Questo strumento nasce per evidenziare iniziative, idee, provocazioni, approfondimenti, a difesa della vita, dal concepimento naturale alla morte naturale.
venerdì 9 dicembre 2011
lunedì 5 dicembre 2011
Obiezione di coscienza e giuristi "democratici"
Come vedete, il grande maestro di diritto prof. Stefano Rodotà non ha dubbi e propone una soluzione semplicissima: se vuoi fare il medico, devi praticare gli aborti.
A leggere l'articolo apparso su "D" di Repubblica e ripreso da Micromega (cliccando sul titolo si accede all'intervista) si comprende in che modo Rodotà giunge a questa conclusione, per lui del tutto logica: cancellando il bambino ucciso.
Secondo lui i medici che sollevavano obiezione non lo facevano per non uccidere bambini: "Quando la legge è stata approvata, la clausola dell'obiezione di coscienza era ragionevole e giustificata: i medici avevano iniziato la loro carriera quando l'aborto era addirittura un reato ed era comprensibile che alcuni di loro opponessero ragioni di coscienza".
Avete capito? I medici potevano obbiettare solo perché, quando avevano iniziato a lavorare, l'aborto era un reato ... i nuovi medici iniziano a lavorare quando l'aborto è un diritto e quindi non possono opporre "ragioni di coscienza".
In questa frase è racchiusa la concezione che ha Rodotà, sia dell'arte medica che del lavoro dei giuristi.
I medici: la loro coscienza coincide (deve coincidere) con il dettato della legge: "il ginecologo sa che l'interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge, che rientra nei suoi obblighi professionali e non è più ragionevole prevedere una clausola per sottrarvisi".
Rodotà sa che fare aborti è un lavoro "sporco", tanto che, a suo parere, attualmente i medici non obbiettori sono "medici di serie B che fanno solo aborti, con il rischio di una dequalificazione professionale" (non sarà che la qualificazione professionale si ottiene curando il paziente e non sopprimendo bambini?). Strana, però, questa dequalificazione: quei medici garantiscono - a parere dell'illustre professore - "il diritto alla salute della donna, che è un diritto fondamentale della persona e non è mera assenza di malattia, ma benessere fisico, psichico e sociale"; perché dovrebbero sentirsi dequalificati?
I giuristi: la realtà è quella scritta nella legge? Rodotà pensa che ripetere più volte la parola d'ordine "interruzione di gravidanza" muti la sostanza dell'atto abortivo? Il compito del giurista è solo commentare la legge vigente (ovviamente "saggia")? Fare finta che davvero gli aborti siano terapeutici (e per chi?).
In realtà il prof. Rodotà applica fino in fondo lo spirito della legge 194 - una legge che afferma il diritto ad uccidere bambini innocenti, le "non ancora persone", per usare le parole della Corte Costituzionale: quando si è violato il diritto fondamentale alla vita, davvero è possibile rispettare la libertà di coscienza dei medici? E per quanto tempo ancora gli obbiettori di coscienza non saranno discriminati per legge (a partire dai bandi per l'assunzione riservati ai non obbiettori, che Rodotà propone)?
Giacomo Rocchi
giovedì 1 dicembre 2011
In Italia esiste il diritto di uccidere
domenica 27 novembre 2011
Educazione vs legislazione: riflettiamo ancora
Un prolife intransigente, in Italia, non ha amici: forse perché molti di quelli che, come lui, vogliono difendere la vita, fanno finta di non conoscerlo e sembrano ignorare le sue prese di posizione (che pure cerca di argomentare); ma quando alza un po' la voce e fa polemica, gli dicono che non è il modo di fare, che avresti potuto parlare direttamente con lui, e che - diamine! - ne viene fuori un quadro non bello, che figura ci facciamo ...
Un prolife intransigente, in Italia, non conta nulla: non ha niente da perdere, finanziamenti da ottenere, cariche da conquistare o da mantenere; è fuori dai "giochi importanti", non partecipa ai gruppi che contano, non conosce le dinamiche dei gruppi ufficiali: insomma, non conosce il contesto.
Un prolife intransigente si occupa anche di leggi: non perché gli piaccia particolarmente, ma perché sa che una legge ingiusta ha permesso l'uccisione di milioni di bambini innocenti e un'altra consente la morte programmata di decine di migliaia (per ora) di embrioni; sa che queste leggi nascondono la loro essenza dietro proclami ipocriti; sa che queste leggi fanno "cultura"; teme che altre leggi permetteranno l'uccisione di altre persone ... Ma questo occuparsi di leggi lo rende ancora più scostante, spigoloso, talvolta petulante ("viene a parlarci di quel certo comma ... non gli basta che al primo articolo abbiamo piazzato: "La vita è indisponibile?").
Insomma: un caso pietoso! Sempre a ripetere: "valori non negoziabili!", "leggi ingiuste!", "bambini uccisi!"; sempre a puntualizzare, precisare, dissentire ...
Fatto questo quadro, torniamo a parlare dei due articoli di Carlo Bellieni sulla Bussola Quotidiana e, perché no?, dei nostri due commenti, che hanno suscitato qualche reazione negativa. Che Bellieni non sia stato un esempio di chiarezza, sembra confermarlo l'articolo di Francesco Agnoli ("Le leggi e la cultura") che vi abbiamo segnalato: Agnoli sostiene che per capire il contenuto "occorre fare uno sforzo: contestualizzare"; poi interpreta un "non detto" di Bellieni: "Non ha neppure scritto, ma certi sottintesi si possono intuire, che la legge in questione oggi, quella sul testamento biologico, non è poi così opportuna". Insomma, per capire fino in fondo cosa voleva dire Bellieni, ci volevano sforzo e intuizione ...
Affronteremo subito il contenuto dei due articoli: prima, però, una domanda: perché l'articolo di Bellieni è coraggioso? Agnoli premette: "Carlo Bellieni è uno dei 5 membri del Direttivo di Scienza e Vita". Quindi - se ho capito bene - l'articolo sarebbe coraggioso perché l'autore avrebbe fatto intendere il suo fastidio rispetto all'invito a Bersani/Casini/Alfano, avrebbe sottolineato che "certamente c'è dell'altro"; ma lo avrebbe fatto concludendo il suo articolo con l'affermazione che "dal convegno di Scienza e Vita coi politici usciamo rafforzati" e ricordando che "oggi nella Chiesa c'è chi dialoga sapientemente di leggi con gli Alfano, Bersani, Casini", contrapponendo piuttosto il contenuto della seconda giornata del Convegno di Scienza e Vita (quella in cui "le associazioni locali di S&V hanno mostrato cosa sia il lavoro quotidiano, la bellezza e l'eroismo di chi cura e la bellezza e l'eroismo di chi viene curato") alla prima (quella in cui erano intervenuti i politici).
Mah ... tempo fa abbiamo sentito rumore di porte sbattute in Scienza e Vita. (Comunque: se esprimere il dissenso rispetto a S&V e ai vertici della CEI su scelte "laiche" significa essere coraggiosi, qualcuno potrebbe considerarci degli eroi ...).
Ma appunto: passiamo al contenuto dei due articoli e dei nostri commenti. Un dato è chiaro: né Bellieni, né i nostri commenti hanno mai affermato che servono solo le leggi o, al contrario, solo la battaglia culturale. Nel primo commento scrivevamo: "In definitiva: serve davvero una nuova evangelizzazione; serve alzare la voce - come fa egregiamento Bellieni - per mostrare le conseguenze negative delle presunte conquiste etiche; ma serve - e tanto - anche una battaglia a viso aperto contro l'ingiustizia delle leggi (prima fra tutte l'iniqua legge sull'aborto)".
In nessun punto del nostro commento abbiamo fatto dire a Bellieni (i cui articoli integrali sono stati richiamati con l'apposito link e dei quali ampi passi sono stati riportati letteralmente) cose che non aveva detto: abbiamo però sottolineato che nel pensiero di Bellieni (ovviamente quello espresso nell'articolo, non quello sottinteso) era evidente una scala di priorità (prima l'educazione e la fede, poi le leggi) e, insieme, una visione che tiene distinte le due questioni, tanto da poter affidare a "pochi" la questione legislativa. In altre parole: la sottovalutazione della efficacia culturale (positiva o negativa) delle leggi, giuste o ingiuste; e insieme la negazione della valenza culturale delle battaglie per le leggi giuste o contro le leggi ingiuste. Nell'articolo del 12/10/2011 ("Bioetica e morale, cristiani normlizzati") vi era una frase davvero significativa: "sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all'ufficialità delle leggi". Certo: una frase che ribadiva che "per rendere etica una società si passa anche dalle leggi" (come Bellieni scrive nel secondo articolo), ma che raffigurava la legge come qualcosa di "ufficiale", per la quale il lavoro di "perfezionare" sembra vano ("forse i buoi sono già scappati") e di cui comunque Bellieni non è particolarmente interessato (come indica il fatto che di leggi - ed in particolare del progetto di legge sulle DAT - non ne parla, tanto che il suo pensiero sul punto si deve intuire: "invece").
Il prolife intransigente ha fretta, sente l'urgenza: sarà forse vero, come ritiene Francesco Agnoli, che "in una società profondamente corrotta le leggi buone non sono applicabili, mentre in una società sana certe leggi disumane non nascono" e che "non potremmo mai sconfiggere, così, con una bacchetta magica, l'aborto legale" senza rieducare ai valori del "pudore, fedeltà, senso dell'onore, della responsabilità, della famiglia, del peccato"; ma è difficile rinunciare ad una battaglia di popolo per salvare - anche con la legge civile - la vita di quei bambini che ogni giorno vengono soppressi o di quegli embrioni che vengono prodotti; o per impedire che quei neonati o quegli anziani vengano fatti morire nel futuro.
Una battaglia di popolo, sì (e qui siamo proprio d'accordo con Bellieni nel valutare l'invito ai VIP della politica): come fu quella del referendum contro la legge 194 e prima ancora quella per l'approvazione della proposta di legge di iniziativa popolare del Movimento per la Vita che raccolse milioni di firme. Il fatto è che far comprendere al popolo l'ingiustizia e l'ipocrisia di certe leggi, svelare quello che esse davvero permettono, coinvolgerlo nella battaglia democratica su di esse, non è affatto tormentarlo con questioni formali: è una battaglia che fa cultura e mostra la malvagità di certi atti e la necessità di impedirli.
Bellieni vuole dare il suo contributo anche a questa battaglia?
Giacomo Rocchi
venerdì 25 novembre 2011
Educazione vs. legislazione /2
martedì 22 novembre 2011
Bellieni: Educazione vs legislazione?
Nell'articolo di oggi, a commento del Convegno di Scienza e Vita che ha visto la presenza di politici nazionali, la riflessione si approfondisce e i toni diventano più forti. Viene chiamato esplicitamente in causa il fronte prolife:
"Alfano, Bersani e Casini e Scienza e Vita: un colloquio in cui è chiaro che la società vuole etica e che loro lo capiscono; che per rendere etica una società si passa anche dalle leggi (...) Ora è il caso di domandarci se questo basta. Cioè se quello che davvero occorre alla gente è solo il dialogo con i vertici della politica. E se davvero basta fare “buone leggi” per fare crescere un popolo. Probabilmente c’è dell’altro. Certamente c’è dell’altro. Perché fare buone leggi non serve a niente se la gente è convinta che siano leggi cattive e i maitre à penser finiscono per mostrarle come una soverchieria. (...) Insomma: non basta fare gli autovelox per ridurre i morti sulle autostrade: bisogna educare. I primi cristiani non si misero a chiedere all’Imperatore che facesse
una legge per vietare i giochi omicidi nei circhi, o l’infanticidio: semplicemente costruirono una cultura che non li prevedeva, che mostrava che erano bestialità. San Benedetto costruì l’Europa non domandando ai barbari di smettere di fare stragi, ma costruendo i monasteri, rendendo l’Europa disseminata di luoghi di salvezza. (...) San Benedetto e San Paolo non rifuggivano dai politici di allora; e anche oggi nella Chiesa c’è chi direttamente dialoga sapientemente di leggi con gli Alfano, Bersani, Casini. Ma
c’è anche chi, inoltre, costruisce cultura, chi mostra al popolo la bellezza della vita, chi crea case famiglia, luoghi d’accoglienza, banchi alimentari, e vuole rendere questo cultura; questa è ora la strada da aprire".
Sono riflessioni importanti che devono essere prese in considerazione. A queste Bellieni aggiunge altre che riguardano la sproporzione delle forze in campo:
"Già, i maitre à penser sono quelli che contano sui giornali, in TV, quelli che
danno il “la” all’opinione pubblica, quelli che fanno la cultura di un popolo. E
con la loro artiglieria, il fronte pro-life cosa oppone? Siamo di fronte ad
un’asimmetria, ad un braccio di ferro fatto tra un omone di due metri e un bambino (anche se il bambino apparentemente non è sprovveduto e disarmato, il che visti gli esiti è anche peggio). Da una parte l’artiglieria pesante dei massmedia, dei Vip (dalle soubrette ai presentatori Tv: ricordate le cento facce di Vip che campeggiavano sulla copertina di un settimanale alle soglie del referendum sulla legge 40 invitando a votare SI?); dall’altra… qualcosa che evidentemente non incide sulla cultura, sul modo di decidere della gente"
E allora veniamo alle leggi e alla battaglia sulle leggi: Bellieni dice che fare buone leggi può risultare inutile: è inutile anche abrogare le leggi ingiuste, che permettono i massacri degli innocenti? Se l'obbiettivo è quello di ridurre il numero degli innocenti uccisi o lasciati morire (è questo l'obbiettivo dei movimenti prolife, come per un medico è quello di salvare la vita dei suoi pazienti), vietare l'aborto volontario ed abrogare l'iniqua legge che lo permette a semplice richiesta è davvero inutile? E vietare la fecondazione extracorporea ed abrogare l'ingista legge che la consente, ridurrebbe il numero degli embrioni morti o congelati o sottoposti a diagnosi preimpianto?
Bellieni, poi, mostra di non credere che davvero la legge possa "fare cultura", cioè contribuire in maniera rilevante (anche se non esclusiva) a permeare la mentalità del popolo; temo che sottovaluti la questione. Non sto sostenendo che l'educazione (soprattutto quella cristiana) non serva: ma che l'esistenza di leggi ingiuste nell'ordinamento civile ostacola e a volte impedisce una corretta educazione.
Quale è l'esito della posizione di Bellieni rispetto al tema delle leggi giuste e ingiuste? Posso esprimere una sensazione? La questione viene delegata ad altri; altri si occuperanno dei rapporti con i politici; e - poiché la delega è totale e gli "altri" sono stati scelti all'interno della Chiesa - le loro azioni sono per definizione giuste ("nella Chiesa c'è chi dialoga sapientemente di leggi"). L'atto di fede di Bellieni in questi politici cattolici sembra assoluto, tanto che ancora la legge 40 (quella che afferma: "è consentita la procreazione medicalmente assistita" e che poteva invece statuire: "è vietata la fecondazione extracorporea"...) è presa come punto di riferimento. E' sicuro Bellieni che quel dialogo sulle leggi sia sapiente? Davvero sulle leggi che possono permettere o vietare l'uccisione di embrioni, bambini e pazienti, egli vuole lavarsene le mani?
Giacomo Rocchi
P.S.: L'infanticidio fu vietato per legge per la prima volta dall'imperatore Costantino; il divieto per legge fu rafforzato dall'imperatore Giustiniano. Costantino vietò per legge anche i giochi gladiatori (il divieto fu reso definitivo da Onorio)
venerdì 18 novembre 2011
Perché l'obiezione di coscienza è un problema?
giovedì 10 novembre 2011
"180" Movie - Da pro-choice a pro-life in qualche manciata di secondi
Questo meraviglioso mini 'film' di 33 minuti fa riflettere, emoziona, e insegna che le nuove generazioni sono spesso solo 'senza verità'.
Per attivare i sottotitoli è sufficiente premere il tasto CC come da figura e scegliere 'italiano'.
Buona visione.
martedì 8 novembre 2011
Equilibrismi sulla pelle dei bambini
Ebbene: le statistiche dimostrerebbero che gli immigrati indiani e cinesi hanno portato importato in Italia questa pratica. In particolare, tra gli immigrati cinesi regolari, il rapporto tra neonati maschi e neonati femmine è di 109 a 100 se si tratta del secondo figlio e di 119 a 100 se si tratta del terzo figlio; rapporto che, per gli immigrati indiani, è di 116 a 100 per il secondo figlio e di 137 a 100 per il terzo figlio. Poiché si tratta di numeri nettamente difformi dal rapporto "naturale" tra maschi e femmine (105 maschi nati per ogni 100 femmine), si intravede in essi l'eliminazione delle bambine non desiderate.
Partiamo dalla conclusione del giornalista: "Le divisioni sul tema dell'aborto tra credenti e non credenti qui non c'entrano nulla. Si tratta piuttosto di impedire che nelle nostre città si manifesti la forma più orribile di relativismo culturale: quella che ci fa chiudere un occhio quando una bambina non nasce".
Questo - diciamolo esplicitamente - altro non è che moralismo: abbiamo deciso - il popolo italiano ha deciso! - di chiudere tutti e due gli occhi sulle centinaia di migliaia di bambini - maschi e femmine - massacrati con l'aborto, permesso a prescindere da qualunque motivazione; non c'è, quindi, nessun occhio da chiudere ancora! Piuttosto sarebbe il momento di riaprirli tutti e due e prendere coscienza di quanto avviene da più di 30 anni in Italia!
Si noti che Polito usa due termini "forti": "orribile", ma non si riferisce all'uccisione volontaria del bambino ... ; e "relativismo culturale": e su quest'ultimo termine si potrebbe ridere (o piangere) e parlare a lungo. Ci dica Polito quali sono i principi morali e culturali che non possono essere considerati "relativi"; uno di questi è forse il seguente: "si possono sempre uccidere i bambini prima della nascita, tranne il caso in cui si tratti del secondo o del terzo figlio, di sesso femminile, e l'uccisione avvenga perché i genitori vogliono concepire un altro figlio maschio"?
E quale sarebbe la "battaglia legislativa da ingaggiare al più presto" invocata nell'articolo? Polito vorrebbe che la Polizia convocasse le immigrate straniere incinte del secondo e del terzo figlio, si facesse mostrare le ecografie per verificare se il figlio è femmina, le interrogasse sulle intenzioni in ordine ad un possibile aborto e, soprattutto, che lo Stato impedisse a quelle donne di abortire, magari con sanzioni penali?
Il fatto è che la legge 194 permette questa pratica, come afferma, a denti stretti, l'articolo: "Dove sono dunque finite le bambine mancanti, le «missing girls»? Fino a qualche tempo fa venivano soppresse con l' infanticidio, cioè dopo la nascita, o uccise dalla negligenza deliberata dei genitori. Ma da quando c'è un accesso sempre più facile alla diagnosi prenatale del sesso, attraverso amniocentesi ed ecografia, e all'interruzione assistita della gravidanza, il nuovo sistema di selezione di massa è l'aborto (...) Se si ricorre alla villocentesi, che può essere fatta anche alla decima settimana, non è infatti escluso che le bambine siano abortite nelle pieghe della 194 e nelle strutture pubbliche. Se invece è l' ecografia a rivelare il sesso, c' è da sospettare aborti tardivi e clandestini".
lunedì 7 novembre 2011
Il decoro e la dignità degli infermieri
In due post dell'ottobre e del novembre 2010 ("Citazioni e strategie" e "Volontari buoni e volontari cattivi") abbiamo visto come Valter Boero, del Movimento per la Vita di Torino, riteneva evidentemente "divisive" le condotte del Celsi, mostrando a "La Repubblica" tutta la sua "correttezza" e anche un po' di disprezzo ("Né tantomeno andiamo a pregare al mattino presto davanti al Sant'Anna come fanno alcuni di loro").
sabato 5 novembre 2011
I contenuti della battaglia prolife
Gentile Direttore,
leggo l'articolo di Carlo Bellieni in data odierna, "Bioetica e morale, cristiani normalizzati". Ho sempre apprezzato Bellieni nei suoi scritti; e, aggiungo, concordo con lui sulla "normalizzazione" dei cristiani (o meglio: di molti cristiani) nel campo bioetico. Ma quanto contano le "leggi ingiuste" in questa normalizzazione? Bellieni dà un preciso criterio di priorità: "sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all'ufficialità delle leggi"; quasi che l'incidenza della legislazione civile sulla cultura e sull'educazione del nostro popolo (e soprattutto del popolo cristiano) sia irrilevante. Non è così.
giovedì 3 novembre 2011
Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\6
Forse una "mediazione volenterosa"; certo non un provvedimento che "garantisce la vita di tutti", soprattutto dei nostri fratelli più deboli e senza voce!
martedì 1 novembre 2011
Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\5
Quella del Presidente della CEI era soltanto un'argomentazione di carattere culturale o poteva applicarsi anche all'azione politica e legislativa? Benché si sia trattato di discorso di altissimo profilo culturale e religioso, il Cardinale non si è certo tirato indietro rispetto alla concretezza della politica e delle sue scelte, più volte facendo riferimento alle leggi. In primo luogo nel ribadire che "esiste un terreno solido e duraturo, che è quello dei principi o valori essenziali e nativi, quindi irrinunciabili non perché non si debbano argomentare ma perché, nel farlo e nel legiferare, non possono essere intaccati in quanto inviolabili, inalienabili e indivisibili"; poi nello stigmatizzare che "nella sfera culturale si rivendica la più assoluta autonomia delle scelte morali, e nella sfera legislativa si formulano leggi che prescindono dall’etica naturale, come se tutte le concezioni della vita fossero equivalenti"; infine nel sottolineare, in un passaggio davvero mirabile, l'incidenza dei "codici" sul costume di un popolo: "E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento? E non modella la forma di pensare e di agire – il costume – di un popolo, il suo modo di rapportarsi nel proprio interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale? Questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti propri dei singoli, ma anche della società e dello Stato, manifesta il livello di umanità o, per contro, di cinismo paludato, di un popolo e di una nazione".
domenica 30 ottobre 2011
Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\4
L'allarme: "La nostra Europa, come l’intero Occidente segnato da una certa cultura radicale fortemente individualista, si trova da tempo sullo spartiacque tra l’umano e il suo contrario".
L'analisi: "Sono in gioco le sorgenti stesse dell’uomo: l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino. Proprio perché sono “sorgenti” dell’uomo, questi principi sono chiamati “non negoziabili”. Quando una società s’ incammina verso la negazione della vita, infatti, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”.
Lo smascheramento di certe linee di pensiero: "Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ogni altro valore necessario al bene della persona e della società, infatti, germoglia e prende linfa dai primi, mentre staccati dall’accoglienza in radice della vita, potremmo dire della “vita nuda”, i valori sociali inaridiscono".
La tutela delle persone deboli e senza voce come criterio per giudicare una società: "Ma, ci chiediamo, chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto?...Vittime invisibili ma reali! E chi è più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora o, forse, non l’ha più? E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento?"
Il tentativo (anche all'interno della Chiesa?) di tacere sui valori non negoziabili: "A volte si sente affermare che di questi valori non bisognerebbe parlare perché “divisivi” e quindi inopportuni e scorretti, mentre quelli riguardanti l’etica sociale avrebbero una capacità unitiva generale. L’invito, non di rado esplicito, sarebbe quello di avvolgerli in un cono d’ombra e di silenzio, relegarli sempre più sullo sfondo privato di ciascuno, come se fossero un argomento scomodo, quindi socialmente e politicamente inopportuno. L’invito è spesso di far finta di niente, di “lasciarli al loro destino”, come se turbassero la coscienza collettiva. Tuttalpiù si vorrebbe affidarli all’opera silenziosa e riservata della burocrazia tecnocratica".
La scelta opposta: non si può tacere, bisogna dire tutta la verità: "Ma è possibile perseguire il bene comune tralasciandone il fondamento stabile, orientativo e garante? Il bene è possibile solo nella verità e nella verità intera".
Le conclusioni del Presidente della CEI non sembrano dare spazio ad equivoci od interpretazioni: nessun compromesso è possibile su questi valori, nessuna mediazione! Soprattutto occorre perseguire la loro tutela effettiva, che leggi di compromesso non garantiscono affatto: "Per questa ragione non sono oggetto di negoziazione: su molte questioni, infatti, si deve procedere attraverso mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che, per il contenuto loro proprio, difficilmente sopportano mediazioni per quanto volenterose, giacché, questi valori, non sono né quantificabili né parcellizzabili, pena trovarsi di fatto negati".
domenica 9 ottobre 2011
Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"/3
Avevamo davvero compreso quale regolamentazione auspicava il Presidente della CEI? Partiamo proprio dal caso Englaro: benché esso non avesse in alcun modo a che fare né con dichiarazioni anticipate della giovane (la sentenza della Cassazione aveva, in realtà, attribuito al padre/tutore il potere di esprimere la volontà della disabile, sia pure agganciando la sua decisione ad una volontà presunta della figlia interdetta) e tanto meno con un accanimento terapeutico operato su di essa (le suore misericordine forse si accanivano su di lei, dandole da mangiare e da bere e curandola amorevolmente?), esso era il punto di partenza del discorso per dare indicazioni al legislatore.
Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"/2
Come già riportato, il cardinale manifestava l'auspicio di una rapida approvazione del testo di legge, esprimendo la "persuasione" che "si tratta di un provvedimento oggi necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita".
Due riflessioni preliminari.
No: questa legge - a sentire le parole del Presidente della CEI - non ha ombre, non presenta compromessi; è integralmente positiva, perché, appunto, "salvaguarda il diritto di tutti alla vita".
I Vescovi italiani, quindi, mettono tutto il loro "peso politico" sul piatto della bilancia: l'hanno fatto - sempre tramite le parole del card. Bagnasco - quando si è trattato di lanciare il dibattito parlamentare; lo fanno nuovamente quando il dibattito è ormai alla fine e c'è il timore che la crisi politica non permetta l'approvazione definitiva del testo, vanificando tutto l'operato di questi anni (quando il Parlamento viene sciolto, le proposte di legge non approvate definitivamente decadono).
Quindi: una legge buona, giusta, doverosa, urgente.
La seconda riflessione, per entrare nel merito di quanto affermato dal Presidente della CEI: questa legge - attenzione! - non salvaguarda la vita di tutti; piuttosto salvaguarda (secondo l'opinione del porporato) il diritto di tutti alla vita!
Un sofisma? Quando i prolife fanno le loro battaglie, hanno in mente le persone da salvare: i bambini (ciascun bambino!) che rischiano di morire per aborto, gli embrioni che muoiono a grappoli per la fecondazione in vitro, i disabili, gli anziani, i deboli che rischiano di essere uccisi con l'eutanasia.
Certo: uno strumento decisivo è quello legislativo, per abrogare leggi ingiuste e approvare leggi giuste; ma, appunto, affermare un diritto (soprattutto il diritto alla vita) è uno strumento, non è il fine della battaglia.
In altre parole: non ci interessa che una legge proclami di "tutelare la vita dal suo inizio", se poi i bambini vengono uccisi; e nemmeno una legge che attribuisca "diritti" agli embrioni, se poi nemmeno i pochi embrioni sopravvissuti alla fecondazione in vitro possono farli valere!
domenica 2 ottobre 2011
Il cardinale Bagnasco e "il diritto di tutti alla vita"/1
Sulla natura vaga ed equivoca di questo "discorso" (fatto ai confratelli vescovi, ma reso pubblico e disponibile ai mass media) ha scritto in modo incisivo e impietoso Riccardo Cascioli sulla Bussola Quotidiana del 27/9/2011: "sono decenni che le prolusioni all’Assemblea generale e al Consiglio permanente dei vescovi, a prescindere da chi la pronunci, seguono questo cliché: una carrellata su tutti i problemi dell’Italia e del mondo, che le fa molto più simili al discorso sullo stato dell’Unione che i presidenti americani pronunciano ogni anno in gennaio che non a un richiamo alle cose che contano davanti ai problemi del mondo". L'articolo di Cascioli (che va letto tutto) era precedente alla conferenza stampa del Segretario della CEI, mons. Crociata, che ha confermato quello stile del "dire e non dire", accennare senza scendere a fondo (in altre parole: lanciare il sasso e ritirare la mano ...) con il quale, evidentemente, il Presidente della CEI ha deciso di intervenire nelle vicende politiche: "non siamo noi a far cadere i governi, non intendeva affatto dire a Berlusconi di ritirarsi, non siamo noi vescovi a fondare i partiti politici ...".
Questo è un blog prolife: e non possiamo non notare che una cosa il card. Bagnasco ha detto in maniera chiara, senza possibilità di equivoci e fraintendimenti (e senza mezze smentite di due giorni dopo); un'indicazione netta di natura politico - parlamentare. L'indicazione è giunta al termine della prolusione:"Infine, esprimiamo l’auspicio che la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento possa giungere quanto prima in porto: dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, essa attende il secondo passaggio al Senato. La sollecitiamo con rispetto, nella persuasione che si tratta di un provvedimento oggi necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita." .
Ad essere malevoli si potrebbe pensare che questa indicazione netta sia collegata al severo giudizio morale su certi politici: "Noi non vogliamo buttare giù nessuno dalla poltrona ... intanto, però, approvate questa legge". Un'operazione, cioè, politica, dello stesso stampo di quella che i radicali hanno preso negli stessi giorni ("Noi non votiamo la sfiducia al ministro indagato per mafia ... Ma intanto, Berlusconi, guardaci, potremmo essere utili!").
Ma noi non pensiamo male. Ci interessa il contenuto di quanto detto dal card. Bagnasco. Lo esamineremo nel prossimo post: ma intanto - da convinti prolife - come non osservare che, rispetto all'urgenza manifestata dal Presidente della CEI ("possa giungere quanto prima in porto") per una legge che dovrebbe evitare il ripetersi del caso Englaro (mai ripetutosi dal 2009 ad oggi), nemmeno un accenno viene fatto sulla urgenza di interrompere l'uccisione legale di almeno 317 bambini al giorno? E sulla necessità di interrompere la produzione per la morte e il congelamento di altrettanti embrioni creati con la fecondazione in vitro?
Eppure, nella prolusione, certi passaggi sembravano riguardare proprio queste stragi:
"Quanti oggi, nel mondo che conta, volteggiano come avvoltoi sulle esistenze dei più deboli per cavarne vantaggi ancora maggiori che in altre stagioni? Questo «individualismo esasperato e possessivo» non è forse alla radice di tanti comportamenti rapaci in chi può, o ritiene di potere, a prescindere da ciò che è legittimo, giusto, onesto?" e ancora: "Ci preoccupa come Vescovi l’assenza di un affronto serio e responsabile del generale calo demografico, e quindi del rapporto sbilanciato tra la popolazione giovane e quella matura e anziana"; e soprattutto: "La questione morale, complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza grave,che ha in sé un appello urgente"; e sul severo giudizio intorno ad una cultura radicale che "Muovendo da una concezione individualistica, rinchiude la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale. Per questo, dietro una maschera irridente, riduce l’uomo solo con se stesso, e corrode la società, intessuta invece di relazioni interpersonali e legami virtuosi di dedizione e sacrificio."
Ma, appunto, alle leggi sull'aborto e sulla fecondazione in vitro, la prolusione non fa nessun accenno; tanto meno parla di un'urgenza di modificarle o abrogarle, per interrompere questa strage, che tanto incide, per di più, sulla cultura del nostro popolo.
Quasi che, verrebbe da pensare, "il diritto alla vita" cui si riferisce il card. Bagnasco non riguardi proprio "tutti".
Giacomo Rocchi
giovedì 22 settembre 2011
Limiti ragionevoli? Pretese arbitrarie?
"Come tutte le leggi, la 40 rispetta un orientamento culturale: si tratta
di una visione laica - per i cattolici la fecondazione extracorporea è illecita
- che cerca un equilibrio fra le esigenze della coppia e del nascituro, per la
quale non tutto ciò che è tecnicamente possibile diventa accettabile".
In pratica il limite di età viene concepito come se fosse stato posto a servizio del divieto di fecondazione eterologa:
"Per rimanere incinte ad oltre 50 anni una donna deve necessariamente
ricorrere ad ovociti di una donna più giovane".
Come fa ad essere "laica" una visione che individua un solo interesse del futuro embrione - quello di essere generato con i gameti dei suoi genitori - e chiude tutti e due gli occhi sull'interesse di tutti gli altri embrioni, quelli che vengono prodotti già destinati a morte quasi certa?
"dovrebbe onestamente dire che ogni obbiettivo è eliminare ogni
regolamentazione della fecondazione in vitro".
Morresi vuole davvero farci credere che non permettere alle donne di oltre 50 anni di accedere alle tecniche sia una regolamentazione efficace? E' come sostenere - qualcuno lo sostiene ... - che il divieto di aborto dopo i sei mesi limita l'aborto.
martedì 20 settembre 2011
I fragili "paletti" delle "leggi imperfette"
giovedì 15 settembre 2011
Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera. Conclusioni
Meglio nessuna legge, quindi, se davvero non è possibile approvare un testo che si limiti a vietare la sospensione dei sostegni vitali a coloro che non sono in grado di provvedere a se stessi.
Certo: sappiamo che i fautori dell’eutanasia hanno nella propria faretra altre frecce (alcune già scagliate, come i testamenti biologici comunali o i decreti sugli amministratori di sostegno), altri casi pietosi da mostrare, altre morti in diretta da esibire, altre menzogne da raccontare.
Dovremo combattere colpo su colpo a questi tentativi, e dovremo fare opera educativa per diffondere il rispetto della vita debole e malata: ma, almeno, non diamo un aiuto ai fautori della morte!
lunedì 12 settembre 2011
Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/9
Questa “rinuncia” è un “orientamento”, che quindi il medico può non attuare, o ha un valore diverso? Il medico potrà – anzi: dovrà – effettuare i trattamenti terapeutici cui il dichiarante ha “rinunciato”?
Come non temere che, in sede di attuazione, la “rinuncia” sarà ritenuta cosa diversa da tutti gli altri “orientamenti”? Si tratta di una previsione separata da quella generale; inoltre il significato della parola “rinuncia” è molto più vicino alla espressione “rifiuto” piuttosto che a “orientamento”: “rinuncia” e “rifiuto” rispondono ad un’alternativa “secca”, sì o no, “questa terapia la faccio o non la faccio, la voglio o non la voglio”; “orientamento”, invece, comprende una scala di “grigi” (“vorrei essere curato solo con le erbe”, “non vorrei subire amputazioni se non strettamente necessarie” ecc.), rispetto alle quali è ben comprensibile che il medico mantenga la sua libertà e discrezionalità (“ti vorrei curare con le erbe, ma per questa patologia non ci sono medicinali adeguati” ecc.).
Ricordiamo il quadro iniziale: il medico può agire solo se è stato espresso il previo consenso del paziente al trattamento, altrimenti non può e non deve farlo; ecco: così come il rifiuto espresso dal paziente cosciente (o dai legali rappresentanti degli incapaci) rende il medico non legittimato ad intervenire, si sosterrà che la rinuncia esplicitata nella DAT con riferimento ad ogni trattamento terapeutico comporti la mancanza di legittimazione del medico ad intervenire.
Del resto nessuna norma sancisce esplicitamente l’inefficacia di DAT che contengano la “rinuncia” a tutti i trattamenti terapeutici, anche salvavita: non è certamente sufficiente a questo fine il disposto dell’articolo 4 comma 6 che stabilisce che “in condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica”: la rinuncia ai trattamenti sanitari salvavita può non comportare affatto un “pericolo di vita immediato”, ma una morte conseguente ad un processo patologico non curato di una certa durata.
In definitiva, anche con riguardo alle DAT, le modifiche apportate alla Camera non permettono di tranquillizzare chi è contrario all’eutanasia: non solo per il quadro piuttosto confuso che è uscito dai lavori parlamentari, ma anche perché quel meccanismo, che avrà il sigillo dello Stato, non potrà che facilitare spinte ulteriori (anche in questo caso, probabilmente di tipo giurisprudenziale) verso una vincolatività per i medici, sia del rifiuto di terapie salvavita, sia della rinuncia all’alimentazione e idratazione artificiale.
Perché il mondo prolife è contrario a questi effetti? Per due motivi: essi sanciscono il principio della disponibilità della vita (di fatto, al di là delle proclamazioni di principio); inoltre il meccanismo creato non garantisce nessuna libertà e nessuna informazione effettive a colui che, in stato di completo benessere o, al contrario, a colui che è gravato dalla sensazione di “essere di troppo”, si troveranno a sottoscrivere un documento (magari dattiloscritto) senza sapere cosa succederà in futuro e senza comprendere fino in fondo il contenuto della loro dichiarazione.
venerdì 9 settembre 2011
Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/8
La Camera dei Deputati ha scelto con decisione la strada della non vincolatività delle Dichiarazioni Anticipate di trattamento. La parola chiave per definire il contenuto delle DAT è “orientamenti”: non più "volontà espresse" o "indicazioni" del dichiarante, ma, appunto, "orientamenti".
Di conseguenza il fiduciario nominato nelle DAT non può più instaurare una controversia contro il medico curante per far rispettare le disposizioni anticipate (abrogazione dell’articolo 7 c. 3). Il fiduciario continua, quindi, a “controllare” l’operato dei medici: ma – qui è la modifica sostanziale apportata dalla Camera – il medico curante, se non vuole seguire gli orientamenti espressi nelle DAT, deve solo "sentirlo"ed è tenuto ad “esprimere la sua decisione motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica”. Quindi - almeno sembra - è il medico che decide.
La Camera, inoltre, ha limitato l’ambito di applicazione delle DAT: ora “la dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa sotto-corticale e, pertanto, non può assumere decisioni che lo riguardano”. Questa condizione è accertata da un collegio medico appositamente formato.
Per chi teme la legalizzazione dell’eutanasia, in realtà, questa restrizione non tranquillizza: il paziente potrebbe essere stato interdetto assai prima e quindi, se le DAT non trovano applicazione, saranno le decisioni del tutore ad esserlo: e si sono visti nei precedenti post i rischi connessi.
E perché negare ogni efficacia a dichiarazioni rese in forma diversa (art. 4 c. 2: “Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge non hanno valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto”)? Pensiamo quanto è difficile manifestare con precisione e con completezza il nostro pensiero con un atto scritto e a persone a noi estranee; se davvero dovessimo manifestare i nostri “orientamenti” e i nostri desideri su come essere curati in un futuro incerto e lontano, non lo faremmo molto meglio “a voce”, parlando con i nostri parenti più stretti, o con il coniuge o con l’amico più caro? Ma la legge ci imporrà di firmare un atto scritto e di farlo “esclusivamente” presso il medico di medicina generale che contestualmente le sottoscriverà. Per di più quell’atto scritto avrà valore solo per cinque anni e, quindi, dovrà essere rinnovato ogni quinquennio.