giovedì 25 settembre 2008

Bagnasco/Accanimento terapeutico

Si è visto nel precedente post come le parole del Cardinal Bagnasco costituiscano un implicito "via libera" al principio di disponibilità della vita umana: dichiarazioni concernenti la sospensione di terapie mediche rese da pazienti (purché in una certa forma) dovrebbero essere giuridicamente efficaci. La decisione terapeutica dipenderà, almeno in parte, da una valutazione soggettiva della qualità della vita del malato e non più da valutazioni terapeutiche espresse dal medico.

Prima vittima di questa impostazione soggettivistica è il concetto di accanimento terapeutico. Leggiamo il passo in cui Bagnasco ne parla: "Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, pronta a riflettere al di fuori di logiche traumatizzanti indotte da casi singoli per volgersi al bene concreto generale, è che in questo delicato passaggio - mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico - non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia (...)".

Ancora una volta: cosa c'entra l'accanimento terapeutico con la vicenda di Eluana Englaro e con le sentenze che ne permettono l'uccisione? E perché le dichiarazioni legali del paziente dovrebbero evitare inutili forme di accanimento terapeutico?
Le risposte dovrebbero essere semplici e immediate: nel caso Englaro non si riscontra alcun accanimento terapeutico, ma solo la cura, nutrizione e idratazione di una disabile grave; le dichiarazioni anticipate non avranno alcun effetto di impedire l'accanimento terapeutico perché la pratica è già vietata dalle regole deontologiche cui i medici devono attenersi.

Ma queste risposte presuppongono un concetto oggettivo di accanimento terapeutico: l'accanirsi del medico di fronte ad un soggetto in stato terminale la cui morte è imminente e inevitabile con diagnosi o terapie inutili e sproporzionate, lesive della dignità del paziente, impedendogli una morte serena.
Se, invece, l'ottica è quella soggettiva allora l'accanimento terapeutico tende a coincidere con tutte le terapie che il malato intende rifiutare.
Ecco che, in questa ottica, Piergiorgio Welby - che viveva con l'aiuto della respirazione artificiale e che non era in punto di morte quando il Riccio gli staccò il macchinario - era sottoposto ad un accanimento terapeutico: questo, in sostanza, ha riconosciuto il Giudice che ha assolto il Riccio dall'accusa di omicidio del consenziente, nonostante il Consiglio Superiore di Sanità (adottando un criterio oggettivo) avesse stabilito che non si era in presenza di un accanimento.

Dare valore legale a dichiarazioni "inequivocabili" che, per il futuro, vietano al medico di praticare determinate terapie o gli impongono di interromperne altre già iniziate, provocando la morte del paziente, significa accedere al concetto soggettivo di accanimento terapeutico, un termine che diventa relativo: non è quindi un caso che Bagnasco non lo definisca affatto.
Ciò significa, inoltre, accreditare una figura del medico come di soggetto di cui diffidare, che occorre bloccare, in quanto sempre pronto ad accanirsi sui malati per propri interessi (scientifici, di ricerca, di carriera ...).

Ma torniamo ad Eluana Englaro e cerchiamo di rispondere alla domanda: in che modo il suo caso ha a che fare con l'accanimento terapeutico? Bagnasco risponde: in nessun modo, perché si verte in tema di interruzione di sostegno vitale e non di interruzione di terapie.
Risulta chiarissima la debolezza della distinzione, se l'ottica è quella soggettivistica: perché un malato dovrebbe avere il diritto di farsi uccidere mediante l'interruzione di terapie e non quello di farsi uccidere mediante l'interruzione di nutrizione o idratazione, per di più effettuate in una forma artificiale (il sondino nasogastrico) che le fa assomigliare a medicinali? E, d'altro canto, il codice deontologico prevede, per il paziente pienamente capace e informato, sia la possibilità di rifiutare nuove terapie, sia quella di rifiutare di nutrirsi.

Siamo, quindi, di fronte ad un primo "paletto" che si presenta traballante: una volta ammesso il principio che, in presenza di dichiarazioni anticipate vincolanti, il paziente dovrà essere lasciato morire, è facile prevedere che ciò avverrà anche per casi come Eluana Englaro che non ha necessità di terapie, ma solo di cure.

Giacomo Rocchi

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