mercoledì 26 novembre 2014

"Laico" o "intollerante"? Ugo Ruffolo sull'obiezione di coscienza

Ugo Ruffolo, in un articolo comparso sul Quotidiano nazionale il 15 novembre, commenta il discorso del Papa ai medici cattolici nel quale è stato evocata l'obiezione di coscienza.

Ruffolo invoca la laicità dello Stato occidentale per giungere ad affermare: "Il diritto all'obiezione è un'eccezione"; ma, in realtà, molto più banalmente, usa la forza della legge (la legge 40 del 2004 sulla fecondazione artificiale e la legge 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza): l'obiezione è ammessa solo nei limiti di legge che, per di più, devono essere interpretati in maniera restrittiva, così da evitare applicazioni "lassiste", come quelle che pretendono di riconoscere l'obiezione anche ai farmacisti per la vendita della cd. "pillola del giorno dopo".

Ruffolo sembra aver dimenticato del tutto l'origine degli Stati democratici, sorti dopo la Seconda guerra mondiale, causata da Stati totalitari che nessuna libertà di coscienza riconoscevano. 
Sarà un caso che la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (1950) proclami solennemente che "ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione" (art. 9), come del resto fa anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948)? Sembra proprio di no, se leggiamo un passo della sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo (Caso Ercep contro Turchia, decisione del 22/11/2011): "Ciò che è protetto dall'Articolo 9 della Convenzione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, è uno dei fondamenti di una "società democratica" ai sensi della Convenzione (…) Si tratta del pluralismo, conquistato a caro prezzo nel corso dei secoli e da cui dipende il tipo di società. (…) il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura sono le caratteristiche di una società democratica".

E allora: il riconoscimento dell'obiezione di coscienza è un'eccezione in uno Stato democratico o, piuttosto, uno degli elementi distintivi della natura democratica dello Stato?

Nemmeno la Corte Costituzionale italiana ha mai avuto dubbi sulla risposta: "A livello dei valori costituzionali, la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all'uomo come singolo, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell'uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico" (Corte Cost., sent. n. 467 del 1991). 
In altre parole: l'obiezione di coscienza è garantita nel nostro Paese in base ai Principi Fondamentali della Costituzione e riconosciuta come diritto inviolabile.

A me non sembra proprio che, come sostiene Ruffolo, "circoscrivere l'obiezione sia essenziale in una società ormai pluriconfessionale e plurietnica": vuole forse dire che, visto il pluralismo etico, le libertà fondamentali devono essere ridotte? Piuttosto è su questo punto che si misurerà la capacità della nostra società e delle nostre istituzioni di mantenere la loro natura democratica e tollerante: cioè di restare, appunto, una società laica, che non fa della legge una nuova religione!

E allora: davvero si vuole negare ai farmacisti il diritto di esercitare la propria scienza e coscienza nella vendita di preparati che possono avere effetti abortivi, in un Paese come il nostro in cui le farmacie sono diffuse e numerose su tutto il territorio nazionale e per un preparato che deve essere assunto entro 72 ore? Davvero si vogliono punire, in un modo o nell'altro, i medici e gli infermieri che rifiutano di partecipare alle pratiche abortive, in un Sistema sanitario che – come dimostra ampiamente la Relazione del Ministro della Salute – garantisce l'esecuzione dell'intervento a tutte le donne che lo chiedono entro due o tre settimane?


Ruffolo è mosso dal "culto dei diritti umani" o dal furore ideologico e dall'intolleranza?

Giacomo Rocchi

domenica 23 novembre 2014

Gli "eccessi" di Avvenire e le "ferite" della fecondazione eterologa

Lo smarrimento del mondo cattolico italiano dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha fatto cadere il divieto di fecondazione eterologa è evidente.

Un chiaro segnale viene dall'articolo di Guido Mocellin su Avvenire del 19 novembre secondo cui la "falsa compassione" di cui aveva parlato Papa Francesco nel discorso ai Medici Cattolici sarebbe stata riferita "ad aborto, eutanasia ed eccessi della fecondazione artificiale".
 "Eccessi"? Rileggendo il discorso, questa parola non si trova. 
Il Papa aveva detto: 
"Il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre".
Ora: quando si "produce" un figlio e lo si considera un "diritto"? Con la fecondazione artificiale, di qualunque tipo. Come sappiamo, infatti, la legge 40 – che permetteva solo alcune pratiche di fecondazione artificiale – usa l'espressione "produzione di embrioni"; che poi il ricorso alla fecondazione artificiale – e quindi alla "produzione" dei bambini – sia un "diritto" degli adulti lo dice sempre la legge 40: "la presente legge assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti" …
Quali sarebbero gli "eccessi" cui implicitamente Papa Francesco avrebbe fatto cenno? Forse la fecondazione eterologa? Il Papa non ha fatto nessuna distinzione. Secondo Mocellin il Papa avrebbe condannato solo la sperimentazione sugli embrioni, cui ha fatto esplicito cenno? Pare proprio di no, visto che, al contrario, l'accento è stato posto sulla contrapposizione "produrre – accettare il dono": del resto, la sperimentazione sugli embrioni non trasferiti è diretta conseguenza dell'averli prodotti e, quindi, resi "cose", senza alcun valore o dignità.

Il riferimento agli "eccessi" della fecondazione artificiale, quindi, è incomprensibile: o meglio, si comprende solo sulla base del riflesso condizionato conseguente all'approvazione, su spinta del mondo cattolico ufficiale, di una legge che autorizzava espressamente – anzi: riconosceva come "diritto" – la pratica di produzione degli essere umani …

L'articolo di Franco Olearo apparso sul numero di ottobre di Studi Cattolici ("Le ferite della fecondazione eterologa") dimostra ancor di più lo smarrimento di cui si è detto. 
L'autore sostiene, con riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale, che "vicende come questa mostrano con dolorosa evidenza l’esistenza di vuoti legislativi in difesa dei più deboli": è proprio vero, manca una legge che vieti esplicitamente la fecondazione artificiale extracorporea, la cui applicazione determina la morte di almeno nove embrioni prodotti su dieci... Ma a Olearo non paiono interessare gli embrioni morti (davvero troppo deboli anche per lui?), ma solo quei pochissimi embrioni che – al contrario dei loro fratelli – ce la fanno a nascere …

Vediamo le quattro "ferite nel tessuto sociale" che, secondo Olearo, la sentenza della Corte Costituzionale provocherà:
1. Viola i diritti del nascituro. Forse l'A. dovrebbe precisare: "viola i diritti di quell'embrione che, per sua fortuna e al contrario della stragrande maggioranza degli altri, riesce a nascere …". Sì perché, poco dopo, Olearo rimarca che "un concepito che si trova nel grembo materno non è un semplice ammasso di tessuti; è già un essere umano completo di tutte quelle caratteristiche, doti, inclinazioni che gli sono state trasmesse dai suoi genitori biologici": a dire la verità, l'embrione è un "essere umano completo" già prima di essere trasferito nel grembo materno e comunque già prima di avere attecchito nel corpo della donna (la maggior parte degli embrioni prodotti in vitro muore per mancato attecchimento). 
Non è che i "diritti del nascituro" sono stati violati con il solo fatto della loro produzione-artificiale-per-la-morte?
2. Crea squilibrio all'interno della coppia. Avete presente come funziona la fecondazione in vitro, con uomo e donna trasformati in "produttori di gameti" e la donna anche in "contenitrice"? Secondo voi l'iter che si segue non crea "squilibrio" all'interno della coppia? Ma Olearo si riferisce alla possibilità di adozione: "Nel caso di coppie sterili, il gesto più bello e generoso che esse possano fare è quello di allevare un orfano". Già: ma non vale per tutte le coppie sterili? Allora ha ragione la Corte Costituzionale a sottolineare che il legislatore aveva deciso di trattare più duramente proprio le coppie più sfortunate, cioè quelle assolutamente sterili! Solo quelle dovrebbero (per usare le parole di Papa Francesco) accogliere il figlio come un dono mediante l'adozione? 
Il fatto che le altre lo producano e lo considerino un diritto non turba Olearo?
3. Viola una volontà popolare chiaramente espressa. "Chiaramente espressa"? Coloro che non hanno votato hanno "espresso" una volontà? Pensate che Olearo sostiene l'opportunità che "la volontà espressa da un voto popolare, soprattutto quando raggiunge questi livelli di consenso, diventi vincolante anche nei confronti della Magistratura". L'Autore confonde una strategia vincente come fu quella dell'astensione al referendum con la natura giuridica di quel successo (che, comunque, non sarebbe stata vincolante per la Corte Costituzionale) …
4. Determina un cambiamento di atteggiamento: dalla procreazione all’acquisto. Il vero problema, caro Olearo, è che è la fecondazione artificiale in sé che "determina un cambiamento di atteggiamento": dalla "accoglienza del figlio come dono" al "diritto" della sua "produzione" (se del caso, pagando quanto serve) …

Olearo conclude polemicamente: "oggi, in assenza di leggi che definiscano i diritti dei nascituri, un cane randagio ha maggiori tutele di un essere umano"; vuole sostenere che è stata la sentenza sull'eterologa a determinare questa situazione? E che la legge 40 – o "Uno di Noi", che promuoveva nel 2013 – difendevano davvero il diritto alla vita e all’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento?

Giacomo Rocchi

sabato 15 novembre 2014

Papa Francesco parla di difesa della vita: aborto, fecondazione artificiale, eutanasia, obiezione di coscienza

"Non c’è dubbio che, ai nostri giorni, a motivo dei progressi scientifici e tecnici, sono notevolmente aumentate le possibilità di guarigione fisica; e tuttavia, per alcuni aspetti sembra diminuire la capacità di “prendersi cura” della persona, soprattutto quando è sofferente, fragile e indifesa. In effetti, le conquiste della scienza e della medicina possono contribuire al miglioramento della vita umana nella misura in cui non si allontanano dalla radice etica di tali discipline. (...)

"L’attenzione alla vita umana, particolarmente a quella maggiormente in difficoltà, cioè all’ammalato, all’anziano, al bambino, coinvolge profondamente la missione della Chiesa. Essa si sente chiamata anche a partecipare al dibattito che ha per oggetto la vita umana, presentando la propria proposta fondata sul Vangelo.

Da molte parti, la qualità della vita è legata prevalentemente alle possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza. In realtà, alla luce della fede e della retta ragione, la vita umana è sempre sacra e sempre “di qualità”.

Non esiste una vita umana più sacra di un’altra: ogni vita umana è sacra! Come non c’è una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra, solo in virtù di mezzi, diritti, opportunità economiche e sociali maggiori.(...)

Il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che “vede”, “ha compassione”, si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33).

La vostra missione di medici vi mette a quotidiano contatto con tante forme di sofferenza: vi incoraggio a farvene carico come “buoni samaritani”, avendo cura in modo particolare degli anziani, degli infermi e dei disabili.

La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di
coscienza. E a tante conseguenze sociali che tale fedeltà comporta. 

Noi stiamo vivendo un tempo di sperimentazioni con la vita. Ma uno sperimentare male. Fare figli invece di accoglierli come dono, come ho detto. Giocare con la vita. 
Siate attenti, perché questo è un peccato contro il Creatore: contro Dio Creatore, che ha creato le cose così.

Quando tante volte nella mia vita di sacerdote ho sentito obiezioni. “Ma, dimmi, perché la Chiesa si oppone all’aborto, per esempio? E’ un problema religioso?” – “No, no. Non è un problema religioso” – “E’ un problema filosofico?” – “No, non è un problema filosofico”.
E’ un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema. 
“Ma no, il pensiero moderno…” – “Ma, senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola uccidere significa lo stesso!”. 
Lo stesso vale per l’eutanasia: tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Ma, anche c’è l’altra. 
E questo è dire a Dio: “No, la fine della vita la faccio io, come io voglio”. Peccato contro Dio Creatore. 

Pensate bene a questo".

sabato 8 novembre 2014

Le favole della LAIGA sull'obiezione di coscienza all'aborto

Quando la Relazione del Ministro della Salute sull'attuazione della legge 194 sull'aborto ha messo nero su bianco che il numero degli obiettori di coscienza non incide affatto né sulla efficienza del "servizio" (sic!), né, tanto meno, sulla quantità di lavoro dei medici non obiettori, l'imbarazzo di coloro che stanno combattendo contro l'esercizio della coscienza da parte dei sanitari è stato palese.

Vi ricordate? Il quadro che era stato pubblicamente rappresentato e che ha costituito la base del ricorso della CGIL al Consiglio Sociale Europeo era di donne rifiutate dagli ospedali, costrette ad emigrare in altre Regioni per esercitare il loro diritto ad abortire e, insieme, quello dei pochi medici non obiettori sottoposti a turni di lavoro massacranti e costretti a dedicarsi soltanto agli aborti, quindi senza nessuna possibilità di qualificazione professionale. Il ricorso della CGIL lamentava, infatti, anche la lesione dei diritti dei lavoratori non obiettori.

Il fatto è che la Relazione del Ministro, quest'anno, si basa su dati indiscutibili ed approfonditi.
Sull'efficienza del "servizio aborto", leggiamo: 
"Sono in diminuzione i tempi di attesa tra rilascio della certificazione e intervento (possibile indicatore di efficienza dei servizi). La percentuale di IVG effettuate entro 14 giorni dal rilascio del documento è infatti aumentata rispetto a quella riscontrata nel 2011 (61.5% rispetto a 59.6%) ed è leggermente diminuita la percentuale di IVG effettuate oltre 3 settimane di attesa (15.5% nel 2012 rispetto al 15.7% nel 2011), persistendo comunque una non trascurabile variabilità tra Regioni".
Avete capito bene: quando voi dovete fissare con un ospedale pubblico un'operazione qualsiasi, che tempi di attesa vi aspettano? Beh, ora sappiamo quali sono i tempi di attesa delle donne che intendono abortire: più di tre su cinque sono sottoposte all'intervento entro due settimane dal rilascio del certificato. Attenzione: la legge prevede che l'intervento non possa essere effettuato prima di una settimana dal certificato; questo significa che tre donne su cinque ricevono il "trattamento" richiesto entro una settimana!

E sul carico di lavoro dei medici non obiettori? Il Ministro della Salute riferisce di dati raccolti in un "tavolo tecnico" istituito con tutte le Regioni: quindi non si è limitato a raccogliere i dati che le Regioni trasmettevano, ma ha ulteriormente approfondito l'argomento. Ebbene, tra i tanti emerge questo dato clamoroso: 
"i dati relativi al 2012 confermano il trend del 2011: considerando 44 settimane lavorative in un anno, il numero di IVG per ogni ginecologo non obiettore, settimanalmente, va dalle 0.4 della Valle D’Aosta alle 4.2 del Lazio, con una media nazionale di 1.4 IVG a settimana".
Ancora una volta avete capito bene: i medici non obiettori costretti a fare solo aborti con turni massacranti? In media, ciascuno di loro fa 1,4 aborti a settimana, quindi non vi dedica più di mezz'ora! La situazione peggiore è quella del Lazio: 4,2 aborti a settimana in media: quindi circa due ore a settimana!

Di fronte a questi dati oggettivi e indiscutibili, la tattica non poteva che essere quella di gettare dapprima un po' di fumo, e poi cominciare nuovamente a raccontare storie, facendo finta che non sia successo nulla.
La LAIGA (l'associazione dei medici non obiettori) si fa carico di entrambi i compiti. 
Subito dopo la diffusione della Relazione ministeriale, ad esempio, su Il Fatto Quotidiano erano state intervistate la Presidente d.ssa Silvana Agatone e la d.ssa Giovanna Scassellati. Quest'ultima aveva definito "favole" i dati del Ministro e delle Regioni, tuttavia ben guardandosi dal contestarle: 
"Noi così crediamo alle favole – commenta amara – Il San Camillo fa un terzo di tutte gli aborti della regione Lazio. Nel mio reparto di ginecologia, siamo senza primario, lavoriamo sotto organico e su un sacco di turni. Il problema è che non ci si ribella mai, e quando lo si fa, si viene penalizzati": 
assoluta genericità, come si addice alla funzione del discorso, sollevare un po' di fumo. 
E del resto, scendere sui dati oggettivi è molto rischioso, come dimostrava subito dopo l'intervento della Presidente della LAIGA, d.ssa Agatone:
"Anche i numeri sul carico di lavoro settimanale non collimano con quelli della realtà lavorativa quotidiana, come conferma Silvana Agatone, presidente della Laiga. “All’ospedale Pertini di Roma siamo in tre a fare 80 interruzioni di gravidanza al mese, cui ci sono ad aggiungere gli aborti terapeutici". 
La Agatone sarebbe, quindi, uno dei medici "massacrati" dai turni di IVG? Secondo il suo stesso esempio "drammatico" del Pertini di Roma, gli aborti volontari sarebbero circa 20 alla settimana, oltre a un solo aborto "terapeutico" (cioè dopo i primi 90 giorni di gravidanza, che sono il 4% del totale). Quindi, ogni medico fa 7 aborti alla settimana, in circa tre ore ... 
D.ssa Agatone, prima di "sparare" numeri, provi a ragionarci sopra; soprattutto, per usare l'espressione della d.ssa Scassellati, non ci racconti favole!

Ma questo era il "fumo", diffuso perché i dati del Ministro della Salute non venissero compresi. Dopo qualche settimana, ecco il Congresso Nazionale della Laiga, ovviamente ben "coperto" dalla stampa nazionale: e, così, su Repubblica.it la d.ssa Agatone può nuovamente proclamare che l'accesso all'aborto è sempre più difficile e che le donne sono costrette ad "emigrare" da una Regione all'altra (dato che le Relazioni ministeriali hanno sempre mostrato, fin dagli anni '80). Ovviamente taciuto il dato sull'efficienza del servizio. 
La tattica è quella di evidenziare un'emergenza che non esiste. Leggiamo cosi:
"Per questo Laiga ha inaugurato una rete nazionale di avvocati aiuterà le donne che hanno avuto difficoltà nell'accesso all'interruzione di gravidanza. "Attualmente i medici non obiettori applicano con preoccupazione la legge 194 - spiega la presidente Silvana Agatone - non solo perché le strutture non forniscono i mezzi ed il personale necessario, ma anche perché si opera tra mille difficoltà anche burocratiche e organizzative. A tutela delle scelte degli operatori, sarà presentata una rete di avvocati presenti su tutto il territorio nazionale, pronti a seguire l'iter di eventuali denunce nei confronti dei ginecologi e del personale non obiettore e a salvaguardia delle donne cui non siano riconosciuti i propri diritti riproduttivi"
Ecco: aspettiamo cause di donne cui è stato impedito di abortire. Che voi sappiate, questo diritto è stato negato a qualche donna che aveva in mano il famigerato "certificato"? 
E le denunce nei confronti del personale non obiettore? La d.ssa Agatone non può evitare di usare l'aggettivo "eventuali" ... sapete di qualche medico non obiettore che è stato denunciato?
Veramente iniziamo ad avere conoscenza di sanitari obiettori denunciati, vilipesi, oltraggiati, fatti licenziare ... ma, si sa, questo non conta. 

Favole ...

Giacomo Rocchi

giovedì 11 settembre 2014

Cosa serve davvero la legge sulla fecondazione eterologa?

La telenovela sulla legge da approvare a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha eliminato il divieto di fecondazione artificiale eterologa si arricchisce di una nuova puntata, davvero sorprendente.

Abbiamo più volte osservato che il mondo cattolico e prolife ufficiale, all'unisono, fin dal giorno in cui la Corte Costituzionale comunicò la sua decisione, ha esclamato: "ci vuole una legge!". Ora scopriamo che, dietro questo coro unanime, le intenzioni erano diverse.

Ricordate la lettera dell'on. Roccella ai colleghi parlamentari con l'individuazione delle questioni da risolvere? Francesco Agnoli aveva sintetizzato la proposta in due punti importanti, che avrebbero potuto ottenere l'effetto di "riduzione del danno da Corte Costituzionale": l'obbligo di gratuità della donazione dei gameti e il divieto di anonimato dei donatori.

Ora scopriamo che il "vero" obiettivo di alcuni politici sedicenti cattolici era quello accennato en passant da Carlo Casini, "per conservare nel massimo possibile la logica dell'articolo 1 della legge 40 che fissa il diritto al figlio": l'utilizzo degli embrioni soprannumerari congelati ed "abbandonati" nei congelatori dai loro genitori.
La proposta di legge Fioroni, Valiante e Gigli prevede proprio questo: "La PMA eterologa è consentita anche ricorrendo all’uso di gameti femminili o di embrioni soprannumerari resi disponibili da coppie che abbiano precedentemente fatto ricorso alla PMA omologa"

Niente di nuovo: l'Adozione per la Nascita è un argomento che circola nell'ambiente cattolico da alcuni anni ed è stato sostenuto esplicitamente da Scienza e Vita, nonostante la Dignitas Personae la qualificasse come soluzione moralmente illecita, sulla base dell'insegnamento di Giovanni Paolo II.

Quello che colpisce è la rapida "capacità di adattamento" alla nuova situazione creatasi: la sentenza della Corte Costituzionale, in fondo, forse non è un fatto così negativo, perché permette di fare quello che da tempo sostenevamo ...
E' la logica della fecondazione in vitro in cui, chi ha inventato la legge 40, è evidentemente immerso: gli embrioni devono "servire" a qualcosa, perché non utilizzarli per tentare una nuova gravidanza?
La soluzione, poi, serve a completare il quadro di autoassoluzione per gli autori della legge 40.
Ricordate? Gli embrioni trasferiti nel corpo materno dopo la fecondazione in vitro e morti per mancato attecchimento, secondo il Movimento per la Vita, non vengono uccisi, ma "affidati alla natura": a ciascuno di essi è stata data la chance di nascere. La loro morte non è colpa di nessuno!

E gli embrioni congelati? Ecco, diamo loro la possibilità di essere trasferiti nel corpo di una donna diversa dalla loro madre! Moriranno? E' la natura ... non è colpa di nessuno ...

Giacomo Rocchi

lunedì 8 settembre 2014

Fecondazione artificiale eugenetica? Ma quando mai ...

Da "Sassari Notizie" dell'8/9/2014:

Partirà lunedì 08 settembre 2014, alle ore 9.00, nella sede Laore di via Galvani a Olbia, il primo corso in Sardegna di fecondazione artificiale nella specie suina, organizzato dalla Asl di Olbia, con l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo in Agricoltura (LAORE) e la Coldiretti Gallura, mirato ad abilitare le figure professionali di “operatore pratico” di fecondazione artificiale così come previsto dalla legge n° 74 dell’11/03/1974: in Sardegna l’ultimo corso di formazione era stato organizzato circa trent’anni fa. 
Per diventare operatori pratici che intendono esercitare l'attività di inseminazione artificiale devono effettuare un percorso formativo e superare un esame di abilitazione: “queste figure professionali sono ormai quasi inesistenti nella realtà suinicola isolana: da qui l’importanza di questo percorso formativo che consentirà di formare nuovi operatori che ci permetteranno di effettuare, in tempi celeri, il rinnovamento genetico ed il progresso della selezione, con minori spese rispetto all’allevamento suinicolo tradizionalmente praticato”, aggiunge Bacciu.
 “L’operatore pratico, attraverso la promozione della fecondazione assistita, contribuirà a prevenire la diffusione della Peste Suina Africana che vede nella movimentazione clandestina dei “riproduttori” un’importante fattore di rischio; si consideti che in Sardegna sono circa 17.000 gli allevamenti suinicoli, rispetto ai 6.000 della Lombardia e del Lazio”, spiega Giuliano Sanna, responsabile dell’unità di crisi per la peste suina africana della Asl di Olbia.

Gli allevatori per garantire il rinnovamento genetico dei propri allevamenti ed evitare la consanguineità, spesso praticano illegalmente, evitando controlli e autorizzazioni, lo scambio dell’animale da un allevamento all’altro, “una pratica molto diffusa nella nostra realtà isolana, fonte però di trasmissione delle patologie, come la peste suina africana” aggiunga Sanna. “La Asl di Olbia, grazie alla proficua collaborazione tra i servizi veterinari e le aziende suine, è riuscita, da oltre un anno, ad eradicare questa patologia dai suini domestici, nonostante nel 2012 siano stati registrati in Gallura una cinquantina di casi, sui circa 100 dell’intera Regione”, conclude Sanna.

le lezioni dureranno 3 mesi e prenderanno il via l’8 settembre , per concludersi il 18 dicembre 2014, con l’esame di abilitazione: durante le lezioni sono previste prove pratiche e studio delle malattie infettive trasmissibili, con particolare riferimento alla Peste suina africana e sulla biosicurezza negli allevamenti suini. Saranno una quarantina gli allevatori suinicoli della provincia di Olbia-Tempio che parteciperanno, a distanza di trent’anni dall’ultimo corso, a questo importante percorso formativo.

venerdì 5 settembre 2014

I giornali cattolici censurano i vescovi? Avvenire, mons. Nosiglia e la fecondazione eterologa

Nel mese di luglio avevamo segnalato che il Servizio di Informazione Religiosa (S.I.R.) aveva proposto una sintesi dell'intervento di mons. Crepaldi sulle iniziative da prendere dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla fecondazione eterologa che cancellava ogni riferimento alla fecondazione omologa e alla necessità di vietarla.
La legge 40 - che, appunto, ha legalizzato la fecondazione in vitro omologa - non si tocca!


Leggiamo ora un passo dell'intervista di Mons. Nosiglia, vescovo di Torino, al settimanale diocesano "la Voce del Popolo":
Perché la Chiesa non approva la fecondazione eterologa?
Il Magistero della Chiesa è intervenuto più volte sul problema della procreazione medicalmente assistita. La Congregazione per la Dottrina della Fede in particolare affronta il tema in due documenti: Donum vitae (1987), Dignitas personae (2008). Il primo precisa che il concepito non può essere voluto «come il prodotto di un intervento di tecniche mediche e biologiche: ciò equivarrebbe a ridurlo a diventare l'oggetto di una tecnologia scientifica. Nessuno può sottoporre la venuta al mondo di un bambino a delle condizioni di efficienza tecnica valutabili secondo parametri di controllo e di dominio» (II,B.4c). Questa osservazione vale già per la fecondazione omologa, cioè per la procreazione artificiale realizzata con i gameti dei coniugi. (il grassetto è nostro) A maggior ragione risulta ineludibile per la fecondazione eterologa, ottenuta mediante l'incontro di gameti di almeno un donatore estraneo alla coppia".
Ecco come E' Vita - supplemento di Avvenire in materia di bioetica - riassume l'intervista: (i grassetti sono nostri)
"Il problema non è, in materia di vita e di generazione della vita, di sperimentare tutto quanto la scienza rende possibile, ma piuttosto di dare un senso e un "valore" condiviso alla vita come al desiderio di genitorialità: «Nessuno – ricorda Nosiglia – può sottoporre la venuta al mondo di un bambino a delle condizioni di efficienza tecnica valutabili secondo parametri di controllo e di dominio», facendo riferimento al magistero recente della Chiesa ("Donum vita" e "Dignitatis personae"). Ma il ragionamento dell’arcivescovo di Torino si allarga a considerare il tema della fecondazione eterologa nel contesto più ampio della realtà familiare italiana: un "mondo" che avrebbe invece grandi risorse da offrire, se opportunamente incoraggiate e incentivate, per quanto riguarda l’adozione, e anche le forme di affido già previste dalla legge. Non si può dimenticare, sottolinea Nosiglia, «che un figlio non è qualche cosa di dovuto e non può essere considerato come oggetto di proprietà: è piuttosto un dono, il più grande e il più gratuito del matrimonio, ed è testimonianza vivente della donazione reciproca dei suoi genitori. Non esiste, come invece si vorrebbe far credere, un diritto al figlio».
E, nel prosieguo:
"L’arcivescovo Nosiglia collega direttamente le tematiche della fecondazione eterologa (e più in generale della bioetica) allo scenario culturale complessivo, in vista di quell’appuntamento importante che è il convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel 2015."

Accipicchia! Al giornalista di Avvenire è sfuggita la frase riguardante la fecondazione omologa ...

Giacomo Rocchi

giovedì 4 settembre 2014

Nostalgia del far west

Il Servizio di Informazione Religiosa diretto da Domenico Delle Foglie pubblica una consistente anticipazione di un articolo del vescovo di Torino, mons. Nosiglia, che sarà pubblicato sul settimanale diocesano.
Il titolo del servizio, si potrebbe osservare, è tutto un programma:

ETEROLOGA E ADOZIONI GAY: MONS. NOSIGLIA (TORINO), “EVITARE IL FAR WEST”

Ebbene sì! Quel "far west" da tanti evocato all'epoca dell'approvazione della legge 40, quell'immagine selvaggia che aveva permesso di serrare le fila, di approvare la legge di legalizzazione della fecondazione in vitro e di convincere gli italiani ad andare al mare, invece di votare al referendum radicale, sta per tornare!

Come potrebbe Domenico Delle Foglie tralasciare questo pericolo? Ora finalmente si potrà ricominciare a dire "cattivo!" ai riottosi, a censurare, a stabilire chi è dentro e chi è fuori dalla Chiesa! Ora si potrà smettere di parlare del disastro annunciato e puntualmente realizzatosi nei dieci anni di vigenza della legge 40: abbiamo un nuovo orizzonte: partiamo!

Vediamo come mons. Nosiglia argomenta la sua affermazione:
"Ora, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 9 aprile scorso che ha dichiarato illegittimo il divieto dell’eterologa, è doveroso che al più presto vengano date norme sicure che regolamentino la questione su tutto il territorio nazionale per evitare il far west, le derive eugenetiche e l’instaurarsi di un subdolo mercato procreativo animato dalla logica del figlio a tutti i costi”.
C'è quindi, un "prima" e un "dopo": e il discrimine è la sentenza della Corte Costituzionale sull'eterologa; "prima", evidentemente non esistevano derive eugenetiche e la legge 40 impediva "la logica del figlio a tutti i costi".
Interessante è l'obiettivo perseguito: "regolamentare la questione su tutto il territorio nazionale"; il vescovo di Torino si preoccupa che in Puglia le coppie vengano trattate diversamente da quanto avviene nella sua Regione?

Il fatto è che 
"La generazione di una persona non può essere confusa con la produzione di un oggetto fatto a dimensione dei propri bisogni e della propria insaziata sete di genitorialità”, come afferma mons. Nosiglia, e che "e il concepito non può essere voluto come il prodotto di un intervento di tecniche mediche e biologiche: ciò equivarrebbe a ridurlo a diventare l’oggetto di una tecnologia scientifica".
Giusto! 
Esattamente il vescovo di Torino sottolinea che questa osservazione "vale già per la fecondazione omologa, cioè per la procreazione artificiale realizzata con i gameti dei coniugi"
ma aggiunge: 
"A maggior ragione risulta ineludibile per la fecondazione eterologa, ottenuta mediante l’incontro di gameti di almeno un donatore estraneo alla coppia. Così si priva il nascituro della relazione filiale con le sue origini parentali e c’è il rischio di ostacolare la maturazione della sua identità personale”. 
Cosa fare, allora? Abbiamo visto che mons. Nosiglia, all'inizio dell'intervista, chiede l'approvazione di una legge nazionale. Di quale contenuto e con quale finalità?
Qui è la domanda dell'intervistatore ad indicare le finalità della legge: "Che cosa si potrebbe fare per favorire vie diverse dall’eterologa alle coppie sterili che desiderano un figlio?"
La risposta è la seguente: 
"La sofferenza degli sposi che non possono avere figli o che temono di mettere al mondo un figlio con problemi di handicap, è una sofferenza che tutti debbono comprendere e adeguatamente considerare. Da parte degli sposi il desiderio di un figlio è naturale:esprime la vocazione alla paternità e alla maternità inscritta nell’amore coniugale. Tuttavia “il figlio non è un qualche cosa di dovuto e non può essere considerato come oggetto di proprietà: è piuttosto un dono, ‘il più grande’ e il più gratuito del matrimonio, ed è testimonianza vivente della donazione reciproca dei suoi genitori”. È quindi “molto opportuno favorire maggiormente le adozioni e pubblicizzare anche la possibilità per le donne gravide che, per i più diversi motivi, non si sentono nella condizione adatta ad allevare un figlio, di consentirne l’adozione, come è già previsto nell’ordinamento italiano”.
Tutto qui? Nessun divieto, ovviamente: solo la promozione dell'adozione.

Abbiamo parlato del "prima" e del "dopo": mons. Nosiglia pare tuttavia dimenticare le centinaia di migliaia di embrioni prodotti e inevitabilmente morti; le decine di migliaia di quelli prodotti e congelati; le migliaia di quelli sottoposti a sezionamento mediante la diagnosi genetica preimpianto; le centinaia di quelli prodotti, trasferiti in utero e poi abortiti volontariamente; i bambini nati con malformazioni derivanti dall'essere stati prodotti con la fecondazione artificiale; i milioni di euro che le coppie disperate hanno versato dopo che la legge 40 ha legalizzato queste tecniche; i soldi pubblici spesi per finanziare la fecondazione in vitro; le migliaia di donne bombardate da ormoni e i numerosissimi casi di sindrome da iperstimolazione ovarica; le coppie distrutte dal reiterato ricorso ai cicli di fecondazione artificiale ...

Il far west sta per arrivare oppure - anche se in modo più asettico, ufficiale, autorevole, statale - siamo rimasti nella stessa prateria dove scorrazzano cow boy e indiani anche in questo decennio?

Non sarà, forse, il momento di dire che la produzione artificiale dell'uomo deve essere sempre vietata?
Giacomo Rocchi

lunedì 1 settembre 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa/ 6. Cosa fare?

Ecco che torniamo alla domanda: che fare dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla fecondazione eterologa? È la domanda su cui ci siamo esercitati in questa estate.

Forse, per eliminare qualche equivoco, la domanda dovrebbe essere articolata con riferimento ai soggetti e alla doverosità o discrezionalità della condotta.
Mi spiego: mi ha colpito molto che il dibattito all'interno del mondo cattolico e prolife si sia incentrato – come abbiamo già visto – sul richiamo al n. 73 dell'Evangelium Vitae, o, almeno, sulla parte di tale numero che viene continuamente citata.
Quel passaggio riguarda, infatti, la condotta di un parlamentare. Rileggiamo il passo: "Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. [...] Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui".
Con il corsivo abbiamo evidenziato l'ambito coinvolto nell'enciclica, ma anche la valutazione che Giovanni Paolo II dava della condotta descritta: il parlamentare potrebbe – e non: deve – lecitamente offrire il sostegno ad una proposta limitativa.

Pretendere di utilizzare questo passaggio come unico criterio per indirizzare le azioni della galassia prolife, ma anche del mondo cattolico, è chiaramente errato: l'azione per la difesa della vita, infatti, non si riduce ad un voto parlamentare in una determinata situazione. Si nega, in questo modo, il ruolo specifico ed autonomo del parlamentare che è chiamato ad agire, in scienza e coscienza, per l'approvazione delle leggi.
Il giudizio espresso è, quindi, quello di "liceità" – e non di doverosità; liceità subordinata ad una presa di posizione pubblica di "assoluta opposizione all'aborto". Anche mons. Crepaldi, nello scritto più volte citato, ritiene "possibile ed auspicabile … intervenire con una legislazione correttiva e di contenimento".

Non confondiamo, quindi, i piani ed i soggetti: l'equiparazione del "popolo della vita" ad un "parlamentare" forse è possibile solo quando il popolo si fa legislatore (in Italia con il referendum abrogativo), ma non in generale.
In altre parole, può non esservi contraddizione tra il popolo della Marcia per la Vita che, a gran voce, manifesta la propria opposizione all'aborto e chiede l'abrogazione della legge 194 e la condotta di un singolo parlamentare cattolico che, in piena coscienza, dopo avere interamente soddisfatto il prerequisito di manifestare pubblicamente e a tutti la propria opposizione all'aborto (non che se ne vedano molti, mi sembra), sostenga una proposta parziale.

Ecco che la dotta e interessante discussione tra Giorgio Carbone e Tommaso Scandroglio acquista la sua giusta portata: la liceità/illiceità e doverosità/discrezionalità di una proposta di legge che limiti i danni (quella che l'on. Roccella preannuncia, ma non ha ancora presentato) non riguarda tutti, ma i parlamentari che ritengono di essere cattolici e difensori della vita; anche perché, aggiungo, ai prolife interessa fino ad un certo punto che la fecondazione eterologa sia sicura, che un uomo non possa essere padre di più di 10 figli, che si possa risalire al donatore in caso di malattia del figlio o, addirittura, che si eviti la produzione di embrioni portatori di malattie (dobbiamo evitare anche la produzione di embrioni down?): la fecondazione in vitro determina in ogni caso la morte di innumerevoli embrioni, la loro selezione, il loro congelamento ecc.; e il ricorso alla fecondazione in vitro è in ogni caso contrario al bene della famiglia e dei coniugi che ne hanno accesso!
Come scrive Francesco Agnoli, si tratta di un dovere del parlamentare (eroico o meno che sia); del resto, anche la Costituzione riconosce la piena autonomia del parlamentare che "esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato" (art. 67 Cost.).

La lotta contro la fecondazione in vitro.
Quindi, l'on. Roccella faccia quello che ritiene giusto ed opportuno; ma noi decidiamo cosa fare!

La prima cosa da fare, secondo me, è togliere le mani dalla fecondazione in vitro. Se abbiamo compreso che quelle tecniche sono cattive in sé, non possiamo più accettare che ospedali cattolici facciano FIVET, magari congelando gli embrioni soprannumerari, o che ancora si presentino all'opinione pubblica cattolica esperti di tecniche "buone" (come, ad esempio, quella del congelamento degli ovociti).
Questo è stato ripetutamente detto, ma la compromissione del mondo cattolico con queste tecniche antiumane è proseguito, procurando un grave scandalo.
Dobbiamo stare fuori dal mondo della fecondazione in vitro, perché vogliamo che esso scompaia.

Vi è poi la necessità della "lotta culturale" di cui parla anche mons. Crepaldi: dobbiamo mostrare e dimostrare che è un bene per l'umanità, per i singoli uomini coinvolti e anche per la società democratica che la produzione extracorporea dell'uomo venga cancellata dall'orizzonte del consesso umano; dobbiamo essere in grado di esprimere nei confronti di quelle tecniche lo stesso orrore che manifestiamo nei confronti degli esperimenti nazisti. Molto importante sarà anche la riflessione sulla deformazione dell'arte medica che quelle tecniche provocano.

Vi è, infine, l'impegno politico e legislativo.
Mi sembra evidente che, ormai, la proposta prolife non possa che indicare la necessità di una riforma costituzionale che introduca il divieto di produzione extracorporea dell'uomo: infatti, dopo che le tecniche sono state legittimate dal legislatore con la legge 40, la Corte Costituzionale ha, in qualche modo, ritenuta "costituzionalmente necessaria" la regolamentazione delle tecniche (ciò ha fatto a partire dalla sentenza n. 45 del 2005 che non ha ammesso il referendum riguardante l'intera legge, ribadendolo anche nell'ultima sentenza).
Per piegare la resistenza della Corte Costituzionale occorre, quindi, cambiare la Costituzione.

Prolife, parlamentari e vescovi.
In questa azione i movimenti prolife devono tornare ad avere quella libertà di movimento e di espressione che, purtroppo, sia all'epoca dell'approvazione della legge 40, sia successivamente, è decisamente mancata, con la censura e la "scomunica" di chi si opponeva a quel progetto.

Qui entra in gioco un terzo soggetto – dopo i parlamentari sedicenti cattolici e i movimenti prolife – che ha avuto e ha ancora grande peso nel nostro Paese: i Vescovi della Chiesa Cattolica.
Occorre chiedersi (per chi scrive è una domanda retorica) se davvero sia stato proficuo quel legame stretto tra il vertice della Conferenza Episcopale, alcuni parlamentari sedicenti cattolici e il Movimento per la Vita che ha fatto sì che l'adesione allo specifico progetto di legge da parte del primo trasformasse la questione quasi in una questione di fede e/o morale così da ritenere che i contrari stessero fuori dalla Chiesa!
"Lo hanno detto i Vescovi!": questo doveva bastare per tacitare ogni dissenso, spegnere ogni obiezione, marciare tutti verso il (da alcuni previsto) disastro attuale; salvo poi scoprire (o intuire) che la conoscenza dei vescovi (o della maggior parte di loro) del contenuto effettivo del testo di legge era assai limitata.

Questo modo di operare è stato ripetuto con la proposta di legge sulle DAT che – per fortuna di tutti e del Paese – non è stata approvata per un soffio nella precedente legislatura: con Carlo Casini indotto a sostenere pubblicamente il contrario di quanto aveva scritto pochi mesi prima (e a negare di averlo fatto), con la censura ed esclusione dei dissidenti, con la "santificazione" del testo in corso di approvazione che, pur modificato nei vari passaggi parlamentari, sembrava – secondo la versione ufficiale – avvicinarsi alla perfezione.
Se poi si va a studiare il testo – come il Comitato Verità e Vita ha fatto ripetutamente - si scoprono le "imperfezioni" che permetterebbero l'introduzione dell'eutanasia nel nostro Paese. Si rischiava una "vittoria" analoga a quella della legge 40 …

Io non posso certamente insegnare il loro mestiere ai vescovi: sono però felice che mons. Crepaldi – la cui autorevolezza su questi temi è indiscussa – si sia ben guardato da dare indicazioni specifiche su quali leggi approvare e tanto meno sul loro contenuto.

Conclusioni: insieme contro la produzione dell'uomo!
Giorgio Carbone e Renzo Puccetti, in quell'articolo sulla Bussola Quotidiana del 23 febbraio scorso che ha fatto un po' di rumore nel nostro mondo, descrivendo la "strategia del carciofo", concludevano osservando che "la cosa importante che un vero prolife deve imparare è che ciascuno può scegliere quale settore della trincea occupare" e che "in quel settore combatta bene".

Ho già scritto che la strategia dei prolife intransigenti – che cioè non transigono su nessuna vita, anche la più debole e indifesa – non può che essere quella della verità integrale: sulle tecniche di produzione artificiale dell'uomo, la cui malvagità è evidente e deve diventarlo a tutti; sulla legge 40, che, permettendola, è iniqua e deve essere abrogata, tanto più ora che i paletti fondamentali sono caduti; sul nostro ordinamento che, ormai, è ingiusto anche a livello costituzionale, permettendo la fecondazione in vitro (oltre, naturalmente, all'aborto).
Questo è il nostro "settore"; su questa verità integrale dobbiamo lavorare e cercare di riunire tutti i sinceri difensori della vita umana.


Giacomo Rocchi 

sabato 30 agosto 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa/5. La colpa è della Corte Costituzionale e dei giudici?

Nel riproporre la scelta a suo tempo fatta di legalizzare la fecondazione in vitro, evidente sembra la convinzione che lo smantellamento della legge 40 sia frutto di una scelta arbitraria della Corte Costituzionale. Insomma: "noi avevamo approvato una legge accettabile con un sano trasversalismo che aveva portato alla riduzione del danno" (Domenico Delle Foglie), anche se "imperfetta" (Carlo Casini); i giudici cattivi, la Corte Costituzionale e perfino la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ce l'hanno smontata".
E così, occorre intervenire per ottenere una "riduzione del danno da Corte Costituzionale" (Francesco Agnoli).

La mia sensazione è che questa posizione – che, ovviamente, serve per qualcuno (usando un termine penalistico) a precostituirsi un alibi ("non sono stato io! non è colpa mia!") – rifiuti di leggere davvero le motivazioni dei provvedimenti giudiziari che hanno determinato questo smantellamento.
Anticipo la conclusione: i giudici hanno adottato le loro decisioni facendo leva proprio sulla legge 40 (oltre che sulla legge 194 del 1978 che la legge 40 "fa salva")! Il vizio vero è quello di irragionevolezza del legislatore del 2004 che, avendo permesso determinate pratiche, ha illogicamente vietato altre.
Insomma: è la logica della legge 40 ad imporre (o quanto meno: a rendere inevitabile) l'abbattimento dei paletti!

In breve la dimostrazione.
Nella sentenza del 2009 (la n. 151), che aveva eliminato il numero massimo di embrioni producibili, la Corte Costituzionale prendeva atto che "la legge (...) rivela un limite alla tutela apprestata all’embrione, poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a gravidanza, (…) consentendo un affievolimento della tutela dell’embrione al fine di assicurare concrete aspettative di gravidanza (…) la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione."
In sostanza: se la legge permetteva di trasferire tre embrioni, prevedendo consapevolmente la morte di due di loro, perché non lasciare al medico la scelta di quanti embrioni produrre e trasferire?

Non basta: la Corte Costituzionale faceva leva già in quella sentenza sulla finzione che la legge 40 ha sposato in pieno: che, cioè, l'applicazione delle tecniche di fecondazione artificiale abbia a che fare con la salute umana e, quindi, con il diritto alla salute.
Sappiamo benissimo che non è così: le tecniche non curano nessuno ma permettono di ottenere una gravidanza senza curare. Eppure la legge 40 fu intitolata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita" e l'art. 1, comma 2 ne permise il ricorso "qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità": quindi quelle pratiche zootecniche applicate sugli uomini furono elevate legislativamente a "metodi terapeutici", per di più "efficaci" (anzi: i più efficaci, quindi i migliori!).

Anche la sentenza n. 162 sulla fecondazione eterologa giunge ad eliminare il divieto sulla base della logica della legge 40: abbiamo già visto, infatti, che richiama il diritto al figlio che la legge già contiene e si chiede per quale motivo questo diritto venga negato ad alcune coppie e concesso ad altre; e poi fa leva, ancora una volta, sul diritto alla salute, interpretato in senso ampio, comprensivo anche della salute psichica: esattamente come la legge 40, in base alla quale i cicli di fecondazione in vitro sono a carico di Stato e Regioni in quanto prestazioni sanitarie (non è un caso che se ne occupi il Ministro della Salute).
La Corte richiama, quindi, il principio che "in materia di pratica terapeutica la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali".

E la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo? Ha condannato l'Italia per il divieto di diagnosi genetica preimpianto (caso Costa e Pavan contro Italia) evidenziando l'illogicità di una regolamentazione che permette l'aborto eugenetico: se si può uccidere dopo, perché non farlo prima, con minor danno per la salute della donna?
All'epoca molti si scandalizzarono, rifiutandosi di ammettere che il quadro normativo è esattamente quello descritto: l'aborto eugenetico, in conseguenza di diagnosi prenatale sfavorevole, è sempre permessa dalla legge 194 del 1978, anche a gravidanza avanzata ed è permesso anche per i feti prodotti con la fecondazione artificiale, in forza della espressa previsione dell'art. 14, comma 1 della legge 40. Non solo: le statistiche ministeriali dimostrano che concretamente ogni anno qualche centinaia di embrioni prodotti con la FIVET, trasferiti nell'utero delle madri e che erano riusciti fortunosamente ad attecchire, dando luogo ad una gravidanza, sono stati abortiti volontariamente.

Chi ha scritto e fatto approvare la legge 40 sulla fecondazione artificiale ha fatto in modo – consapevolmente o meno – che quei "paletti" fossero destinati a cadere.

Fecondazione in vitro: tutto o niente.
Occorre chiarire l'ultima affermazione fatta.

Qui non stiamo parlando soltanto di un legislatore distratto oppure incapace tecnicamente o ancora in mala fede: si tratta di questione in qualche modo superata (tranne che per l'atteggiamento ancora attuale di coloro che spinsero per l'approvazione della legge 40, tesi a discolparsi, di cui abbiamo parlato).

Occorre piuttosto comprendere e prendere atto che la legalizzazione della fecondazione extracorporea porta inevitabilmente con sé la sovrapproduzione di embrioni, la loro selezione, la morte procurata o il congelamento della maggior parte di loro, la fecondazione eterologa.
La logica della fecondazione artificiale è così forte da non permettere una sua trasformazione in strumento buono da mettere a disposizione delle coppie di coniugi che non riescono ad avere figli: questa forza sta, forse, proprio nella sua artificialità (espressione che il legislatore della legge 40 ha provveduto a cancellare, nello stesso modo in cui erano state cancellate le parole "aborto", "concepito" e "figlio" dalla legge 194 del 1978 …) che altro non è che la natura antiumana delle tecniche (che, appunto, sono state create per gli animali).

Se accettiamo queste tecniche, le prendiamo nella loro totalità; dal punto di vista legislativo, il legislatore del 2004 lo aveva in parte già compreso, ad esempio ammettendo casi in cui il congelamento degli embrioni era possibile (un piccolo spiraglio utilizzato dalla Corte Costituzionale per permettere la sovrapproduzione degli embrioni): ma il discorso è generale.
Io non mi soffermo – non avendone la capacità – sulle motivazioni antropologiche, filosofiche e anche teologiche di questa affermazione: non vi è dubbio che la fecondazione in vitro è la sublimazione della scissione tra amore, sessualità e procreazione e le sue conseguenze possono essere spiegate – e lo sono state – partendo da questa visuale.
Mi limito qui a constatare – e invito tutti a farlo – un fatto: in tutto il mondo (ora anche in Italia, almeno in parte) la fecondazione in vitro porta con sé quanto abbiamo già descritto (strage di embrioni, eugenetica, eterologa) e molto, molto altro (basti pensare, tra i temi attuali, all'utero in affitto, con lo sfruttamento delle donne povere; e soprattutto, al quadro che mons. Crepaldi tratteggia, quello di un processo di eliminazione della natura e della natura umana che travolge l'uomo e trasforma le democrazie in regimi totalitari).


Nessuna conseguenza è positiva, nessuna.  

venerdì 29 agosto 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa. 4/ Dove sta il male? Il diritto al figlio e l'eugenetica

Dove sta il male? Il diritto al figlio
Conseguente a questa impostazione è un ulteriore atteggiamento: l'individuazione delle conseguenze negative – il "male" – nella fecondazione eterologa piuttosto che nella fecondazione in vitro nel suo complesso. Si tratta di un orientamento evidente e (a mio parere) parzialmente inconsapevole.
Sono utili due esempi, emersi proprio in questo periodo in cui è stata commentata la sentenza della Corte Costituzionale, dopo il deposito della motivazione.

Il primo riguarda l'esistenza di un "diritto al figlio". Anche mons. Crepaldi, nel suo intervento del 17/7/2014, definisce una "novità" l’enunciazione, nella sentenza della Consulta, di un “diritto al figlio”, osservando giustamente che "il “diritto al figlio”, rompe con la visione della persona umana come avente in sé una propria dignità. Si possono vantare diritti sulle cose, non sulle persone. La persona è un fine in sé e non può cadere sotto la proprietà di nessuno, come capiterebbe invece se il “diritto al figlio” diventasse patrimonio culturale condiviso e fosse addirittura completato da una legislazione conseguente. Principi simili erano finora stati teorizzati solo da regimi totalitari. Con il principio del “diritto al figlio” l’uomo si sentirà autorizzato a completare la manipolazione della vita e dell’essere umano già in fase avanzata di realizzazione".

In effetti, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 162, ha ribadito che "la scelta della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi", osservando che "la determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intime e tangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali".
 Non è un caso, però, che subito dopo la Consulta ricordi di avere in precedenza già sottolineato "come la legge n. 40 del 2004 sia appunto preordinata alla tutela delle esigenze della procreazione"; in un passo successivo riprende il tema del "dichiarato scopo della legge n. 40 del 2004 di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana", rilevando che "la preclusione assoluta di accesso alla PMA di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità, perché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla formazione di una famiglia con figli (…) è stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la ratio legis".

Traduciamo: la Corte Costituzionale non enuncia per la prima volta l'esistenza di un "diritto al figlio"; piuttosto prende atto che la legge 40 già riconosce il diritto al figlio ma lo nega irragionevolmente ad una categoria di coppie, fra l'altro quelle più sfortunate.
Ma è vero che è stata la legge 40 – cioè quella approvata su spinta del mondo cattolico e prolife ufficiale nel 2004 e difesa a spada tratta nel referendum del 2005 - a riconoscere alle coppie adulte (si aggiunga: nemmeno coniugate) un diritto soggettivo ad avere un figlio mediante il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale? La risposta è: assolutamente sì!
Non solo l'articolo 1, comma 1 della legge fa riferimento a "diritti di tutti i soggetti coinvolti", e quindi anche degli adulti, ma il fatto che, fin da subito, i giudici civili (i giudici dei diritti) abbiano provveduto sulle domande avanzate dalle coppie che aspiravano a ricorrere alla fecondazione artificiale dimostra che, appunto, esiste un diritto soggettivo pieno, che possiamo così enunciare: la coppia eterosessuale di maggiorenni, se non riesce a generare naturalmente un figlio (condizione in parte autocertificata) ha il diritto soggettivo di accedere alle tecniche di fecondazione artificiale, per buona parte a spese dello Stato, e di reiterare i tentativi (i "cicli") per un numero indeterminato di volte.

Se questa è l'enunciazione giuridica del diritto, una disposizione nascosta nell'art. 6 della legge, che tratta delle informazioni che la clinica deve fornire alla coppia richiedente prima di procedere con le tecniche, dimostra in concreto la sua esistenza. Tra le varie informazioni, infatti, si prevede che "alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento come alternativa alla procreazione medicalmente assistita".
Ecco che sbuca l'alternativa: quella tradizionale dell'accoglienza dei bambini abbandonati o provenienti da famiglie in difficoltà, atto generoso che, talvolta, permetteva anche alle coppie infertili di esprimere appieno l'amore e il desiderio di genitorialità.
Questa alternativa deve essere solo enunciata: ma i richiedenti potranno dire un netto "no!", rivendicando implicitamente il loro diritto ad un figlio proprio. Nessuna "pausa di riflessione" la legge impone, nessun invito ulteriore a ripensarci la clinica deve avanzare: il diritto soggettivo è pieno e indiscutibile.
L'accostamento tra adozione (o affidamento) e tecniche di fecondazione artificiale fa intravedere proprio il quadro che mons. Crepaldi tratteggia: ma, appunto, questo diritto soggettivo venne riconosciuto già nel 2004 e non lo ha affatto inventato la Corte Costituzionale con la sentenza sull'eterologa!
Non solo: questo diritto fu riconosciuto a coppie di soggetti che spesso non hanno nemmeno i requisiti che la legge sull'adozione prescrive: possono non essere sposati, possono stare insieme anche solo da un mese, nessuna valutazione del loro equilibrio e della loro situazione familiare viene svolta (e sappiamo come, al contrario, queste indagini siano rigorose per l'adozione dei minori abbandonati!).

Dove sta il male? L'eugenetica.
Quando il ministro Lorenzin ancora pensava di emanare un decreto legge, aveva posto il problema della scelta delle caratteristiche fisiche dei donatori di gameti e dei bambini generati con la fecondazione eterologa: la coppia richiedente potrebbe scegliere il colore della pelle del bambino? Ovviamente – ricordiamoci: stiamo parlando di soldi! – le cliniche e gli "esperti" sono insorti: è preferibile una "compatibilità" a tutela dello stesso bambino (sottinteso: se le coppie italiane capiscono che rischiano di avere un figlio proprio con la pelle di colore diverso, continuano ad andare a Barcellona e il nostro guadagno svanisce …).
Naturalmente, per gli interessati, "non si tratta di eugenetica", ma di un problema diverso: "tra il pool di donatori disponibili, i medici sceglieranno quelli con caratteristiche somatiche e di gruppo sanguigno il più compatibili possibili con quelle della coppia ricevente. Questo è l'orientamento diffusamente accettato a livello internazionale, inoltre faciliterà l’accettazione del nascituro da parte dei genitori e del contesto sociale in cui crescerà e vivrà, permettendo al bambino uno sviluppo psico-emotivo sereno ed equilibrato”. Inoltre, "in un contesto di globalizzazione come quello attuale in Italia – rileva Elisabetta Coccia, presidente di Cecos Italia, l’associazione che raggruppa i maggiori Centri italiani privati e convenzionati di fecondazione assistita – è giusto garantire tale principio della compatibilità anche alle coppie appartenenti ad altre etnie e residenti nel nostro paese": quindi, garantiamo ai cinesi che vivono in Italia bambini di etnia cinese e così via!

L'ipocrisia di certi soggetti davvero non ha limiti. Tuttavia sarebbe del tutto errato ritenere che il problema della eugenetica sia legato solo alla fecondazione eterologa: al contrario, esso è insito nelle tecniche di fecondazione in vitro; basta ricordare che esse sono state sviluppate in ambito zootecnico per il miglioramento della razza degli animali!
Ricordiamo quanto esclamò Jerome Lejeune sulla questione: "vorrei vedere in faccia quel fecondatore disposto a consegnare un bambino handicappato!". La "produzione" dell'uomo su domanda (e a pagamento) presuppone un "controllo di qualità" del prodotto e quindi richiede la selezione dello stesso e l'eliminazione dei prodotti difettosi.
Non occorre davvero soffermarci oltre su questa questione: non è affatto un caso che – già prima della sentenza della Corte Costituzionale sull'eterologa – la precedente pronuncia sul numero di embrioni e le pronunce dei giudici di merito e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo avessero reintrodotto quel meccanismo di produzione del numero massimo di embrioni e di loro selezione, mediante la diagnosi genetica preimpianto, finalizzato esplicitamente all'eliminazione degli embrioni "imperfetti".

Eppure Francesco Agnoli, pochi giorni fa, ha sostenuto che "l'eugenetica è nel cuore stesso dell'eterologa". Perché? "Per almeno due motivi. Il primo: l’eterologa è figlia del “trasferimento della procreazione dalla casa al laboratorio” (Leon Kass) e della trasformazione del figlio in prodotto, manifattura La seconda: l’eterologa è figlia del mercato (quello che Marzano, Rodotà, Tesauro, centri privati di Fiv, Associazione Coscioni … non vogliono assolutamente normare, non scorgendo alcuna differenza, forse, tra mercato di cose e mercato di persone). Se il figlio diventa un prodotto, un oggetto “fabbricabile”, inevitabilmente questo genererà il desiderio di figli “perfetti”, su misura, su ordinazione, secondo criteri prestabiliti da chi è disposto a pagare; la conseguenza inevitabile sarà il crearsi, di fronte a questa domanda, di una offerta sempre più artificiosa e rinnovata. In un ciclo perverso in cui sogni eugenetici dei potenziali genitori, anche fertili, genereranno risposte sempre più fantasiose; nello stesso tempo, offerte del mercato sempre più intriganti, genereranno negli acquirenti aspirazioni ancora più disumane. Il figlio, insomma, come un cellulare: c’è sempre desiderio di un nuovo modello, che sostituisca l’antico, e necessità di un nuovo modello, che ingrassi e rilanci il mercato. Che l’eterologa, tanto più senza alcuna norma che la regoli almeno in parte, generi eugenetica e mercato della vita è dimostrabile in mille modi."

Ma, appunto, i due motivi indicati da Francesco Agnoli riguardano non l'eterologa, ma la fecondazione in vitro nel suo complesso: quella che la legge 40 ha affermato essere un diritto degli adulti. 

mercoledì 27 agosto 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa. 3/ Le ragioni del dibattito sull'approvazione di una legge. La scelta fatta nel 2004.

Verrebbe da dire: per fortuna che la telenovela è durata poco! Visto che il quadro che è emerso a partire da Ferragosto è chiaro e limpido, forse potremo davvero iniziare a pensare a cosa fare …

Cerchiamo, però, di trarre qualche considerazione da questo dibattito che, per la maggior parte, si è svolto all'interno del mondo cattolico e prolife, come si è visto senza alcuna efficacia reale.
Perché questa immediata e reiterata richiesta di una legge, accompagnata alla pretesa di sospendere gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale? Perché questo ritorno alle discussioni sull'Evangelium Vitae?

Reazioni del genere non vennero né in occasione della prima sentenza della Corte Costituzionale (la n. 151 del 2009, che eliminò il numero massimo di embrioni producibili per ogni ciclo, che la legge fissava in tre), né quando i giudici ordinari stabilirono ripetutamente che la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni prodotti era consentita dalla legge, né, ancora, quando l'allora Ministro della Salute Livia Turco modificò le Linee Guida consentendo anche la "diagnosi non osservazionale" sugli embrioni prodotti (cioè la diagnosi genetica preimpianto) ed equiparando alla sterilità di coppia l'essere l'uomo affetto da HIV (introducendo il principio che una coppia è sterile, e può quindi fare ricorso alla fecondazione artificiale, non solo se lo è oggettivamente, ma anche se uno dei componenti può trasmettere una malattia al partner o al figlio).
Erano tutti casi in cui il legislatore avrebbe potuto intervenire autorevolmente, per chiarire con un'interpretazione autentica la scelta manifestata all'epoca dell'approvazione della legge 40: eppure nessun tentativo venne fatto.

Il fatto è che la reazione veemente all'eliminazione del divieto di fecondazione eterologa è perfettamente coerente – si potrebbe dire: è un riflesso condizionato – alla scelta fatta per ottenere l'approvazione della legge 40: autorizzare la fecondazione in vitro omologa e vietare quella eterologa.
Tale scelta – come era stato ripetutamente sottolineato da coloro che successivamente fondarono il Comitato Verità e Vita – comportava consentire espressamente (meglio: riconoscere il diritto soggettivo ai richiedenti) e finanziare con i soldi dello Stato una pratica che determinava la creazione per la morte certa di innumerevoli embrioni (9 su dieci, 15 su venti: le statistiche sono impressionanti). Si inventò anche una giustificazione postuma: gli embrioni, una volta prodotti artificialmente, sono affidati alla natura e quindi essi muoiono naturalmente e non per mano dell'uomo, equiparando la loro strage al fenomeno degli aborti spontanei.
In sostanza: si preferì sorvolare sulla palese violazione del diritto alla vita degli embrioni prodotti derivante dalla fecondazione in vitro nonché sulla altrettanto palese violazione della loro dignità – che l'essere prodotti fa venire inevitabilmente meno – per soffermarsi su altre priorità, che sono quelle che ora riemergono. In sintesi quelle priorità potevano riassumersi – e furono riassunte durante la campagna per il referendum – nella difesa della famiglia e del diritto del figlio ad una famiglia.
Il diritto alla vita dell'embrione venne sancito rispetto a pratiche particolari sugli embrioni prodotti (sperimentazione, congelamento – che venne peraltro esplicitamente consentito – soppressione volontaria) ma rinunciando alla sua tutela a monte (divieto di produrre uomini artificialmente destinati con certezza a morire nella quasi totalità).

Sia ben chiaro: la linea ufficiale è ancora questa: l'iniziativa Uno di Noi mira a tutelare gli embrioni già prodotti e sopravvissuti e quindi presuppone la liceità della fecondazione in vitro e, quindi, la morte "spontanea" della maggioranza di essi; ancora una volta, viene riproposta implicitamente la distinzione tra soppressione volontaria dell'embrione e sua morte "naturale".

lunedì 25 agosto 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa. 2/ La fine della telenovela

Come dicevo all'inizio: mi sbaglierò, ma la telenovela si avvia alla conclusione. Dopo avere rinunciato al decreto legge preannunciato, il ministro Lorenzin - da abile politico, assai sensibile all'aria che tira – nell'intervista al Corriere della Sera del 17 agosto si è sostanzialmente "sfilata" dalla vicenda.
Il ministro ha confermato quanto pochi giorni dopo il Tribunale di Bologna (è scontato che seguiranno altri provvedimenti analoghi) avrebbe affermato: "Le Regioni possono autorizzare i loro centri ad operare, ma io auspico che attendano il varo di una legge nazionale". L'effettivo contenuto della frase è nella prima parte: la fecondazione eterologa si può fare subito; gli "auspici" di un ministro non hanno alcuna efficacia giuridica.
Il ministro ha ribadito questo punto: "Le Regioni possono autorizzare i Centri per la procreazione assistita ad operare secondo criteri che stabiliscono in autonomia". Esattamente l'opposto di quanto aveva a sua volta auspicato, pochi giorni prima, Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita e autore della legge 40: "A Regioni e strutture ospedaliere si dovrà impedire di aggirare lo stand-by e di muoversi come se fossero corpi autonomi ed indipendenti. E a strutture private, ansiose di aprire un nuovo e ricco mercato si dovrà insegnare la pazienza non solo con predicozzi paternalistici ma con l'autorità e i mezzi di uno Stato che non abdica al dovere di indicare, per il bene dei cittadini nati o non ancora nati, il confine tra lecito ed illecito". Ecco: la parola abdicazione ben si presta alla posizione presa dal Ministro.

Ma a cosa servirebbe la legge? Secondo il ministro "a rendere sicura l'eterologa", non certo a limitarla; d'altro canto è pacifico per la Lorenzin che "l'eterologa deve essere inserita nei Livelli essenziali di assistenza, gratuita o con ticket. Per questo ci sono già dieci milioni di euro a disposizione. L'eterologa deve essere resa accessibile a persone che non hanno la possibilità economica per interventi che all'estero costano fra i 3.500 e i 20 mila dollari".

Insomma: il cerino resta in mano all'on. Roccella, visto che il premier Renzi (altro politico assai sensibile all'aria che tira) ha ritenuto che "trattandosi di temi etici, era meglio lasciare il tema al Parlamento".
Pur non essendo esperto di equilibri parlamentari, mi sembra evidente che nessuna legge sarà approvata: l'indicazione del gennaio 2015 per l'approvazione da parte del Ministro è un altro auspicio, ma (ben felice di essere smentito) la realtà è che la discussione parlamentare non partirà nemmeno. Aspettiamo, comunque, il testo della proposta e vedremo come finirà …
Fra l'altro, nemmeno nel mondo prolife sembra esservi consenso su tutto il contenuto della legge da approvare: cosa penserà l'on. Roccella della proposta dello stesso Carlo Casini (avanzata "per conservare nel massimo possibile la logica dell'articolo 1 della legge 40 che fissa il diritto del figlio"): "prevedere l'utilizzo degli embrioni abbandonati e conservati nell'azoto liquido già ora inseriti nell'apposito registro nazionale"?

Sta per avverarsi, quindi – e si è già concretizzata con le ordinanze del Tribunale di Bologna del 14 agosto scorso – quanto paventato dallo stesso Casini, che avrebbe voluto "evitare che si realizzi il copione che abbiamo già visto in altre occasioni: costruire situazioni di fatto che le leggi, a posteriori, non possono che riconoscere e normalizzare".

In realtà, siamo già molto più avanti: il ricorso alla fecondazione eterologa è già un diritto soggettivo pieno delle coppie, diritto che, non a caso, consente di ottenere provvedimenti dei giudici civili che ordinano la sua esecuzione su richiesta. Non esiste un vuoto normativo talmente ampio da non permettere l'esecuzione della fecondazione eterologa: lo ha detto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 162 e lo ha ribadito il Tribunale di Bologna. 

venerdì 22 agosto 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa. 1/ La fine della telenovela

Con la fine dell'estate, sta giungendo alla conclusione la telenovela che ha appassionato parte del mondo cattolico ufficiale e prolife: non ci sarà nessuna legge per regolamentare e limitare il ricorso alla fecondazione eterologa, tornata lecita a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014.

La volontà di approvare una legge era stata manifestata fin dal 9 aprile, quando la Consulta aveva reso nota la sua decisione: di legge aveva subito parlato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, mentre la deputata Eugenia Roccella aveva preannunciato la presentazione di una proposta di legge (che, al momento per quanto emerge dal sito della Camera dei Deputati, non risulta ancora presentata). In una lettera ai colleghi deputati, l'on. Roccella aveva individuato alcune questioni sulle quali la sentenza della Corte aveva creato un "vuoto legislativo" che rendeva necessario un intervento legislativo, non essendo sufficienti provvedimenti amministrativi e nemmeno modifiche delle Linee Guida previste dalla legge 40.
Il ministro Lorenzin, da parte sua, in una audizione in Commissione, aveva addirittura fatto riferimento ad un decreto legge in via di approvazione, tanto da suscitare la rituale e scandalizzata reazione dei soggetti direttamente interessati – il riferimento è al business della fecondazione eterologa, quindi al denaro che, fino a questo momento, veniva speso all'estero e che la sentenza di incostituzionalità permette di far tornare in Italia.

L'on. Roccella veniva quindi assurta ad eroica rappresentante di chi, in qualche modo, voleva fermare la deriva conseguente alla sentenza costituzionale.
Francesco Agnoli, il 20 giugno, dopo avere richiamato l'Evangelium Vitae al n. 73, individuava, tra gli altri, due "paletti" significativi che la futura legge avrebbe potuto piantare: l'obbligo di gratuità della donazione dei gameti e il divieto di anonimato dei donatori; e osservava: "Se passasse la sua (dell'on. Roccella) legge nessuna donna o uomo potrebbe vendere ovuli o seme a pagamento. Il risultato? Su 100 possibili banche del seme e degli ovuli ne chiuderebbero almeno 90. Il business dell'eterologa subirebbe un duro colpo e migliaia e migliaia di bambini programmati orfani di almeno un genitore genetico sarebbero evitati (…)   A questo si aggiunga il divieto di anonimato. Se oggi un uomo può vendere il suo seme anche per 100 volte, domani con la legge proposta da Roccella, non solo non potrebbe venderlo, ma dovrebbe regalarlo; in più dovrebbe registrare il suo nome e rischiare, come succede in vari paesi, di trovarsi domani sotto casa un ragazzo/a di 18 anni che gli dice: "tu sei mio padre! Fuori l'eredità" (in tutti i paesi in cui l'anonimato è stato tolto, la caccia ai propri genitori da parte dei figli dell'eterologa è cresciuta e questo ha ridotto di gran lunga il ricorso alla pratica). Risultato dei due paletti introdotti da una siffatta legge? Riduzione quasi totale della fattibilità dell'eterologa. Riduzione drastica dei bambini prodotti con tecniche artificiali eterologhe".
Agnoli tirava le conclusioni: "Riduzione del danno da Corte Costituzionale al massimo grado possibile nella circostanza attuale. Un parlamentare che sappia quanto male fa l'eterologa, che sappia di non avere in mano alcuna possibilità di mutare una imposizione della Corte e che cerchi di arginare il male il più possibile cosa fa? Il suo mestiere, il suo dovere. Un dovere che oggi, però, è quasi eroico. Per questo non si può che essere grati a chi lo fa".
A parte l'eroismo e la gratitudine, che suscitano qualche perplessità – perché dovremmo essere grati ad un parlamentare che fa il suo dovere … sembra il minimo che si possa pretendere! Un parlamentare di minoranza che propone leggi, poi, non sembra eroico, ma, appunto, appartenente ad una minoranza … - Agnoli sembra ignorare che la legge 40 (come ha puntualmente ricordato la Corte Costituzionale) ha preventivamente reso impossibile la scenetta del ragazzo che si presenta al padre naturale per reclamare soldi, sancendo che "in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi" (art. 9, comma 3); ciò in quanto, come recita l'art. 8, "i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime".
Le banche del seme, poi, sono già vietate dalla legge 40, né la sentenza della Corte Costituzionale ha eliminato il divieto di commercializzazione dei gameti sanzionato penalmente dall'art. 12, comma 6: quindi nessuna banca del seme aprirà in Italia dopo la sentenza della Corte e sarebbe costretta a chiudere dalla legge che l'on. Roccella intende proporre.

Abbiamo accennato al richiamo al n. 73 dell'Evangelium Vitae, che sembrava un passaggio inevitabile: e così padre Giorgio Carbone e Tommaso Scandroglio si sono confrontati sulla doverosità della azione diretta a limitare i danni, sostenendo il primo che "limitare i danni è un dovere" e il secondo che "si deve perseguire il bene, non l'utile".
Mons. Giampaolo Crepaldi, nel suo intervento del 17 luglio, ha specificato, sul punto che "Governo e Parlamento devono prendere in mano l’intera questione della fecondazione eterologa dopo la sentenza della Corte costituzionale, come si evince, tra l’altro, da alcuni passaggi della stessa motivazione della Corte e da alcuni obblighi che derivano dall’Unione europea. Se l’obiettivo finale di tale impegno deve essere il divieto legislativo di ogni tipo di fecondazione artificiale, sia omologa che eterologa, a fronte della situazione venutasi a creare è opportuno far tesoro di quanto insegnato dall'enciclica Evangelium vitae di San Giovanni Paolo II, che giustifica le iniziative intraprese per ridurre gli effetti negativi sul piano pratico. 
Come afferma il paragrafo 73 dell’enciclica, infatti, quando sia pubblicamente nota l’opposizione del parlamentare ad una legge, sia nel suo spirito che nella sua lettera, e garantito l’impegno personale a lottare contro i suoi presupposti culturali e i sui contenuti materiali, egli può dare il suo assenso ad una legge che, pur non essendo soddisfacente in quanto ancora impregnata di elementi eticamente non giustificabili, riduca gli effetti negativi di una legge precedente. Questo è il contesto dottrinale e pratico che motiva in questo momento un impegno in Parlamento contro la fecondazione eterologa anche nella forma di approvazione di leggi che ne riducano sul piano pratico gli effetti negativi. 

Nonostante le diversità culturali delle forze politiche e nonostante molte di esse abbiano espresso una posizione consenziente rispetto ad alcuni aspetti della deriva in atto, è possibile ed auspicabile, con la buona volontà di tutti e con l’uso del buon senso, intervenire con una legislazione correttiva e di contenimento, in attesa che l’impegno generale per una rinnovata responsabilità politica renda possibile in futuro una legge giusta in materia e senza minimamente diminuire – anzi! – l’impegno nel Paese perché questo avvenga". 

Giacomo Rocchi

lunedì 28 luglio 2014

Il post eterologa

Elisabetta Frezza interviene nel dibattito sorto nel mondo cattolico e in quello pro life dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa presente nella legge 40 del 2004. 
Senza dubbio, cadendo quel "paletto" ha fatto rumore: ha, infatti, colpito al cuore la scelta che lo stesso mondo cattolico e prolife ufficiale fece per giungere all'approvazione della legge, vale a dire permettere la fecondazione in vitro omologa e vietare solo quella eterologa. 
Se quel "paletto" era importante e simbolico, conviene fermarsi a riflettere un attimo, senza reagire meccanicamente in conseguenza della "sindrome del paletto" che pare piuttosto diffusa. 
Aspettiamo altri contributi. 

Giacomo Rocchi


1. LA REAZIONE DEL MONDO PRO LIFE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Nel leggere i vari commenti alla sentenza della Corte Costituzionale 162/2014 - che ha legalizzato la fecondazione eterologa abbattendo il divieto originariamente previsto dalla legge 40 - mi sono sorte spontanee alcune riflessioni.
Si fa un gran discutere, all'interno del fronte pro life, sulla opportunità di un intervento legislativo orientato a "limitare i danni", immani, derivabili dalla situazione normativa venutasi a creare a seguito dell'ultima declaratoria parziale di incostituzionalità della legge sulla procreazione medicalmente assistita. La più parte dei commentatori giudica favorevolmente le proposte in tal senso e si spinge sino a ipotizzarne il tenore. Pur manifestando, taluno, qualche scrupolo di opportunità. Soltanto Tommaso Scandroglio si dichiara sulla Bussola recisamente contrario a iniziative siffatte e motiva con dovizia di argomentazioni la propria posizione "oltranzista".
Premetto che nella sostanza concordo convintamente con lui, ritenendo che qualsiasi tentativo di temperamento normativo della pratica ora liberalizzata sia, in realtà, foriero di danni ben maggiori.

2. IL RICHIAMO AL PARAGRAFO 73 DELL'EVANGELIUM VITAE
Come sempre, l'appiglio magisteriale su cui si pretende di fare leva per giustificare questo genere di interventi lenitivi è quel paragrafo 73 dell'Evangelium Vitae che è diventato inopinatamente la bandiera di ogni impresa politica compromissoria in tema di principii non negoziabili, e - a tal fine - oggetto di una strumentale inversione logica del rapporto da regola a eccezione nell'ambito del contesto "normativo" in cui si inquadra.
Il dettato del 73 è formulato quale espressa riserva rispetto al principio generale stabilito nella enciclica: il principio, cioè, per cui i temi legati alla vita umana devono per loro natura essere sottratti alla negoziazione politica perché non suscettibili di subire compromessi. Tutti i paragrafi antecedenti e successivi del documento, infatti, sono improntati sul criterio della inderogabilità della legge morale naturale e della legge divina fondamentale. 
La stessa istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede, di alcuni anni successiva all'enciclica, ribadisce questo concetto cardine e contribuisce a spiegare il portato della riserva ex 73 E.V. con una sorta di interpretazione autentica: "la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti".
Ponendosi in evidente contraddizione con il quadro complessivo di riferimento, pare logico che la disposizione del 73 sia stata escogitata per casi del tutto particolari: che la sua applicazione vada quindi calibrata sulla singola fattispecie e implichi un vaglio circostanziato sulle caratteristiche del caso concreto, in nessun modo potendo comunque, da essa, discendere un principio guida.
Agli antipodi dell'interpretazione (sistematica) restrittiva che qui si sostiene, si pone quella di chi - come fa padre Giorgio Carbone sempre sulla Bussola - pretende di leggere nel 73 cit. nientemeno che il "principio etico generale" consistente nel dovere di agire per contenere i danni a terzi indifesi (disattendendo il quale dovere ci si renderebbe colpevoli per omissione).
Per concludere sul punto, nell'opinione di chi scrive il 73 E.V., usato e abusato quale fondamento legittimante la sempreverde teoria del male minore nelle sue contingenti articolazioni (rivelatesi peraltro tutte fallimentari all'atto pratico) va ricondotto nell'alveo che gli compete: quello, circoscritto, di eccezione alla regola generale e astratta, armonizzata quest'ultima con la Legge Divina e con la Tradizione della Chiesa.

3. LA "SINDROME DEL PALETTO"
Ciò premesso, e per tornare alla questione iniziale, è necessario allargare il più possibile la visuale per cogliere della situazione attuale, oltre agli aspetti "tecnici", l'enormità umana.
Il rischio sempre in agguato in casa pro life, infatti, è quello di perdere di vista la realtà con tutto il suo carico di vite distrutte, per lasciarsi troppo facilmente imbrigliare in un meccanismo speculativo ormai semi-automatico: un vero e proprio riflesso condizionato ad alzare le mani e disporsi sulla difensiva ogni volta che la fervida cultura della morte avanza di un passo. In attesa di battere in ritirata. Un fenomeno, questo, tanto sociologicamente interessante, quanto culturalmente devastante.
Ci si chiede come sia possibile che, il giorno dopo l'abbattimento dell'ennesimo paletto ad opera del giudice costituzionale (alacre legislatore di sostegno), tutti si affannino forsennatamente a fabbricare nuovi paletti e a pensare dove piantarli.
La sindrome del paletto, evidentemente molto contagiosa, colpisce con sempre maggiore anticipo. Nemmeno il tempo di accusare il colpo dell'avversario, che il bravo cattolico si lancia in ardite fughe in avanti, convinto di realizzare un astuto programma di prevenzione al peggio.
È così che, di fronte al supermarket legalizzato di creature innocenti, di fronte a bambini prodotti, selezionati, congelati, scambiati, scartati, ci si mette a discutere senza colpo ferire di etichette sulle provette di sperma (divieto di anonimato), di tetto massimo di cessioni di gameti per ogni donatore (5? 10? Una via di mezzo?), di retribuibilità o meno del materiale genetico (obbligo di gratuità) e di altre - si fa per dire - "amenità".

4. COME AGIRE PER COMBATTERE IL MALE?
Ecco. Al di là anche del doveroso approfondimento delle ragioni morali per le quali non si può mai collaborare al male, nemmeno quando si intende perseguire il bene (e Scandroglio dipana la questione e la spiega con chiarezza), la dissonanza tra la strategia del pompiere - che si prodiga a sopire qualche tizzone - e la enormità della posta in gioco emerge, anzitutto, in via intuitiva.

L'immettersi, con subitaneo spirito di adattamento, nella logica perversa di un apparato normativo intrinsecamente iniquo non può non generare un danno culturale enorme. Perché dimostra senza tema di smentita che si è disposti ad entrare nell'ingranaggio della produzione di esseri umani in laboratorio e, quindi, della loro reificazione e mercificazione. Si favorisce così l'assuefazione delle coscienze, già abbondantemente suggestionate, a una mostruosità conclamata. 
Vero è che, per salvare la faccia, e sempre in omaggio al 73, si continua a emettere, sulla carta, qualche rantolo contro la fecondazione tout court, anche omologa: ma, a fronte dell'attivismo interventista messo in campo in contemporanea, esso non può che ridursi a mero flatus vocis.
Non va trascurato poi che, con l'eterologa, si è oramai giunti ad una fase assai avanzata del viaggio prometeico dell'uomo onnipotente. E quindi: contrattando limiti convenzionali a quest'ultima specie di produzione umana, si accetta, per tacita acquiescenza, il genere cui essa appartiene: si consacra definitivamente la fabbricazione di esseri umani in laboratorio. La discussione si sposta sui soli epigoni di una pratica che è in toto antiumana.

5. LA NECESSITA' DI DENUNCIARE LA LEGGE CHE PERMETTE LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Il fatto è proprio questo. 
La progressiva liberalizzazione della fecondazione artificiale è la logica, naturale, prevista e prevedibile conseguenza della sua legalizzazione. Il vizio sta alla radice, è insito nella legge 40. È solo combattendo quello, col tenere vigili le coscienze anche approfittando dello scenario sconvolgente che ci si para ora davanti, che si può avere qualche speranza nel tempo di risalire la corrente.

Ora, è comprensibile che chi questa legge ha prima concepito e poi partorito stenti a riconoscerne la mostruosità. Già più difficile capire come possa definirla a tutt'oggi un capolavoro. Ma tant'è.
Resta invece inspiegabile come chi non ne abbia la paternità non veda come anche l'ultima pronuncia della Corte Costituzionale (un saggio di analfabetismo giuridico di ritorno, tutto volto a recepire il conformismo popolare) non costituisca affatto un cambio di rotta, ma sia conforme e consequenziale alla ratio della normativa già in vigore e al suo spirito progressivo.
Certo, con l'eterologa si apre la strada alla perdita totale della identità, delle radici, della memoria di queste schiere di nati dal nulla. Ci si trova di fronte, d'improvviso, ad aberrazioni inedite quanto eclatanti: a proliferazioni di figure lato sensu genitoriali, a scambi intergenerazionali, a combinazioni incestuose.

Dinanzi a questo passaggio ulteriore nel senso dell'orrore legalizzato cosa è giusto che facciano i pro life?
Che si industrino a fabbricare ridicoli paletti, servendo così alla gente un efficace digestivo per inghiottire i rospi più grossi, o che - al contrario - gridino alla follia, ne spieghino la genesi, se ne chiamino fuori e inducano a fare altrettanto?
La nuova modalità di produrre la vita, e manipolarla, negli alambicchi di chi si atteggia a medico ma pratica di fatto l'antico mestiere dello stregone, e poi di comprarla e venderla al supermercato, merita solo ed esclusivamente di essere denunciata e combattuta con tutte le forze a disposizione.
Anche e soprattutto se coperta dal crisma della legalità.
Questo il compito del difensore della vita.

Sulla figura del pro life mimetico, colpito dal tarlo vorace del positivismo, grava la responsabilità di confondere le acque e contribuire ad abbassare le difese naturali di una società già deprivata dei retti criteri di giudizio. Magari con l'aggravante di presentarsi sotto l'egida, sempre rassicurante, del cattolicesimo: un cattolicesimo divenuto nel frattempo - per analogo fenomeno mimetico – sempre meno cattolico e sempre più terribilmente mondano.


Elisabetta Frezza