giovedì 26 agosto 2010

Gli embrioni salvati sono quelli non prodotti artificialmente/ 2


La legge 40, fin dal primo anno di applicazione, ha "impedito la morte per scongelamento" di migliaia di embrioni?
"In che misura la legge 40 ha evitato la morte dei figli concepiti?"; il divieto di congelamento "ha prevenuto la morte di un rilevante numero di concepiti"? La legge "ha impedito la generazione per la morte immediata di un gran numero di esseri umani"?

"Tra gli effetti della legge vi è anche quello di avere evitato la morte di soggetti umani nella fase embrionale? E' possibile quantificare questo effetto?"

Vi è una differenza "tra l'uccisione diretta e premeditata, causata in concorso di più persone quale si verifica nel caso della produzione soprannumeraria, della selezione, della sperimentazione e del congelamento embrionale e la morte degli embrioni avvenuta nel seno materno dopo il loro trasferimento in utero"?

Queste le domande che sorgono dalla lettura delle Due relazioni del Movimento per la Vita al Parlamento relative all'applicazione della legge 40 e di un articolo apparso sull'ultimo numero del Si alla Vita.

Quando parliamo di "salvare la vita a qualcuno" o di "evitare la morte di qualcuno" abbiamo in mente una persona viva in difficoltà che, per l'aiuto di altri, riesce a sopravvivere, a non morire. Con riferimento all'aborto procurato ciò è evidente: vi è una madre che, per le difficoltà che incontra, è intenzionata ad uccidere il bambino che ha in grembo; qualcuno la aiuta e la convince a far nascere il bambino. Il bambino, quindi, non viene ucciso, ma viene salvato.

Si può pensare a qualcosa del genere anche per gli embrioni fecondati in provetta? Certamente sì: la stessa legge 40 prevede che un embrione malato possa essere curato, anche manipolandolo. Ma è questo il "salvataggio" a cui si riferiscono le Relazioni del Movimento per la Vita sull'attuazione della legge 40? A ben vedere, sembra proprio di no.

Nella prima Relazione si indicava un numero - 7.876 embrioni - corrispondenti agli embrioni dei quali la legge 40 (dalla data della sua entrata in vigore fino al 2007) avrebbe "impedito la morte per scongelamento". Al numero si giungeva sulla base delle statistiche concernenti la morte degli embrioni congelati prima del 2004 e scongelati durante l'applicazione della legge. Si affermava, infatti, che "prima della legge moriva un embrione congelato su quattro" e si riteneva, quindi, provato che "il congelamento uccide gli embrioni". Poiché la legge imponeva la produzione massima di tre embrioni per volta e vietava il congelamento, quel numero corrispondeva a quello degli embrioni che - in assenza della legge - sarebbero stati prodotti in soprannumero, sarebbero stati congelati e poi scongelati, per avere la fine che si è detto.

Nella seconda relazione si ribadiva che "sopprimere un embrione prima del trasferimento significa averlo generato per farlo morire; generarlo e trasferirlo nel seno di una donna significa destinarlo alla nascita, anche se molto rara, affidandolo alla natura, sostituita dall'artificio della tecnica soltanto nella fase della generazione". Si riferiva che, nel triennio precedente "un embrione su dieci trasferiti nasce vivo", si richiamava il numero degli embrioni morti dopo lo scongelamento e si dimostrava un dato: il numero dei bambini nati vivi nei cicli nei quali erano stati utilizzati embrioni scongelati era di uno su venti (contro la percentuale di uno su dieci che si riscontra nelle tecniche con embrioni "freschi").

Seguiva un passaggio decisivo per comprendere il ragionamento che viene seguito: poiché dalle Relazioni ministeriali si evinceva il numero degli ovociti non utilizzati per la fecondazione, si poteva comprendere che, nel solo anno 2007 il numero di 53.595 ovociti - se non fosse stato vigente il limite massimo di tre embrioni producibili per ogni ciclo - sarebbe stato sottoposto a fecondazione; nel 2007, quindi, sarebbero stati prodotti 49.920 embrioni "soprannumerari" (cioè non destinati all'immediato trasferimento nel corpo della donna); sommati a quelli che sarebbero stati prodotti negli anni precedenti, la Relazione ricavava il numero di 120.000 concepiti di cui la legge 40 "ha evitato la morte" nel triennio 2005 - 2007.

L'ottica dell'articolo apparso nel numero di Luglio 2010 del Si alla Vita è la stessa: il numero di 38.000 indica gli embrioni che sarebbero stati prodotti se non fosse stato vigente il limite massimo di tre embrioni producibili; embrioni "soprannumerari" e, quindi, destinati alla sperimentazione o alla distruzione o al congelamento che, come si è visto, "uccide".

Abbiamo cercato di sintetizzare la linea di ragionamento che unisce i tre documenti. Si impone una constatazione: nessuno degli embrioni i cui numeri sono stati indicati sono mai esistiti. Non esiste, cioè, un solo embrione già in vita e in pericolo di morte che è stato salvato dalla morte: esistono soltanto "embrioni ipotetici", per i quali mai è avvenuta la fecondazione.

I documenti, quindi, sposano in pieno un'affermazione: l'unico modo per salvare la vita degli embrioni è quello di non produrli. Quanti meno embrioni vengono prodotti, tanti meno moriranno.

Perché, allora, non vietare del tutto la produzione artificiale degli embrioni? Davvero è differente produrre tre embrioni per volta, sapendo che nove su dieci embrioni prodotti moriranno rispetto a produrre un numero superiore di embrioni sapendo che 19 embrioni su 20 moriranno?

Approfondiremo ulteriormente la questione nei prossimi interventi.

Giacomo Rocchi

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