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sabato 28 luglio 2012

PAROLE: EUTANASIA /1

“L’eutanasia non c’entra un fico secco. Ed è un reato. Ma volete che i magistrati della Cassazione ci abbiano autorizzato ad uccidere? Questo continuo ribaltare le cose non giova a nessuno e dovrebbe fare ribrezzo a chi lo pratica”.


Così Beppino Englaro liquida (Il Venerdì di Repubblica, 27/7/2012) la domanda che l’intervistatore, nel fare riferimento alla morte della figlia Eluana, gli pone, riferendo che “alcuni polemisti parlano di eutanasia”.
Il cattivo maestro, che consapevolmente ha deciso di trasferire la decisione sulla vita di sua figlia “nella società”, merita di essere letto, per capire cosa davvero è avvenuto e cosa potrebbe avvenire.
Englaro richiama, senza spiegarlo, un concetto di “eutanasia”, che giudica una pratica cattiva (“è un reato”; detto da colui che si è rivolto ai giudici è sicuramente un giudizio negativo); non lo chiarisce, ma sostiene che ciò che ha fatto è una cosa tutta diversa.
Che si tratti di mistificazione, si comprende dalla pretesa di falsificare la realtà, accompagnata – ovviamente – dall’accusa agli altri di “ribaltare le cose”: infatti, secondo Beppino Englaro, i giudici della Cassazione “non l’hanno autorizzato ad uccidere” la figlia.

Diamo per scontato che il riferimento sia al complesso delle decisioni della Cassazione e della Corte d’appello di Milano (furono i giudici di Milano ad autorizzare l’Englaro a procedere, in attuazione della precedente sentenza della Cassazione), e domandiamoci: cosa hanno autorizzato i giudici? La risposta – è banale, ma le cose vere devono essere ricordate e ribadite – passa attraverso alcuni gradini.

Eluana Englaro era viva? Si.
Stava per morire per una malattia progressiva e incurabile e giunta alla fase terminale? No.
Era in grado di nutrirsi, dissetarsi e curarsi da sola? No.
C’era chi la nutriva, la dissetava, la curava? Si.
Beppino Englaro è stato autorizzato a sospendere nutrizione, idratazione e cure? Si.
I giudici avevano permesso ad altri di nutrirla, dissetarla e curarla? No.
Un uomo o una donna, in qualunque condizione si trovi, può sopravvivere senza nutrizione e idratazione? No.

E allora: come vogliamo chiamare l’autorizzazione data dalla Corte di Milano a Beppino Englaro? Vogliamo dire che i giudici hanno autorizzato il tutore a sospendere nutrizione e idratazione ad una disabile che non era in grado di nutrirsi e idratarsi da sola, permettendogli, altresì, di impedire ad altri di farlo, e ciò fino a quando fosse sopraggiunta la morte della figlia?
Diciamo pure così: ma se una persona ha in custodia un neonato o un disabile grave, lo chiude in una stanza che chiude a chiave e il neonato o il disabile muore, cosa ha fatto la persona che lo aveva in custodia? Lo ha ucciso.

I Giudici hanno autorizzato Beppino Englaro ad uccidere sua figlia e Beppino Englaro l’ha uccisa.
Partiamo dalla realtà dei fatti.

Ma l’uomo che è stato autorizzato, su sua richiesta, ad uccidere sua figlia, e che ha utilizzato questa autorizzazione, non è soddisfatto; come tutti sapevano avrebbe fatto, la butta in politica (anche spicciola: non è puntuale l’attacco al governatore della Lombardia?) per fare “una sorta di rivoluzione”: contrappone “inviolabilità della persona” alla “indisponibilità della vita”, spingendosi ad affermare che sulla persona della figlia “si sono accaniti oltre ogni decenza”, ma rifiutando di rispondere all’affermazione che la morte di Eluana Englaro sia avvenuta “di fame e di sete” (“Ma quale fame, e quale sete … Non sanno di cosa stanno parlando”: di che è morta, sig. Englaro, sua figlia?).

Si arriva, quindi, all’eutanasia. Comprendiamo che la legalizzazione di ciò che ha fatto Beppino Englaro e che vorrebbero fare i suoi epigoni passerà attraverso la criminalizzazione di una pratica, sostenendo che l’uccisione delle persone è cosa diversa.
Vedremo, allora, se davvero quella dell’Englaro è stata eutanasia e se è possibile distinguere tra le varie uccisioni delle persone.

Giacomo Rocchi

martedì 9 agosto 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/3



Per giungere alla eutanasia legale è decisivo cambiare il ruolo dei medici: togliere loro iniziativa, libertà e responsabilità e trasformarli in esecutori degli ordini e dei divieti altrui. Abbiamo già visto come il divieto di accanimento terapeutico sia un'arma minacciosa (anche di tipo legale) verso i medici volenterosi. Vediamo ora in che modo il progetto di legge stravolga il rapporto medico - paziente.



Il progetto afferma un principio: “La presente legge … riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dal consenso informato nei termini di cui all’art. 2 …” (articolo 1 lettera e). L’articolo 2 stabilisce che “salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente …” e aggiunge che “il consenso informato al trattamento sanitario può essere sempre revocato, anche parzialmente”.


Quali conseguenze? Ogni trattamento sanitario erogato contro o senza il consenso del paziente sarà illegittimo.

Il medico, cioè, non solo non potrà superare il rifiuto del paziente verso certe terapie, ma non potrà attivarsi ed agire in tutti i casi in cui, in precedenza, l’interessato non avrà manifestato esplicitamente il suo consenso (nel testo approvato al Senato addirittura si imponeva la forma scritta del consenso).

Gli esempi potrebbero essere innumerevoli: il medico agisce e cura perché ha la fiducia del paziente, e quindi agisce al meglio secondo la sua coscienza e la sua professionalità.


In questo modo viene cambiata radicalmente la natura del rapporto medico – paziente e, in definitiva, viene stravolto il fondamento stesso dell’agire dei medici: non più professionisti che tutelano la salute dei loro pazienti, che si affidano a loro sulla base di un comune obbiettivo, e che svolgono una funzione pubblica (lo dice l’articolo 32 della Costituzione: la salute degli individui è “interesse della collettività”); piuttosto soggetti che agiscono “a comando”: fanno ciò che il paziente chiede, non fanno ciò che il paziente non chiede o rifiuta.
E così, la norma che permette in ogni tempo la revoca del consenso comporta l’obbligo del medico di interrompere terapie – anche se utili – sulla base della sola richiesta del paziente.

Si tratta di una mutazione dell’arte medica che è già in atto da tempo ma che, con queste norme, diventa regola dell’ordinamento giuridico. I medici che agiscono su richiesta del "paziente" li conosciamo già nell'aborto volontario (essi uccidono un innocente su semplice richiesta della donna con l'alibi di scongiurare un "pericolo per la salute psichica"); e anche nella fecondazione in vitro, dove i tecnici producono, selezionano, congelano, sopprimono essere umani senza curare alcuna patologia, ma fregiandosi dell’essere le tecniche “medicalmente assistite”.
Nel campo dell'eutanasia, in Italia, abbiamo conosciuto Mario Riccio, colui che uccise a sua richiesta Piergiorgio Welby: fu prosciolto perché, si sostenne, aveva l'obbligo di interrompere la terapia in quanto il paziente aveva revocato il consenso; e abbiamo conosciuto i sanitari che - attuando le disposizioni del padre Beppino - hanno fatto morire Eluana Englaro: la sentenza che dava al tutore il potere di decidere la morte dell'interdetta affermava solennemente che il consenso informato è “fondamento di legittimazione dell’attività medica”.



In definitiva: si toglie ogni libertà di azione ai medici volenterosi e si spinge la classe medica a “lavarsi le mani” di fronte ai problemi (“non ha dato/ha revocato il consenso: se muore non è colpa mia, non ci posso fare nulla”); si favorisce, fra l’altro, l’azione di quei medici fin troppo abili ad orientare le decisioni del paziente nella direzione da essi voluta.

Si trattava di una soluzione obbligata? Niente affatto: la Costituzione, infatti, stabilisce solo che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”: quindi impedisce trattamenti in caso di rifiuto espresso del paziente (salvo imporli per esigenze di salute pubblica), ma non richiede affatto che tutti i trattamenti sanitari siano preceduti da un consenso espresso.

Il progetto prevede un’unica eccezione molto ristretta (oltre ai trattamenti sanitari obbligatori per problemi di malattia mentale): il consenso non è richiesto “quando ci si trovi in una situazione di emergenza, nella quale si configuri una situazione di rischio attuale e immediato per la vita del paziente” (articolo 2 comma 9); in sostanza, il medico dell’ambulanza che interviene per un incidente stradale (o casi simili) e trova persone incoscienti in pericolo di vita potrà (e dovrà) agire per salvargli la vita (verrebbe da dire: ci mancherebbe altro…).
Ma in tutti gli altri casi i medici non potranno agire in alcun modo senza avere acquisito in precedenza un consenso espresso e dovranno interrompere le terapie se il consenso sarà revocato (potranno essere interrotte anche le terapie iniziate dal medico dell’ambulanza di cui abbiamo parlato …).

Il consenso dovrà venire dal paziente; ma, se è minorenne o incapace, dai suoi rappresentanti legali: e su quest’ultimo inciso si potrà comprendere la effettiva portata della nuova legge.


Medici che devono obbedire alla volontà del paziente (anche se va contro il suo interesse e la buona pratica medica); tutori o genitori che possono pronunciarsi per conto di interdetti o minori: ci stiamo avvicinando al Caso Englaro ... lo vedremo nel prossimo post.


Giacomo Rocchi

venerdì 15 ottobre 2010

Un paese civile


Milano, 13 ott. - (Adnkronos/Adnkronos Salute) -

"Ho dovuto aspettare piu' di 15 anni per un miracolo".

Il papa' di Eluana Englaro, la donna di Lecco a cui, nel febbraio 2009, e' stata interrotta l'idratazione e alimentazione artificiale dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo, ripercorre la dura battaglia condotta per la figlia. E a distanza di oltre un anno e mezzo dalla sua morte, attacca:

"In un paese civile prese di posizione come quella del presidente
della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, non dovrebbero
esistere".


Poche parole (quelle riportate dall'agenzia di stampa), ma che fanno riflettere:
per Beppino Englaro un paese civile è quello in cui, non solo si permette che una disabile incosciente venga lasciata morire di fame e di sete, ma in cui si impedisce a chi non è d'accordo di esprimere la sua opinione ("prese di posizione ... non dovrebbero esistere").

Quando si sostiene che il diritto alla vita viene prima e sta sopra tutti gli altri diritti (di manifestare il pensiero, di riunione, di religione ecc.) si intende proprio questo: un Paese che riconosce il diritto a sopprimere un disabile - negando il suo diritto alla vita - scivola verso la negazione degli altri diritti: non devi parlare, non devi obbiettare!

Ma, se Beppino Englaro nega il diritto di parola per chi si oppone ad un atto ingiusto come quello che stava per compiere sulla figlia Eluana, con quale diritto usa il termine "miracolo"?

Giacomo Rocchi