Concludiamo con il presente post il commento
ad un passo dell'intervista che Assuntina Morresi ha rilasciato al sito dell'UCCR. Come sempre abbiamo fatto, le argomentazioni sono sui contenuti dell'intervista, sul merito della questione. Certo, se alcune affermazioni vengono fatte da persone importanti, e che per di più rappresentano in qualche modo una "linea politica" (che è quella di Eugenia Roccella), l'urgenza di commentare diventa più forte. E' un "commento", con argomentazioni che ci sembrano pacate e razionali, non un "attacco"; è la segnalazione di un dissenso ragionato.
Assuntina Morresi, sul sito "strano cristiano", definisce i due post frutto di un "atteggiamento molto stupido"; successivamente definisce gli attacchi "divisivi" (in altre parole: esprimo un'opinione contraria alla sua), arroganti e un po' vili. Non commento gli aggettivi, se non esprimendo il mio stupore per il richiamo alla "viltà": la rete è un "luogo" dove circolano le idee e dove si commentano i fatti e le parole; è uno strumento bello e "democratico", perché permette a molti - che non hanno la possibilità di ricorrere ai mass media - di esprimersi. Non capisco cosa ci sia di vile in questo. D'altro canto, chi rilascia un'intervista ad un giornale (o, nel caso di specie, ad un sito web), evidentemente si aspetta che le parole che pronuncia siano lette e commentate.
La prof.ssa Morresi non riferisce il merito delle argomentazioni che espongo (non indica nemmeno che i due post sono apparsi su Notizie prolife: invece, voi sapete dove leggere le considerazioni della prof.ssa Morresi), accusa il sottoscritto di attaccare lei e non altri (un po' come quando uno trova il vigile che gli ha fatto la multa: perché non va, invece, a multare quelli là ...) e conclude: "
Per combattere una legge bisogna innanzitutto conoscerla. Urlare “non la voglio, perché è ingiusta” (io l'ho fatto nel referendum del 1981, quello che abbiamo perso), lascia il tempo che trova e non porta a niente, anche se ha indubbiamente alcuni vantaggi: non ci si espone in modo pericoloso, e ci si sente a posto con la coscienza".
Spero che la prof.ssa Morresi abbia letto i due post in cui inizio a dimostrare di conoscere la legge 194. Le riflessioni - come preannunciato, di tipo giuridico - che espongo di seguito sono, comunque, il sunto di un contributo a "L'aborto e i suoi retroscena", a cura di Virginia Lalli e Alessia Affinito, IF Press, 2010. Sul tema dell'aborto ho scritto anche un contributo su "Legge 194, trent'ani dopo, Gribaudi, Milano, 2008".
Torniamo al testo dell'intervista: "“Cosa ne pensa di questi tentativi di limitare la libertà del medico?” «
L’attacco all’obiezione di coscienza serve per far passare l’idea che abortire è un diritto. Nella legge 194, invece, l’aborto non è considerato un diritto, ma l’ultima opzione possibile nel caso di una maternità rifiutata. Stiamo parlando del testo di legge, e non della percezione che invece si ha, dell’aborto. Attaccare l’obiezione di coscienza nei termini in cui si sta facendo in questi ultimi mesi significa affermare che chi obietta lede un diritto, quello di abortire.»
Che la legge 194 crei un diritto della donna di abortire, almeno nei primi novanta giorni, si ricava da tre considerazioni, alle quali deve essere anteposta l'osservazione che perché sorga un diritto non è necessario che la legge lo stabilisca esplicitamente.
Il primo dato è quello della
depenalizzazione dell'aborto volontario che non può non richiamare il principio penalistico stabilito dall'art. 51 del codice penale secondo cui "L'esercizio di un diritto ... esclude la punibilità". In effetti, la lievissima pena prevista per la donna maggiorenne (la minorenne è in ogni caso esente da pena) non è dettata per il caso di "aborto eseguito in assenza dei gravi pericoli per la salute della donna" (come sarebbe dovuto derivare dalla sentenza della Corte Costituzionale del 1975), ma solo per l'aborto eseguito senza seguire le procedure di legge.
Il secondo dato è l'esistenza di
un dovere di eseguire l'aborto a richiesta della donna. Tutti sappiamo che, se qualcuno ha un diritto, qualcun altro ha l'obbligo di rispettarlo e, se richiesto, di attuarlo e nessuno può impedire che il diritto venga esercitato. Ebbene: la legge 194 prevede, appunto, che nessuno possa impedire alla donna di abortire se lo richiede (salvo l'obbligo di aspettare sette giorni ...): né il padre del bambino, né i genitori, né i medici. Questi ultimi, come abbiamo già visto, non possono rifiutarsi di rilasciare l'attestato che, sette giorni dopo, permetterà alla donna di abortire, anche se sono convinti che le cause che la stessa "accusa" sono inesistenti. Inoltre, come
scritto esplicitamente dall'art. 9, comma 4, della legge 194, gli ospedali "sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza"; quindi
un obbligo della struttura, che non può rifiutarsi; e, corrispondentemente anche un
obbligo dei sanitari che non hanno prestato obiezione di coscienza. In effetti, se un medico non obiettore si rifiuta di eseguire un aborto, riceve delle sanzioni (disciplinari e/o penali).
Il terzo dato è
che il diritto di aborto è stato esplicitamente riconosciuto dai Giudici civili. Come è noto, sono essi quelli che riconoscono i diritti e condannano chi li ha lesi a risarcire il danno a favore del titolare. Questo avviene ripetutamente in Italia, da molti anni, e da parte della Cassazione, nel caso di donne che non hanno potuto esercitare il loro diritto ad abortire per non essere state avvisate dai sanitari delle possibili malformazioni del nascituro. In queste sentenze si parla esplicitamente di "diritto di aborto", anche con riferimento a quello compiuto nel secondo trimestre di gravidanza.
Un'ultima considerazione: una cosa è dire come la legge
dovrebbe essere;
un'altra è riconoscere come una determinata legge è effettivamente. L'ottica dei post - forse non del tutto compresa dalla prof.ssa Morresi - è questa:
come è fatta la legge sull'aborto davvero? Contrapporre la legge 194 (una legge nazionale) ad una risoluzione del Consiglio d'Europa confonde le idee: tutti abbiamo esultato per quella risoluzione perché è una fiammella di speranza di
cambiamento della legge 194.
Per ora,
la legge è quella: è la stessa legge ingiusta così definita nel 1981 da Assuntina Morresi (e da me); non è cambiata. Il fatto che quel referendum sia stato perso non ha cambiato l'ingiustizia di quella legge. Molti di quei milioni di bambini uccisi per l'aborto sono stati uccisi perché abbiamo perso quel referendum.
Giacomo Rocchi