mercoledì 1 settembre 2010

Gli embrioni salvati sono quelli non prodotti artificialmente/ 4


"Clivaggio embrionale": si tratta della fase in cui nell'embrione formatosi (in vitro o nella fecondazione naturale) iniziano le prime divisioni mitotiche con la formazione di numerosi blastomeri.

Il clivaggio viene osservato dai tecnici della fecondazione in vitro al fine di decidere il "se" e il "quando" del trasferimento embrionale. Secondo alcuni studi la velocità delle divisioni e le modalità in cui esse avvengono (simmetriche o meno) sono indici che aiutano a prevedere le probabilità di successo nel successivo trasferimento in utero (se, cioè, l'embrione riuscirà o meno ad attecchire così da instaurare una gravidanza).

Perché interessa questo fenomeno?
Abbiamo visto come le Relazioni del Movimento per la Vita sull'attuazione della legge 40 e l'articolo sul Sì alla Vita di luglio traccino una distinzione nettissima: gli embrioni trasferiti in utero sono "affidati alla natura" e, quindi, per la loro morte, non può parlarsi di "uccisione premeditata"; se, quindi, produciamo il numero di embrioni strettamente necessario per il trasferimento e trasferiamo tutti gli embrioni prodotti in vitro, nessuna responsabilità esiste per le decine di migliaia di embrioni che muoiono ogni anno per mancata instaurazione della gravidanza o per aborto spontaneo.

Questa linea di pensiero ha un presupposto: che nessun embrione in vitro muoia prima del trasferimento.

La Relazione ministeriale del 2010 (riferita ai risultati del 2008) riferisce che 366 cicli sono stati interrotti per "mancato clivaggio". L'embrione, quindi, non ha iniziato a dividersi (o ha interrotto le divisioni) e quindi è morto in provetta. Gli embrioni morti nel 2008 per questa causa sono quindi presumibilmente dai 700 ai 1.000.

Il fenomeno, per la verità, è ben noto: le statistiche parlano di un 10% di mancato clivaggio dell'embrione; quindi, solitamente, 1 embrione su 10 prodotti muore in provetta.

Come inquadrare queste morti nell'ottica dei documenti che stiamo commentando? Attribuendo la morte, anche in questo caso, alla "natura"? La provetta sembra il posto meno naturale che si possa immaginare per un embrione ...
La semplificazione che viene proposta non regge: gli embrioni vengono prodotti artificialmente con la consapevolezza che alcuni di loro moriranno in provetta, altri dovranno essere congelati, altri moriranno subito dopo il trasferimento per il mancato attecchimento, altri moriranno per aborto spontaneo, altri nasceranno morti (e molti dei nati vivi saranno sottopeso, con handicap ecc.).

L'elemento psicologico di chi fa fecondazione artificiale è una sola: provare e riprovare con tutti i mezzi possibili, a scapito della vita della stragrande maggioranza degli embrioni prodotti.

Non basta: la stessa statistica ministeriale parla di ben 5.255 cicli interrotti dopo il prelievo di oltre 30.000 ovociti. I vari motivi dell'interruzione sono indicati, ma - non possiamo non chiederci - in che modo le notizie trasmesse dai centri sono state controllate? Quando, ad esempio, i vari centri riferiscono di 2.159 casi di mancata fertilizzazione degli ovociti, come facciamo a sapere se, in realtà, questa fertilizzazione era avvenuta e gli embrioni erano stati scartati? Si pensi che, nel solo 2008, ben 127.450 ovociti prelevati sono stati scartati: a dire dei Centri, quindi, per nessuno di loro è stata tentata la fecondazione: chi controllerà questo dato, tenuto conto che si tratta di materiale buttato via?
Il fatto è che la legge, permettendo la fecondazione in vitro, ha lasciato mano libera agli operatori. Gli ovociti e gli embrioni in vitro sono, fino al trasferimento, nel loro pieno potere ed essi sono al riparo da qualsiasi controllo.

E come facciamo a fidarci di soggetti che, fino a poco tempo fa, producevano embrioni in gran quantità, li congelavano, li sottoponevano a diagnosi genetica preimpianto, li buttavano via, li usavano per ricerche?

Giacomo Rocchi

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