"Proprio 2 anni fa, il 12 dicembre, è nato Andrea. Io e Claudio siamo sposati da 3 anni e mezzo, il Signore fin dall’inizio ha avuto in mente per noi un grande progetto: ci ha portati per mano alle nozze, ha costruito giorno per giorno il nostro matrimonio attraverso molte difficoltà; noi non ci siamo mai sentiti soli, sapevamo che Lui guidava i nostri passi da sempre.Quando sono rimasta incinta, circa un anno dopo, la nostra gioia era immensa, era tutto perfetto: matrimonio, lavoro, ora un figlio…La gravidanza procedeva tranquillamente, io avevo 24 anni, mi sentivo la donna più forte del mondo.
A Settembre (a circa 4 mesi e mezzo) uno strano episodio ci fece correre subito in ospedale: fui svegliata nel cuore della notte (come già spesso accadeva) dall’urgenza di urinare e persi anche un po’ di sangue, così per non lasciare niente al caso ci recammo al pronto soccorso dove, dopo un’ecografia, fummo rassicurati e rimandati a casa. Da quel giorno niente di insolito, continuai la mia vita divisa fra il lavoro, le faccende domestiche e i miei sogni e progetti sul nostro bambino.A fine Ottobre era fissata l’ecografia morfologica. Andammo all’appuntamento entrambi con una personale strana sensazione… quando la dottoressa cominciò con l’ecografia capimmo subito dalla sua espressione che c’era qualcosa che non andava bene, ma mai avremmo immaginato quello che stava per dirci: “Non c’è traccia di liquido amniotico, la situazione è molto grave ed io non posso valutare in questo stato le condizioni del feto”. Come una doccia fredda queste parole piombarono su di noi. Ci salutò e ci consigliò subito un ricovero in una struttura di III livello. Io e Claudio eravamo nel pallone, in un attimo la nostra giornata era cambiata, la nostra normalità sconvolta e non capivamo neanche a fondo cosa stesse realmente succedendo.La sera stessa mi ricoverai in un ospedale di Roma.
Rimasi lì per una settimana nella più completa disperazione: a parte un primo sommario controllo non feci mai analisi specifiche, né eventuali ecografie per cercare di valutare la situazione.. ero completamente abbandonata a me stessa nell’attesa che qualcosa avvenisse… ma mio figlio era forte e stava lottando insieme a me con tutte le sue forze per rimanere in vita, il suo battito era sempre regolare e cominciavo ad avvertire i suoi primi movimenti. Nel frattempo ci fu spiegata la situazione: avevo rotto il sacco amniotico per non so quale motivo, quindi il nostro bimbo non era più immerso nel liquido della pancia; la situazione era molto grave, i medici ci consigliavano una sola via per ovviare a questo “inconveniente” che io e Claudio non prendemmo neanche in considerazione: nostro figlio era vivo, stava lottando, non sapevamo neanche se avesse qualche altro tipo di problema, ma avremmo accompagnato questa creatura fino a quando lui avrebbe resistito. I medici mi guardavano come se fossi una pazza, che forse voleva mettersi in mostra per qualcosa e che stava perdendo tempo inutilmente perché, come disse un dottore un giorno “in nessun sacro testo della medicina c’è scritto che un bimbo in queste condizioni possa nascere”. Più che il dolore in cui eravamo piombati di colpo, quello che mi faceva più soffrire era l’arroganza e la mancanza di rispetto di questi medici nei confronti di una vita umana, seppur piccolissima. Nel corso di quella settimana fui invitata più volte anche con enfasi ad abortire, alla fine, visti i nostri rifiuti, fui dimessa ed invitata a tornare a casa ad aspettare.
Invece andammo subito al Policlinico Gemelli dove avevamo saputo lavorasse il prof. Noia, con la speranza che potesse tenderci una mano. Quando il professore mi visitò ci disse subito che la situazione era in effetti molto grave, ma che avremmo fatto il possibile per aiutare questa piccola vita. Cominciarono così una serie di analisi, controlli, ecografie e amnioinfusioni per cercare di mettere un po’ di liquido nella pancia. Non nego che i due mesi di permanenza in ospedale siano stati difficili, solitari; alcuni giorni sembrava che andasse un po’ meglio, altri la situazione peggiorava di colpo, ma in tutto quel tempo non mi sono mai sentita sola: c’era mio figlio che scalciava, che aveva il singhiozzo, che viveva dentro di me e questo mi dava la forza di affrontare con lui tutto quello che sarebbe accaduto.
Il 12 dicembre di due anni fa si liberò una culla nel reparto di terapia intensiva neonatale, così i medici decisero per un taglio cesareo: Andrea è nato alla 29a settimana, con un peso di 920 gr e con una grave insufficienza polmonare, ma quando ho sentito il suo debole pianto, quando l’ho visto in quella piccola culla mi sono sentita la mamma più felice del mondo. Andrea mi guardava con i suoi occhi neri e grandi, siamo rimasti a guardarci fissi negli occhi per pochi istanti che mi sembrarono un’eternità; in quello sguardo c’era tutto il nostro amore, in quello sguardo così intimo e indescrivibile ci siamo detti tutto quello che avevamo nel cuore. Mio figlio era nato a dispetto di coloro che non credono nella potenza della vita e quel suo debole pianto era in realtà un grido di vittoria.
Ovviamente la sua situazione era molto grave e due giorni dopo si aggravò ulteriormente. Claudio cercava di stare con lui il più possibile e anche io ebbi la possibilità di andare da lui: venne a chiamarmi Claudio la mattina presto perché Andrea ci stava aspettando. Lo tenemmo in braccio, lo cullammo, spaventati all’idea di potergli fare male talmente sembrava piccolo e fragile, ma lo accompagnammo con tutto il nostro amore in questo breve passaggio sulla terra. Davvero quelli furono dei momenti dolorosi, ma avevamo la certezza di aver fatto tutto il possibile per nostro figlio, di avergli dato un nome e una dignità di bambino, di averlo amato fino alla fine ed oltre. Il suo sguardo, i suoi occhi mi accompagneranno per sempre, sarà sempre presente nella nostra casa.
In questo cammino noi non ci siamo sentiti mai soli, il Signore è stato presente sempre, è Lui che ci ha dato la forza e il sostegno per lottare, è Lui che ci ha aperto strade impensabili... non sappiamo cosa ha avuto e ha in mente per noi, ma sappiamo che ha riversato su noi grazie su grazie, che il nostro matrimonio è più vivo che mai, che ci ha liberati dalla perfezione del mondo, che ci ha donato un altro figlio che a Febbraio verrà alla luce; magari attraverso noi e la vita di Andrea altre coppie in difficoltà ed altri bambini sono potuti nascere. Ogni giorno ringraziamo Dio di averci dato la possibilità di conoscere Andrea e mai abbiamo rimpianto di non aver dato retta a chi, per “tutelare la salute della donna”, ci consigliava di abortire, perché non avremmo mai avuto la grande gioia di stringere fra le nostre braccia questa piccola vita, di amarlo, ma probabilmente ci staremo ancora chiedendo come sarebbe andata se…."
Marina ha detto...
RispondiEliminaCon Indipendente1 ci troviamo sulla stessa lunghezza d'onda.
Il Sig. Rocchi dice:
David Cameron metteva in evidenza come la felicità di un rapporto tra genitore e figlio vi è anche in presenza di un bambino gravemente disabile dalla nascita e destinato a morte certa; mi permetto di invitarLa a leggere anche il post "Storia di Andrea".
Ho letto il post, E POSSO DIRE CHE anche il rapporto di felicità tra genitore e figlio dipende dal tipo di concezione di vita, DALLA SENSIBILITA', DALL'EDUCAZIONE, E DALLE ESPERIENZE DI VITA PROPRIE E DELLE PERSONE CONOSCIUTE.
Significativo è il caso del PRIMO BAMBINO SELEZIONATO GENETICAMENTE IN SPAGNA PER SALVARE IL FRATELLO:
http://medicinaesalute.myblog.it/archive/2009/03/14/bambino-nato-per-curare-il-fratello.html
Anche qui, la visione di vita, gioca un ruolo fondamentale.
Marina N.
Il post, ovviamente, non ha alcuna pretesa se non quella di far conoscere un'esperienza straordinaria di accoglienza alla vita (e di segnalare il sito La Quercia Millenaria, davvero bello e ricco).
RispondiEliminaSe la visione della vita gioca un ruolo fondamentale, come dice Marina: ecco, proponiamo ai lettori la visione della vita dei due genitori di Andrea!
Giacomo Rocchi
E perchè non utilizzare anche il post, per dare un giudizio sul caso da me segnalato?
RispondiEliminaMettendo a paragone i due casi.
Nel caso specifico spagnolo, e NON IN GENERALE, aver selezionato gli embrioni per salvare un bambino di 7 anni, è ALTRUISMO o EGOISMO?
Marina N.
"Nel caso specifico spagnolo, e NON IN GENERALE, aver selezionato gli embrioni per salvare un bambino di 7 anni, è ALTRUISMO o EGOISMO?"
RispondiEliminaMarina N. introduce due termini - altruismo ed egoismo - che presuppongono un giudizio morale sulla condotta: come tale si tratta di spirito diverso da quello del post (e anche da quello del post riguardante il figlio di David Cameron) che non vuole giudicare altri, ma solo mostrare la possibilità di accoglienza della vita in qualunque situazione si trovi.
Ciò premesso: è la fecondazione artificiale in sé ad essere un male, in quanto comporta la produzione dell'uomo e, di per sé, ne nega la dignità: l'uomo viene considerato un prodotto, una cosa, che deve servire a soddisfare determinate esigenze (in certi casi legittime) e come tale deve essere esente da imperfezioni, selezionabile, utilizzabile nel momento in cui si vuole. Non è un caso che le tecniche di fecondazione artificiale producano, di per sé, la morte di una gran quantità di embrioni prodotti e ciò nonostante si continuino ad usare impunemente: degli embrioni che muoiono nessuno se ne cura.
Scendendo, quindi, al caso spegnolo segnalato da Marina, nessuno stupore: abbiamo già visto embrioni selezionati, congelati, dissolti, impiantati in uteri di animali, sezionati, mischiati con materiale di origine animale, clonati. Piuttosto queste tecniche disumane devono, ogni tanto, "ripulirsi la faccia" e presentare i loro mirabolanti effetti salvifici per nascondere il mare di denaro che circola dietro ai laboratori.
Quindi, quanto al caso spagnolo: a) probabilmente molti embrioni erano morti prima di giungere ai sette selezionati; b) sei embrioni sono stati uccisi (o congelati: non lo so) proditoriamente; c) l'embrione selezionato, prima di esserlo, era stato ferito e quindi leso nella sua integrità fisica (la diagnosi genetica preimpianto presuppone l'estrazione di una o due cellule delle otto che compongono l'embrione) e quindi è stato messo in pericolo di vita (non è da escludere che l'avvenuta diagnosi genetica preimpianto possa avere degli strascichi anche nella sua vita di bambino); d) egli è stato visto, poi, non come dono, valore in sé, uomo degno di essere considerato tale per il solo fatto di esserlo, ma come strumento per un determinato fine: quali saranno le conseguenze sulla futura sua crescita in famiglia e sui suoi rapporti con i genitori e il fratello è difficile dire, ma l'inizio non è certo dei migliori ...
E allora, Marina: lo dica Lei se è altruismo o egoismo!
Giacomo Rocchi