domenica 9 ottobre 2011

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"/3




Perché il cardinal Bagnasco ribadisce l'auspicio per l'approvazione rapida del progetto di legge sulle DAT? E questo progetto, cosa "salvaguarda" davvero? La risposta alla prima domanda sta nelle parole che in un'altra Prolusione, quella del 22/9/2008, lo stesso porporato pronunciò. In quell'occasione egli incoraggiò l'approvazione di una legge con un determinato contenuto: evidentemente il progetto che sta per essere approvato corrisponde a quanto allora auspicato. Vale davvero la pena di rileggere le parole pronunciate tre anni fa.

Prendendo lo spunto dalla vicenda di Eluana Englaro (che sarà fatta morire pochi mesi dopo), il card. Bagnasco sollecitava il Parlamento a "varare, si spera con il concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l’attesa – riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche – di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza. Dichiarazioni che, in tale logica, non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell’alimentazione e dell’idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie. Una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi. Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, pronta a riflettere al di fuori di logiche traumatizzanti indotte da casi singoli per volgersi al bene concreto generale, è che in questo delicato passaggio – mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico - non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l’ordinamento italiano. La vita umana è sempre, in ogni caso, un bene inviolabile e indisponibile, che poggia sulla irriducibile dignità di ogni persona, dignità che non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un’esistenza".
Avevamo davvero compreso quale regolamentazione auspicava il Presidente della CEI? Partiamo proprio dal caso Englaro: benché esso non avesse in alcun modo a che fare né con dichiarazioni anticipate della giovane (la sentenza della Cassazione aveva, in realtà, attribuito al padre/tutore il potere di esprimere la volontà della disabile, sia pure agganciando la sua decisione ad una volontà presunta della figlia interdetta) e tanto meno con un accanimento terapeutico operato su di essa (le suore misericordine forse si accanivano su di lei, dandole da mangiare e da bere e curandola amorevolmente?), esso era il punto di partenza del discorso per dare indicazioni al legislatore.

Insomma: Eluana Englaro veniva strumentalizzata per finalità politiche.

Cosa proponeva il card. Bagnasco? Dichiarazioni anticipate rese in forma scritta aventi efficacia giuridica in base alle quali coloro che le avevano fatte potessero essere lasciati morire per omesse terapie. L'indicazione è chiarissima: solo le dichiarazioni riguardanti la sospensione di alimentazione e idratazione non potevano essere consentite, tutte le altre invece dovevano essere permesse ed avere efficacia.


Notiamo il riferimento alle altre persone che si trovavano nella condizione di Eluana Englaro (il cardinale indicava in 2000 il numero delle persone che si trovavano allora in "stato vegetativo"); quale è l'esito agghiacciante che il cardinal Bagnasco temeva? Il fatto che essi non fossero stati messi "in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi": non la possibilità che essi fossero uccisi (a meno che lo fossero mediante sospensione dell'alimentazione e idratazione)! Sì, perché ciò che conta è "il rapporto fiduciario tra il malato e il medico": formula bellissima, ma che - quando si adottano dichiarazioni aventi valore legale - altro non significa che "consenso informato" e, quindi, possibilità di rifiutare terapie, anche salvavita.

Iniziamo, allora, a comprendere perché, pochi giorni orsono, il Presidente della CEI ha affermato che il progetto di legge "salvaguarda il diritto di tutti alla vita" e non "salvaguarda la vita di tutti". La differenza non sembra più così sottile ... Del resto, come non notare che, per definire l'ordinamento italiano contraddistinto dal favor vitae, il Presidente della CEI dimenticava i milioni di bambini uccisi in forza di una legge dello Stato? Il presule tralasciava quanto i vescovi italiani avevano scritto nel 1978: "quando autorizza l'aborto lo Stato contraddice radicalmente il senso stesso della sua presenza e compromette in modo gravissimo l'intero ordinamento giuridico, perché introduce in esso il principio che legittima la violenza contro l'innocente indifeso".

Cercheremo di scendere più a fondo nel prossimo post.



Giacomo Rocchi

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