lunedì 11 ottobre 2010

Cosa dice davvero la legge 40?


Lorenza Violini, su "Il Sussidiario", commenta l'ennesima ordinanza del Tribunale di Firenze con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della legge 40 sulla fecondazione artificiale (cliccando sul titolo ci si collega all'intero articolo).

La Violini tenta di riassumere il contenuto della legge in due paragrafi dell'articolo:

"Ricordiamo che cosa diceva questa legge: essa aveva conferito piena
protezione giuridica agli embrioni, sancendo che essi non possono essere
prodotti/distrutti a scopo di ricerca, che non possono essere crioconservati e
che dunque, una volta prodotti - e non se ne sarebbero dovuti produrre più di
tre - avrebbero dovuto essere tutti impiantati a meno che, ictu oculi, non
risultassero inadatti all’impianto; niente diagnosi preimpianto, dunque, per le
chiare implicazioni eugenetiche che tale pratica avrebbe potuto ingenerare. La legge prevedeva (e per fortuna ancora prevede) un’autorizzazione per i centri che praticano tali interventi (mettendo così fine al cosiddetto “far west” procreativo), l’accesso alle tecniche solo per coppie accertatamente sterili (e quindi ragionevolmente stabili), il divieto di fecondazione eterologa, sanzioni non indifferenti per chi (medici) trasgredissero tali norme.
Insomma, un impianto coerente con la premessa, cioè con la necessità di tutelare
l’embrione pur consentendo, entro limiti, un accesso regolamentato alle nuove
tecniche procreative".


Davvero il contenuto della legge 40 è questo?

Colpisce, in primo luogo, il riferimento ad una norma che permetterebbe di non trasferire nel corpo della donna gli embrioni che risultassero inadatti all'impianto. La legge dice il contrario: che cioè tutti gli embrioni devono essere trasferiti, anche quelli per i quali è facile prevedere che non si impianteranno e moriranno subito dopo il trasferimento. Questa rigidità è stata subito sentita come illogica dai tecnici della fecondazione artificiale e, paradossalmente, si potrebbe ritenere illogica anche sotto il profilo della "tutela" dell'embrione: ha un senso costringere l'embrione ad un viaggio (quello dalla provetta all'utero materno) che lo porterà sicuramente a morte? Sono contraddizioni che conseguono al non riuscito compromesso che cercava il legislatore: permettere pratiche di produzione artificiale dell'uomo e, insieme, cercare di porre regole "a tutela" dell'embrione - ben sapendo che nove embrioni su dieci prodotti sono certamente destinati a morire.
In realtà, la vera coerenza è una sola: vietare la produzione artificiale dell'uomo.


La Violini, poi, parla di un divieto di congelamento degli embrioni: ignora che una norma permette esplicitamente il congelamento, stabilendo un limite ("la causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna") destinato ad essere ben presto (ancor prima della sentenza della Corte Costituzionale) allargato ed eluso?

Parla di un divieto di diagnosi genetica preimpianto: sa indicare una norma che reciti: "è vietata la diagnosi genetica preimpianto?": come stupirsi che i giudici abbiano sostenuto che questo divieto non esiste?

Quanto all'accesso alle sole coppie sterili: lo sa la Violini che, in molti casi, è la coppia ad autocertificare la propria sterilità?


Quanto alla stabilità della coppia che richiede di accedere alla fecondazione in vitro: non ricorda la Violini che possono accedere anche le coppie che si dichiarano conviventi, senza nessuna possibilità di controllo sull'effettività di tale stato?

E davvero il fatto che i centri che eseguono la fecondazione artificiale debbano essere autorizzati fa scomparire il "far west della provetta"? La Violini sa di qualche controllo da parte delle Regioni o del Ministero? Non è che l'autorizzazione serve, piuttosto, a distribuire soldi pubblici e a fornire un attestato di liceità alle pratiche che si eseguono?


Nella seconda parte dell'articolo la Violini se la prende con giudici, Corte Costituzionale e Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, tutti concordi nell'abbattere i limiti all'esercizio della fecondazione artificiale e conclude:

"Il Nobel al padre della fecondazione assistita non lascia spazio a equivoci sul
clima culturale che domina nelle nostra società e che considera diritto ogni
desiderio e discriminazione ogni possibile limite, anche il più ragionevole,
apposto a tutela della dignità di tutti gli essere umani, che sono da
considerarsi tali dal momento del concepimento fino alla loro fine
naturale."

Ma la legge 40, nel riconoscere il diritto agli adulti di ottenere la produzione artificiale dei loro figli in base al mero desiderio di genitorialità, non ha forse già contribuito a negare in radice la dignità degli embrioni prodotti?


Giacomo Rocchi

Nessun commento:

Posta un commento