lunedì 23 maggio 2016

Il bilancio di una vita di un medico non obiettore

Praticare un aborto significa uccidere un bambino. 
Questa è la semplice realtà di un atto che i medici conoscono bene, che siano obiettori o non obiettori, così come la conoscono tutte le persone, che siano donne che si sottopongono all'intervento o meno.

La legalizzazione dell'aborto volontario permette queste uccisioni, ma deve anche "educare" la popolazione, far sparire quel senso di orrore istintivo - e giusto - che si prova di fronte alla volontaria uccisione di un essere umano. 

Occorre, quindi, creare degli "eroi buoni", da contrapporre ai "cattivi". Come sappiamo, i cattivi per definizione sono gli obiettori di coscienza - quelli che si ricordano del giuramento di Ippocrate - mentre gli eroi buoni sono i medici che uccidono i bambini (a proposito: senza mai dire la parola bambino ...).

L'intervista al dr. Maurizio Bini apparsa sul blog del Corriere della Sera "La 27a ora" appartiene al genere letterario della creazione dell'eroe buono. 
Partiamo subito con una vita "faticosa, dolorosa e perfino pericolosa" - aggettivi buttati là senza nulla spiegare. Certo, lavorare stanca (il dr. Bini lavora da 33 anni all'ospedale Niguarda), ma questo non vale solo per i medici che praticano gli aborti ...
Quanto agli aggettivi "dolorosa" e "pericolosa", viene da chiedersi se non siano meglio riferibili ai bambini uccisi e alle madri alle quali il dr. Bini ha prestato il suo servizio ...

La vita dell'eroe buono - come da genere letterario - deve registrare specifici episodi in cui la virtù si mostra nel suo massimo fulgore. Il dr. Bini ne ricorda due. 
Il primo: 
"Maurizio Bini, 58 anni, non ha potuto essere presente alla morte del padre: «Era programmata una seduta di interruzioni di gravidanza proprio quel giorno. Quale altra scelta avevo?»
Quale altra scelta aveva? Le donne che avevano deciso di far uccidere i loro figli sarebbero morte se avessero aspettato qualche giorno?
Insomma - come lo stesso articolo annota subito dopo - "la famiglia è finita in secondo piano" per eseguire aborti. 
Il secondo episodio: 
 "in un indimenticabile 2 giugno: «Sono ritornato dalle vacanze apposta, perché una ragazza albanese giovanissima non era riuscita a trovare in tutta la Lombardia qualcuno che la aiutasse ad abortire prima che scadessero i termini di legge, nonostante il feto avesse una grave malformazione»
Eccolo qui l'eroe: che corre per riuscire ad uccidere un bambino in tempo (guai che riesca a nascere!), con due "medaglie" in più: avere "servito" una minorenne - si sa, per una ragazza è sempre un bene giungere alla maggiore età con un aborto alle spalle ... - e averlo fatto con una ragazza extracomunitaria - benvenuti in Italia!

Una vita votata a permettere sempre e più rapidamente possibile l'uccisione dei bambini: il dr. Bini si vanta, infatti, di aver "tolto ogni limitazione di accesso al servizio", lamentandosi che ora, invece, gli aborti vengono programmati "solo" in due sessioni alla settimana. 
Insomma: quale bilancio? A parte "la famiglia in secondo piano", 
"sacrifici in termini di progressione di carriera, considerazione sociale e quantità di energia sottratta ad altre ben più gratificanti attività professionali". 
Caro dr. Bini, se non va in pensione anticipata, ha ancora tempo per cambiare: smetta di uccidere bambini ...
Giacomo Rocchi

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