riflessioni preliminari.

La prima: da come ne parla il card. Bagnasco siamo di fronte ad una legge "giusta", "buona"; non già ad una legge "che funziona e che deve essere integralmente applicata", di cui non viene chiesta né l'abrogazione, né una modifica; e nemmeno di una legge "imperfetta, non cattolica, un nobile compromesso ..." (per chi non l'avesse capito, stiamo parlando delle acrobazie verbali sulle leggi sull'aborto e sulla fecondazione in vitro).
No: questa legge - a sentire le parole del Presidente della CEI - non ha ombre, non presenta compromessi; è integralmente positiva, perché, appunto, "salvaguarda il diritto di tutti alla vita".
I Vescovi italiani, quindi, mettono tutto il loro "peso politico" sul piatto della bilancia: l'hanno fatto - sempre tramite le parole del card. Bagnasco - quando si è trattato di lanciare il dibattito parlamentare; lo fanno nuovamente quando il dibattito è ormai alla fine e c'è il timore che la crisi politica non permetta l'approvazione definitiva del testo, vanificando tutto l'operato di questi anni (quando il Parlamento viene sciolto, le proposte di legge non approvate definitivamente decadono).

Sappiamo bene quanto agli auspici pubblici sia corrisposta un'azione decisa, quasi schiacciante, all'interno del mondo cattolico italiano, "costretto" ad allinearsi o a tacere, senza se e senza ma: con l'autonomia dei laici scomparsa, in un sorprendente clericalismo; sorprendente perché, ad essere "santificato" in anticipo è stato un testo che è stato cambiato più volte nel corso di questi tre anni, ma che doveva essere sempre "approvato quanto prima". Sorprendente, anche, perché si tratta di testo complesso che concerne molti ambiti, fornisce molte definizioni, coinvolge molte situazioni e interroga molte professionalità, e che, quindi, è difficile da imporre "in blocco".
Quindi: una legge buona, giusta, doverosa, urgente.

La seconda riflessione, per entrare nel merito di quanto affermato dal Presidente della CEI: questa legge - attenzione! - non salvaguarda la vita di tutti; piuttosto salvaguarda (secondo l'opinione del porporato) il diritto di tutti alla vita!
Un sofisma? Quando i prolife fanno le loro battaglie, hanno in mente le persone da salvare: i bambini (ciascun bambino!) che rischiano di morire per aborto, gli embrioni che muoiono a grappoli per la fecondazione in vitro, i disabili, gli anziani, i deboli che rischiano di essere uccisi con l'eutanasia.
Certo: uno strumento decisivo è quello legislativo, per abrogare leggi ingiuste e approvare leggi giuste; ma, appunto, affermare un diritto (soprattutto il diritto alla vita) è uno strumento, non è il fine della battaglia.
In altre parole: non ci interessa che una legge proclami di "tutelare la vita dal suo inizio", se poi i bambini vengono uccisi; e nemmeno una legge che attribuisca "diritti" agli embrioni, se poi nemmeno i pochi embrioni sopravvissuti alla fecondazione in vitro possono farli valere!

Così come non ci basta certo che una legge proclami di riconoscere e garantire "la vita umana, quale diritto inviolabile e indisponibile, anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere", se poi, in nome di questa legge, certe persone verranno uccise! Anzi: una norma di questo genere fa sorgere dubbi: ma le norme del codice penale che mandano in carcere gli assassini (anche se hanno ucciso su richiesta della vittima) non presuppongono la vita quale "diritto inviolabile e indisponibile"? Perché allora doverlo ribadire?

Le leggi ingiuste spesso sono anche leggi ipocrite! Contengono "norme di principio" (che dovrebbero, piuttosto, essere dettate nelle Costituzioni), ma le rendono prive di efficacia pratica, facendo, invece, operare altre norme, di contenuto opposto.


Questa legge, card. Bagnasco, salvaguarderà la vita di tutti?

Giacomo Rocchi

domenica 2 ottobre 2011

Il cardinale Bagnasco e "il diritto di tutti alla vita"/1

Che funzione ha la Prolusione del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana al Consiglio Permanente? Che natura ha? La domanda può essere posta sia con riferimento alla sua funzione all'interno della Chiesa (italiana e universale) sia con riferimento alla sua funzione sociale e politica all'interno della società italiana.
Sulla natura vaga ed equivoca di questo "discorso" (fatto ai confratelli vescovi, ma reso pubblico e disponibile ai mass media) ha scritto in modo incisivo e impietoso Riccardo Cascioli sulla Bussola Quotidiana del 27/9/2011: "sono decenni che le prolusioni all’Assemblea generale e al Consiglio permanente dei vescovi, a prescindere da chi la pronunci, seguono questo cliché: una carrellata su tutti i problemi dell’Italia e del mondo, che le fa molto più simili al discorso sullo stato dell’Unione che i presidenti americani pronunciano ogni anno in gennaio che non a un richiamo alle cose che contano davanti ai problemi del mondo". L'articolo di Cascioli (che va letto tutto) era precedente alla conferenza stampa del Segretario della CEI, mons. Crociata, che ha confermato quello stile del "dire e non dire", accennare senza scendere a fondo (in altre parole: lanciare il sasso e ritirare la mano ...) con il quale, evidentemente, il Presidente della CEI ha deciso di intervenire nelle vicende politiche: "non siamo noi a far cadere i governi, non intendeva affatto dire a Berlusconi di ritirarsi, non siamo noi vescovi a fondare i partiti politici ...".

Questo è un blog prolife: e non possiamo non notare che una cosa il card. Bagnasco ha detto in maniera chiara, senza possibilità di equivoci e fraintendimenti (e senza mezze smentite di due giorni dopo); un'indicazione netta di natura politico - parlamentare. L'indicazione è giunta al termine della prolusione:"Infine, esprimiamo l’auspicio che la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento possa giungere quanto prima in porto: dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, essa attende il secondo passaggio al Senato. La sollecitiamo con rispetto, nella persuasione che si tratta di un provvedimento oggi necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita." .
Ad essere malevoli si potrebbe pensare che questa indicazione netta sia collegata al severo giudizio morale su certi politici: "Noi non vogliamo buttare giù nessuno dalla poltrona ... intanto, però, approvate questa legge". Un'operazione, cioè, politica, dello stesso stampo di quella che i radicali hanno preso negli stessi giorni ("Noi non votiamo la sfiducia al ministro indagato per mafia ... Ma intanto, Berlusconi, guardaci, potremmo essere utili!").
Ma noi non pensiamo male. Ci interessa il contenuto di quanto detto dal card. Bagnasco. Lo esamineremo nel prossimo post: ma intanto - da convinti prolife - come non osservare che, rispetto all'urgenza manifestata dal Presidente della CEI ("possa giungere quanto prima in porto") per una legge che dovrebbe evitare il ripetersi del caso Englaro (mai ripetutosi dal 2009 ad oggi), nemmeno un accenno viene fatto sulla urgenza di interrompere l'uccisione legale di almeno 317 bambini al giorno? E sulla necessità di interrompere la produzione per la morte e il congelamento di altrettanti embrioni creati con la fecondazione in vitro?
Eppure, nella prolusione, certi passaggi sembravano riguardare proprio queste stragi:
"Quanti oggi, nel mondo che conta, volteggiano come avvoltoi sulle esistenze dei più deboli per cavarne vantaggi ancora maggiori che in altre stagioni? Questo «individualismo esasperato e possessivo» non è forse alla radice di tanti comportamenti rapaci in chi può, o ritiene di potere, a prescindere da ciò che è legittimo, giusto, onesto?" e ancora: "Ci preoccupa come Vescovi l’assenza di un affronto serio e responsabile del generale calo demografico, e quindi del rapporto sbilanciato tra la popolazione giovane e quella matura e anziana"; e soprattutto: "La questione morale, complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza grave,che ha in sé un appello urgente"; e sul severo giudizio intorno ad una cultura radicale che "Muovendo da una concezione individualistica, rinchiude la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale. Per questo, dietro una maschera irridente, riduce l’uomo solo con se stesso, e corrode la società, intessuta invece di relazioni interpersonali e legami virtuosi di dedizione e sacrificio."
Ma, appunto, alle leggi sull'aborto e sulla fecondazione in vitro, la prolusione non fa nessun accenno; tanto meno parla di un'urgenza di modificarle o abrogarle, per interrompere questa strage, che tanto incide, per di più, sulla cultura del nostro popolo.

Quasi che, verrebbe da pensare, "il diritto alla vita" cui si riferisce il card. Bagnasco non riguardi proprio "tutti".

Giacomo Rocchi

giovedì 22 settembre 2011

Limiti ragionevoli? Pretese arbitrarie?



Assuntina Morresi, su "Avvenire", fornisce la "versione ufficiale" circa la legge 40 sulla fecondazione in vitro: una legge equilibrata e razionale. Il tema è ancora quello del limite dell' età potenzialmente fertile che la legge pone e che permette di accedere ai soldi pubblici destinati a queste tecniche anche a coppie nelle quali la donna ha 50 anni (nel Veneto) o comunque più di 40 anni (in tutta Italia).


La Morresi scrive:

"Come tutte le leggi, la 40 rispetta un orientamento culturale: si tratta
di una visione laica - per i cattolici la fecondazione extracorporea è illecita
- che cerca un equilibrio fra le esigenze della coppia e del nascituro, per la
quale non tutto ciò che è tecnicamente possibile diventa accettabile".


In pratica il limite di età viene concepito come se fosse stato posto a servizio del divieto di fecondazione eterologa:


"Per rimanere incinte ad oltre 50 anni una donna deve necessariamente
ricorrere ad ovociti di una donna più giovane".

Come fa ad essere "laica" una visione che individua un solo interesse del futuro embrione - quello di essere generato con i gameti dei suoi genitori - e chiude tutti e due gli occhi sull'interesse di tutti gli altri embrioni, quelli che vengono prodotti già destinati a morte quasi certa?

"Laico" non dovrebbe essere "agganciato alla realtà"?



La Morresi polemizza con coloro che si "stracciano le vesti" perché alcune Regioni hanno posto dei limiti più restrittivi all'accesso alla PMA a carico del SSN:


"dovrebbe onestamente dire che ogni obbiettivo è eliminare ogni
regolamentazione della fecondazione in vitro".

Morresi vuole davvero farci credere che non permettere alle donne di oltre 50 anni di accedere alle tecniche sia una regolamentazione efficace? E' come sostenere - qualcuno lo sostiene ... - che il divieto di aborto dopo i sei mesi limita l'aborto.



Il fatto è che la regolamentazione non è affatto "ragionevole" (come titola Avvenire) perché non tiene conto della realtà delle decine di migliaia di embrioni morti o congelati; e che - una volta che si è elevato a diritto la pretesa degli adulti di superare ogni ostacolo alla fecondità, anche a prezzo della morte di tanti figli, nessuna pretesa è più "arbitraria".



Giacomo Rocchi

martedì 20 settembre 2011

I fragili "paletti" delle "leggi imperfette"



Sappiamo bene quali sono stati gli effetti disastrosi della legge 40 sulla fecondazione artificiale: decine di migliaia di embrioni creati ogni anno e morti in poche ore o in pochi giorni, così come previsto, altre migliaia congelati (così come avveniva prima della legge), diagnosi preimpianto - con eliminazione degli embrioni difettosi - regolarmente praticata, "sdoganamento" delle pratiche di fecondazione in vitro sia dal punto di vista sociale che da quello morale ...

A difesa di questa legge - scritta ed approvata dal mondo cattolico - il popolo delle parrocchie e dei movimenti è stato mobilitato nella battaglia referendaria dopo essere stato convinto che si trattava di una battaglia a difesa della vita e della civiltà.



Ma gli anni passano e le verità emergono. Fra le tante vi è quella del divieto di "mamme-nonne". Ricordate? Una delle parole d'ordine era quella di impedire gli eccessi della fecondazione in vitro, demonizzando gli "aspiranti stregoni", come Severino Antinori...

Scopriamo in Avvenire del 19/9/2011 che la Regione Veneto, alcuni mesi fa, ha stabilito il limite massimo di età della donna di 50 anni per accedere alla procreazione assistita, stabilendo, altresì, il numero massimo di tre o quattro tentativi: il tutto a carico del Servizio Sanitario Nazionale!



Provvedimento illegittimo? Enrico Negrotti, nell'articolo, spiega a chiare lettere: "L’origine delle incertezze è in parte nella stessa legge 40 che concede l’accesso alle tecniche alle coppie in età potenzialmente fertile: una definizione che per le donne significa presenza del ciclo mestruale, mentre per i ginecologi la fecondità è ormai ridotta al lumicino già alcuni anni prima dell’effettiva menopausa". Aggiungiamo noi: oltre a dettare questo criterio così vago, la legge si è ben guardata dal prevedere qualsiasi sanzione per chi lo viola; cosicché i tentativi delle coppie anziane sono sostanzialmente liberi.

E infatti l'unico problema - andiamo al cuore della fecondazione in vitro ... - sembra essere quello dei soldi: chi paga?

Sì, perché "il costo per ogni bimbo nato da un donna di 45 anni risulta oscillare tra i 600mila e i 700mila euro". Vedete? Dei costi veri - la produzione e la morte di decine o centinaia di embrioni per ogni bimbo "in braccio", la devastazione psicologica e morale delle coppie che falliscono nei ripetuti tentativi, il rapporto falsato tra genitori e figlio, i problemi psicologici del bambino - ci si può dimenticare: la legge li permette ...


E così il "tavolo tecnico" ha elaborato una bella proposta di compromesso (non vincolante per le Regioni): limite massimo di età per la donna: 43 anni!

Un'età in cui (lo dice la Relazione al Parlamento del Ministro della Salute) le percentuali di instaurazione di una gravidanza dopo il prelievo ovocitario crollano (poco più di sette gravidanze ogni cento prelievi, contro la media di 24 gravidanze ogni 100 prelievi) e, per di più, aumenta enormemente la percentuale delle gravidanze interrotte per vari motivi (65 gravidanze su 100, contro la media di 24,6 su 100).

Si tratta di decine, di centinaia di embrioni o bambini morti per ogni "bambino in braccio" di una mamma di età avanzata.



Questa è una "legge imperfetta"; per questa ci hanno fatto combattere perché non fosse abrogata.

Sappiamo che qualcuno sta già preparando un referendum abrogativo contro la legge sulle DAT che la Camera dei Deputati potrebbe approvare nei prossimi mesi.

Una richiesta a coloro che sono pronti ad una nuova mobilitazione: prima di sventolare la bandiera della difesa della vita, spiegate cosa quella legge prescrive davvero!



Giacomo Rocchi

giovedì 15 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera. Conclusioni




Terminata l'analisi del testo approvato dalla Camera dei Deputati, le conclusioni non possono che essere sconfortanti.



Se ripensiamo alla parola d’ordine che spinge i promotori del progetto di legge – “Mai più un’altra Eluana Englaro!” – dobbiamo concludere questa analisi con la constatazione che: 1) la legge non garantisce affatto l’obbiettivo di impedire altre sentenze come quelle che permisero l’uccisione di Eluana Englaro; 2) la legge costruisce nuovi “gradini” dai quali i fautori (palesi od occulti) dell’eutanasia – consensuale e non consensuale – potranno cercare (con ottime probabilità di riuscita) di raggiungere ulteriori risultati.

Meglio nessuna legge, quindi, se davvero non è possibile approvare un testo che si limiti a vietare la sospensione dei sostegni vitali a coloro che non sono in grado di provvedere a se stessi.
Certo: sappiamo che i fautori dell’eutanasia hanno nella propria faretra altre frecce (alcune già scagliate, come i testamenti biologici comunali o i decreti sugli amministratori di sostegno), altri casi pietosi da mostrare, altre morti in diretta da esibire, altre menzogne da raccontare.
Dovremo combattere colpo su colpo a questi tentativi, e dovremo fare opera educativa per diffondere il rispetto della vita debole e malata: ma, almeno, non diamo un aiuto ai fautori della morte!



Meglio nessuna legge!



Giacomo Rocchi

lunedì 12 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/9



Abbiamo visto che sono leciti dubbi sull'effetto solo "orientativo" delle DAT. Vediamo se sono fondati.

Leggiamo l'articolo 3 comma 3 della legge: “Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamento terapeutico in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale
Questa “rinuncia” è un “orientamento”, che quindi il medico può non attuare, o ha un valore diverso? Il medico potrà – anzi: dovrà – effettuare i trattamenti terapeutici cui il dichiarante ha “rinunciato”?
Come non temere che, in sede di attuazione, la “rinuncia” sarà ritenuta cosa diversa da tutti gli altri “orientamenti”? Si tratta di una previsione separata da quella generale; inoltre il significato della parola “rinuncia” è molto più vicino alla espressione “rifiuto” piuttosto che a “orientamento”: “rinuncia” e “rifiuto” rispondono ad un’alternativa “secca”, sì o no, “questa terapia la faccio o non la faccio, la voglio o non la voglio”; “orientamento”, invece, comprende una scala di “grigi” (“vorrei essere curato solo con le erbe”, “non vorrei subire amputazioni se non strettamente necessarie” ecc.), rispetto alle quali è ben comprensibile che il medico mantenga la sua libertà e discrezionalità (“ti vorrei curare con le erbe, ma per questa patologia non ci sono medicinali adeguati” ecc.).


Ricordiamo il quadro iniziale: il medico può agire solo se è stato espresso il previo consenso del paziente al trattamento, altrimenti non può e non deve farlo; ecco: così come il rifiuto espresso dal paziente cosciente (o dai legali rappresentanti degli incapaci) rende il medico non legittimato ad intervenire, si sosterrà che la rinuncia esplicitata nella DAT con riferimento ad ogni trattamento terapeutico comporti la mancanza di legittimazione del medico ad intervenire.
Del resto nessuna norma sancisce esplicitamente l’inefficacia di DAT che contengano la “rinuncia” a tutti i trattamenti terapeutici, anche salvavita: non è certamente sufficiente a questo fine il disposto dell’articolo 4 comma 6 che stabilisce che “in condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica”: la rinuncia ai trattamenti sanitari salvavita può non comportare affatto un “pericolo di vita immediato”, ma una morte conseguente ad un processo patologico non curato di una certa durata.


E infatti: l'articolo 2 afferma l'obbligo per il personale sanitario di operare avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita del paziente, ma solo "in assenza di una dichiarazione anticipata di trattamento": quindi, quando le DAT vi sono, medici e infermieri non hanno più quest'obbligo ...


Insomma: se il dichiarante avrà chiesto di essere lasciato morire rinunciando ad ogni trattamento terapeutico, il personale sanitario non potrà andare contro alle sue disposizioni, attivandone ugualmente: si sosterrà, infatti, che a quella rinuncia non è applicabile la disposizione secondo cui "il medico non può prendere in considerazione orientamenti volti comunque a cagionare la morte del paziente".


In definitiva, anche con riguardo alle DAT, le modifiche apportate alla Camera non permettono di tranquillizzare chi è contrario all’eutanasia: non solo per il quadro piuttosto confuso che è uscito dai lavori parlamentari, ma anche perché quel meccanismo, che avrà il sigillo dello Stato, non potrà che facilitare spinte ulteriori (anche in questo caso, probabilmente di tipo giurisprudenziale) verso una vincolatività per i medici, sia del rifiuto di terapie salvavita, sia della rinuncia all’alimentazione e idratazione artificiale.
Perché il mondo prolife è contrario a questi effetti? Per due motivi: essi sanciscono il principio della disponibilità della vita (di fatto, al di là delle proclamazioni di principio); inoltre il meccanismo creato non garantisce nessuna libertà e nessuna informazione effettive a colui che, in stato di completo benessere o, al contrario, a colui che è gravato dalla sensazione di “essere di troppo”, si troveranno a sottoscrivere un documento (magari dattiloscritto) senza sapere cosa succederà in futuro e senza comprendere fino in fondo il contenuto della loro dichiarazione.


Pensate davvero che la legge, nel disporre che la DAT sia firmata “in stato di piena capacità di intendere e di volere e di compiuta informazione medico-clinica”, preveda qualche meccanismo per garantire che avvenga davvero così?

Giacomo Rocchi

venerdì 9 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/8



Siamo giunti alle dichiarazioni anticipate di trattamento per le quali la Camera ha apportato modifiche davvero rilevanti. Giunti a questo punto dell’esame del progetto, tuttavia, possiamo comprendere che le DAT non sono affatto centrali nella regolamentazione complessiva, in particolare rispetto ai timori di una legalizzazione dell’eutanasia.

La Camera dei Deputati ha scelto con decisione la strada della non vincolatività delle Dichiarazioni Anticipate di trattamento. La parola chiave per definire il contenuto delle DAT è “orientamenti”: non più "volontà espresse" o "indicazioni" del dichiarante, ma, appunto, "orientamenti".
Di conseguenza il fiduciario nominato nelle DAT non può più instaurare una controversia contro il medico curante per far rispettare le disposizioni anticipate (abrogazione dell’articolo 7 c. 3). Il fiduciario continua, quindi, a “controllare” l’operato dei medici: ma – qui è la modifica sostanziale apportata dalla Camera – il medico curante, se non vuole seguire gli orientamenti espressi nelle DAT, deve solo "sentirlo"ed è tenuto ad “esprimere la sua decisione motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica”. Quindi - almeno sembra - è il medico che decide.
La Camera, inoltre, ha limitato l’ambito di applicazione delle DAT: ora “la dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa sotto-corticale e, pertanto, non può assumere decisioni che lo riguardano”. Questa condizione è accertata da un collegio medico appositamente formato.
Per chi teme la legalizzazione dell’eutanasia, in realtà, questa restrizione non tranquillizza: il paziente potrebbe essere stato interdetto assai prima e quindi, se le DAT non trovano applicazione, saranno le decisioni del tutore ad esserlo: e si sono visti nei precedenti post i rischi connessi.

Ma è vero che le DAT contengono solo “orientamenti” che il medico può seguire o meno?

Se fosse così, perché allora mantenere tutta la complessa regolamentazione? Perché spendere soldi per istituire il Registro Nazionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento?
E perché negare ogni efficacia a dichiarazioni rese in forma diversa (art. 4 c. 2: “Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge non hanno valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto”)? Pensiamo quanto è difficile manifestare con precisione e con completezza il nostro pensiero con un atto scritto e a persone a noi estranee; se davvero dovessimo manifestare i nostri “orientamenti” e i nostri desideri su come essere curati in un futuro incerto e lontano, non lo faremmo molto meglio “a voce”, parlando con i nostri parenti più stretti, o con il coniuge o con l’amico più caro? Ma la legge ci imporrà di firmare un atto scritto e di farlo “esclusivamente” presso il medico di medicina generale che contestualmente le sottoscriverà. Per di più quell’atto scritto avrà valore solo per cinque anni e, quindi, dovrà essere rinnovato ogni quinquennio.


Vedremo nel prossimo post che questi dubbi hanno una risposta: in realtà - nella loro funzione essenziale di permettere l'eutanasia passiva del paziente incosciente - le DAT rischiano di essere ritenute vincolanti.



Giacomo Rocchi