martedì 18 agosto 2009

Il "caso San Raffaele"/1

Si può operare nel campo della fecondazione in vitro e insieme rispettare la vita e la dignità degli embrioni prodotti?

Siamo convinti di no: la fecondazione in vitro, riducendo l'embrione a prodotto, a cosa, nega in radice ogni sua dignità e ogni suo diritto: non a caso le tecniche di fecondazione in vitro "producono" un grandissimo numero di embrioni destinati a morte certa e rapida, o a congelamento: e questo - chi fa fecondazione in vitro lo sa benissimo.

Come è noto questa è anche la posizione - assolutamente ragionevole e basata sui dati scientifici - espressa dalla Chiesa Cattolica e ribadita con notevole chiarezza nell'Istruzione "Dignitas personae", quella che (a sorpresa) papa Benedetto XVI ha regalato a Barack Obama in occasione della visita in Vaticano.

Ma - è altrettanto noto - molti cattolici ritengono di essere più intelligenti dei loro pastori.
Parliamo del San Raffaele di Milano: clinica fondata da un sacerdote e che "offre" ai potenziali clienti fecondazione in vitro; opera di carità? Se sono veri i dati espressi in un articolo del Corriere della Sera ("mille ogni anno le coppie che si rivolgono al suo Centro scienze della natalità, con rimborsi del servizio sanitario di milioni di euro"), qualche dubbio è legittimo.

La sentenza della Corte Costituzionale che ha fatto cadere il limite massimo dei tre embrioni producibili per ogni ciclo - giunta dopo un inutile pressing del mondo cattolico teso a dimostrare che il limite era legittimo e serviva ad evitare il congelamento o la soppressione di embrioni soprannumerari - era un buon "banco di prova" per verificare quale fosse davvero l'atteggiamento del San Raffaele rispetto agli embrioni che produceva: avrebbe mantenuto le rigide regole previste prima della sentenza oppure si sarebbe adeguato alla sentenza? Avrebbe, in altre parole, dato la prevalenza ai propri (presunti) principi bioetici dell'assoluto rispetto dell'embrione oppure avrebbe ceduto alla logica commerciale?

Si, perché - ricordiamoci - dopo la legge 40 quella della fecondazione in vitro è una situazione di piena concorrenza tra strutture pubbliche e private e anche (vista l'ampia mobilità in Europa) tra istituti italiani e istituti stranieri.
Il criterio con cui le coppie scelgono a quale struttura rivolgersi è uno solo: la probabilità maggiore o minore di avere quel "bambino in braccio" per il quale sono disposte a sopportare sacrifici - personali ed economici. Conta, quindi, la "pubblicità" che fanno le strutture, la reputazione delle stesse, il "passaparola" all'interno di quella "comunità" di aspiranti genitori ben rappresentato in alcuni siti internet, tra cui "Cerco un bimbo".

Per una struttura autorizzata una cattiva fama, notizie in ordine ad inefficacia di trattamenti o a limitazioni delle tecniche disponibili possono significare il disastro economico: mancheranno i soldi delle coppie e anche gli abbondanti soldi pubblici.

Come si sarebbe adeguato, quindi, il "San Raffaele" alla nuova regolamentazione? Avrebbe considerato la pronuncia della Consulta come una semplice facoltà di aumentare il numero degli embrioni prodotti, continuando a rispettare il limite di tre embrioni che tutto il mondo cattolico riteneva giusto? Avrebbe ritenuto ancora vigente il divieto (non formalmente abrogato dalla Corte Costituzionale) di congelamento degli embrioni?

Di fronte ad un articolo del Corriere della Sera riportava le accuse della "comunità" di Cercounbimbo di non applicare la sentenza della Corte Costituzionale, il San Raffaele ha risposto, evidentemente preoccupato della propria reputazione.

Come vedremo, come i "paletti" presenti nella legge 40 erano fin dall'origine palesemente deboli e destinati a cadere (ed è puntualmente avvenuto), così chi opera nelle tecniche di fecondazione in vitro non è capace di fermarsi, perché ha già rinunciato ad ogni limite.

Giacomo Rocchi

2 commenti:

  1. Il web ha dato alla gente come lei la possibilità di scrivere senza sapere nulla di quello che dice. Per certi soggetti internet dovrebbe essere vietato per legge.

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    1. Commento sorprendente e un po' tardivo. Non conosciamo cosa l'Anonimo lettore sappia al contrario di noi; speriamo che (sia pure con due anni e mezzo di ritardo) il nostro anonimo abbia letto anche i post successivi (questo commentato era il primo di tre).
      Quanto al divieto per legge di internet "per certi soggetti", aspettiamo di conoscere i criteri per individuare i soggetti cui internet dovrebbe essere vietato e l'indicazione di chi dovrebbe decidere chi escludere e chi no.
      Internet è così libero che permette agli anonimi di criticare violentemente con tre anni di ritardo un post senza addurre nessuna motivazione ...

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