Questo strumento nasce per evidenziare iniziative, idee, provocazioni, approfondimenti, a difesa della vita, dal concepimento naturale alla morte naturale.
domenica 29 agosto 2010
Gli embrioni salvati sono quelli non prodotti artificialmente/ 3
giovedì 26 agosto 2010
Gli embrioni salvati sono quelli non prodotti artificialmente/ 2
Quando parliamo di "salvare la vita a qualcuno" o di "evitare la morte di qualcuno" abbiamo in mente una persona viva in difficoltà che, per l'aiuto di altri, riesce a sopravvivere, a non morire. Con riferimento all'aborto procurato ciò è evidente: vi è una madre che, per le difficoltà che incontra, è intenzionata ad uccidere il bambino che ha in grembo; qualcuno la aiuta e la convince a far nascere il bambino. Il bambino, quindi, non viene ucciso, ma viene salvato.
Si può pensare a qualcosa del genere anche per gli embrioni fecondati in provetta? Certamente sì: la stessa legge 40 prevede che un embrione malato possa essere curato, anche manipolandolo. Ma è questo il "salvataggio" a cui si riferiscono le Relazioni del Movimento per la Vita sull'attuazione della legge 40? A ben vedere, sembra proprio di no.
Nella prima Relazione si indicava un numero - 7.876 embrioni - corrispondenti agli embrioni dei quali la legge 40 (dalla data della sua entrata in vigore fino al 2007) avrebbe "impedito la morte per scongelamento". Al numero si giungeva sulla base delle statistiche concernenti la morte degli embrioni congelati prima del 2004 e scongelati durante l'applicazione della legge. Si affermava, infatti, che "prima della legge moriva un embrione congelato su quattro" e si riteneva, quindi, provato che "il congelamento uccide gli embrioni". Poiché la legge imponeva la produzione massima di tre embrioni per volta e vietava il congelamento, quel numero corrispondeva a quello degli embrioni che - in assenza della legge - sarebbero stati prodotti in soprannumero, sarebbero stati congelati e poi scongelati, per avere la fine che si è detto.
Nella seconda relazione si ribadiva che "sopprimere un embrione prima del trasferimento significa averlo generato per farlo morire; generarlo e trasferirlo nel seno di una donna significa destinarlo alla nascita, anche se molto rara, affidandolo alla natura, sostituita dall'artificio della tecnica soltanto nella fase della generazione". Si riferiva che, nel triennio precedente "un embrione su dieci trasferiti nasce vivo", si richiamava il numero degli embrioni morti dopo lo scongelamento e si dimostrava un dato: il numero dei bambini nati vivi nei cicli nei quali erano stati utilizzati embrioni scongelati era di uno su venti (contro la percentuale di uno su dieci che si riscontra nelle tecniche con embrioni "freschi").
Seguiva un passaggio decisivo per comprendere il ragionamento che viene seguito: poiché dalle Relazioni ministeriali si evinceva il numero degli ovociti non utilizzati per la fecondazione, si poteva comprendere che, nel solo anno 2007 il numero di 53.595 ovociti - se non fosse stato vigente il limite massimo di tre embrioni producibili per ogni ciclo - sarebbe stato sottoposto a fecondazione; nel 2007, quindi, sarebbero stati prodotti 49.920 embrioni "soprannumerari" (cioè non destinati all'immediato trasferimento nel corpo della donna); sommati a quelli che sarebbero stati prodotti negli anni precedenti, la Relazione ricavava il numero di 120.000 concepiti di cui la legge 40 "ha evitato la morte" nel triennio 2005 - 2007.
L'ottica dell'articolo apparso nel numero di Luglio 2010 del Si alla Vita è la stessa: il numero di 38.000 indica gli embrioni che sarebbero stati prodotti se non fosse stato vigente il limite massimo di tre embrioni producibili; embrioni "soprannumerari" e, quindi, destinati alla sperimentazione o alla distruzione o al congelamento che, come si è visto, "uccide".
Abbiamo cercato di sintetizzare la linea di ragionamento che unisce i tre documenti. Si impone una constatazione: nessuno degli embrioni i cui numeri sono stati indicati sono mai esistiti. Non esiste, cioè, un solo embrione già in vita e in pericolo di morte che è stato salvato dalla morte: esistono soltanto "embrioni ipotetici", per i quali mai è avvenuta la fecondazione.
I documenti, quindi, sposano in pieno un'affermazione: l'unico modo per salvare la vita degli embrioni è quello di non produrli. Quanti meno embrioni vengono prodotti, tanti meno moriranno.
Perché, allora, non vietare del tutto la produzione artificiale degli embrioni? Davvero è differente produrre tre embrioni per volta, sapendo che nove su dieci embrioni prodotti moriranno rispetto a produrre un numero superiore di embrioni sapendo che 19 embrioni su 20 moriranno?
Approfondiremo ulteriormente la questione nei prossimi interventi.
Giacomo Rocchi
lunedì 23 agosto 2010
Gli embrioni salvati sono quelli non prodotti artificialmente/ 1
Come calcolare gli effetti di una legge - come la legge 40 del 2004 - che autorizza la fecondazione artificiale con il criterio della difesa del diritto alla vita degli embrioni?
E' noto che le tecniche di fecondazione artificiale hanno un tasso di mortalità degli embrioni "prodotti" (questo è il verbo che la legge utilizza quattro volte) altissimo: solo un embrione prodotto su 10, o, in certi casi, addirittura 1 su 15, diventa "bambino in braccio": cioè supera i terribili passaggi della coltivazione in provetta (se si tratta di fecondazione in vitro), del trasferimento nel corpo della donna con l'affannoso tentativo di attecchire, e della gravidanza, spesso assai difficoltosa, fino a giungere alla nascita (senza dimenticare che spesso si tratta di parti prematuri e di bambini con basso peso alla nascita).
Un ragionamento "banale" propone, quindi, questo calcolo (che ora, con le statistiche ministeriali annuali, è abbastanza preciso per le tecniche di fecondazione in vitro): se in un anno un certo numero di embrioni è stato creato e di quegli embrioni sono nati solo un numero inferiore di bambini, ciò significa che gli altri embrioni sono morti.
E poiché la cifra di embrioni morti sfiora (forse supera) i 100.000 annui, è facile definire la legge 40 una legge che ha autorizzato una strage che doveva essere invece vietata.
Il numero di morti permette di comprendere meglio le contestazioni antropologiche e filosofiche alle tecniche di fecondazione artificiale. Per fare un parallelo non casuale: forse qualcuno, durante il periodo in cui il nazismo governò in Germania, poteva avere dubbi su quella teoria, poteva non avere compreso la natura di ciò che stava accadendo: i milioni di morti che il nazismo provocò i dubbi li tolgono tutti.
Si obbietta che il ragionamento è sbagliato: che occorre, invece, distinguere tra le uccisioni VOLONTARIE degli embrioni e quelle involontarie; solo delle prime ci si deve interessare.
Il criterio per valutare l'effetto della legge dovrebbe essere quindi quello del numero degli embrioni salvati da un'uccisione volontaria.
Secondo questa linea di pensiero, "una volta che gli embrioni sono trasferiti in utero essi sono affidati alla natura" e, quindi, la loro morte non è effetto di un'uccisione premeditata.
Il ragionamento vale, quindi, sia per gli embrioni nati da fecondazione in vitro che da tecniche di inseminazione artificiale: per gli embrioni creati che non attecchiscono e muoiono si deve parlare di morte provocata dalla natura. Del resto, si aggiunge, il mancato attecchimento degli embrioni avviene anche nella fecondazione naturale (in misura non precisata).
Subito qualche osservazione preliminare: il ragionamento non tiene conto degli embrioni prodotti in vitro e morti PRIMA del trasferimento. Il loro numero si aggira su 15.000 embrioni all'anno.
Ancora: si tace sulla diretta correlazione tra tecniche di fecondazione artificiale e mancato attecchimento: eppure è ben noto che il trasferimento in utero dell'embrione creato in vitro rende assai difficile l'attecchimento, perché viene a mancare quel dialogo tra embrione e corpo della madre che spinge il secondo a prepararsi ad accogliere il primo.
Vedremo nel prossimo post le obiezioni decisive.
Giacomo Rocchi
martedì 17 agosto 2010
Ancora su "Un'Agenda bioetica..."
Con l’occasione desidero sottoporre alla Sua attenzione alcuni aspetti “medici” della legge 194/78 che mi sembrano particolarmente importanti:
1) La legge 194 (come le altre leggi permissive in materia d’aborto del mondo occidentale) non è stata richiesta dai medici, né in particolare dai ginecologi, ma è stata voluta esclusivamente dai politici. La ragione è che, già negli anni ’70, erano quasi completamente scomparse le indicazioni all’aborto terapeutico (inteso come mezzo assolutamente indispensabile per salvare la vita della madre o per evitare danni gravissimi alla sua salute) grazie allo straordinario sviluppo della medicina avvenuto a partire dagli anni ’50. Anche la mortalità per aborto clandestino era molto rara ( circa 30 decessi all’anno, lo 0,2% della mortalità femminile in età feconda). Per quei casi rarissimi in cui, per ragioni mediche, l’aborto terapeutico era assolutamente indispensabile, questo era legalmente possibile anche prima della legge 194 ricorrendo all’articolo 54 del codice penale (stato di necessità). Negli anni ’70, quindi, i medici italiani non chiedevano un allargamento delle indicazioni dell’aborto legale ma nuove leggi che permettessero i trapianti d’organo. Queste sì erano necessarie per salvare delle vite umane, non la legge 194.
2) La legge 194, mai richiesta dai medici, è stata invece tenacemente voluta dai soli politici esclusivamente per motivi ideologici. Le ideologie che promuovono le leggi abortiste, entrambe di origine anglosassone, sono:
a) l’ideologia femminista radicale che vede nella scelta della donna (choice) fra proseguire o abortire un suo diritto irrinunciabile per la parificazione della donna rispetto all’uomo e alla società.
b) L’ideologia antinatalista neomaltusiana che ispira la potentissima IPPF ( International Planned Parenthood Federation) che, ha partire dal 1969, promuove in tutto il mondo leggi permissive in materia di aborto con lo scopo di abbattere, anche con questo mezzo, la crescita della popolazione mondiale. Fin dall’inizio degli anni ’70 questa politica è fortemente sostenuta e finanziata dai Presidenti Democratici degli USA, da numerose fondazioni nord-americane ed è stata sponsorizzata dall’ ONU tramite l’UNFPA (United Nations Fund for Population Activities), e dall’Unione Europea.
3) Per promuovere la legge 194, negli anni ’70, i politici (Pannella in testa) hanno ipocritamente assunto il ruolo di difensori e promotori della salute delle donne. Secondo loro era indispensabile approvare una legge permissiva in materia di aborto legale perché ogni anno in Italia morivano per aborto clandestino 20000-25000 donne. Queste cifre sono state divulgate da giornali come il Corriere della Sera e La Stampa e sono state riportate anche in tre disegni di legge depositati in Parlamento nel 1972. Se queste affermazioni fossero state vere la Soc. Italiana di Ostetricia e Ginecologia e anche la Magistratura se ne sarebbero accorte ben prima dei politici. Cifre assurde, allora mai ufficialmente smentite né dalla Società di Ostetricia e Ginecologia né dai competenti organi della Magistratura. Queste menzogne inaudite hanno però contribuito potentemente all’approvazione della legge 194.
4) La sentenza della Corte Costituzionale n° 27 del 12/ 2/ 1975 afferma la liceità costituzionale del solo aborto terapeutico diretto a proteggere non solo la vita, ma anche la salute della madre. La sentenza però precisa: “…… ritiene anche la Corte che sia obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione……. ". Perciò non sono costituzionalmente ammissibili né l’aborto a semplice richiesta della donna nei primi 90 giorni di gravidanza, né l’aborto eugenetico. Come ha fatto allora il legislatore a legalizzare “di fatto” l’aborto a richiesta e l’aborto eugenetico? Ha regolamentato per legge il solo aborto terapeutico, stabilendo però che nei primi 90 giorni di gravidanza è la sola donna che, a suo insindacabile giudizio, valuta se l’aborto è necessario per la sua salute fisica o psichica e decide di richiederlo al Sevizio Sanitario, che è obbligato ad eseguirlo. Nel caso di “rilevanti anomalie o malformazioni” l’aborto è legale fino alla 24a settimana di gravidanza perché mettere al mondo un figlio malato o con una malformazione rappresenta un “pericolo” per la salute, anche solo psichica, della madre persino quando la malformazione o la malattia potrebbero essere corrette o guarite prima o dopo la nascita.
Conclusione: In trent’anni sono stati eseguiti in Italia cinque milioni di aborti, tutti “formalmente terapeutici”, per salvaguardare la salute fisica e psichica della madre, in un’epoca in cui il progresso della medicina ha quasi del tutto azzerato la necessità del vero aborto terapeutico e permette di tutelare la salute delle donne e dei nascituri in modo ben diverso . Al contrario i politici, con la legge 194/78 e con la collaborazione dei medici non obbiettori, sono riusciti ad uccidere un numero di vite umane superiore a quello che, nello stesso periodo di tempo, ha ucciso il cancro. Non pensa, dr. Privitera, che questo sia un fatto umanamente e scientificamente inaccettabile, e che in questo campo la medicina sia diventata serva dell’ideologia?
Cordiali saluti
Dr. Roberto Algranati
sabato 14 agosto 2010
Sulla pelle dei neonati
giovedì 12 agosto 2010
Ottimismo o bandiera bianca?
"Stanno maturando i tempi perché abortisti e anti-abortisti (per usare formule stereotipate, ma immediatamente comprensibili) ricorrano a un processo di «apprendimento complementare»: un processo legittimato dal fatto che sia gli uni che gli altri valutano l’esperienza abortiva come una ferita, che il più delle volte si trasforma in una piaga che non è possibile risanare.
Nei tanti anni che sono passati da quando è stata approvata in Italia la legge sull’aborto, quasi tutti gli anti-abortisti e i movimenti in cui essi militano sono giunti a convincersi dell’impossibilità di fronteggiare il fenomeno aborto, in una società secolarizzata, con una mera legislazione repressiva.
Si è trattato di un «apprendimento» non facile, che ha consentito però il nascere di nuove e diverse forme di impegno per l’aiuto alla vita, per la difesa della famiglia, per l’educazione dei giovani a una sessualità responsabile.
Coloro che si sono battuti per la legalizzazione dell’aborto dovrebbero a loro volta mettere a frutto l’esperienza di questi anni e arrivare a capire, prendendo sul serio l’impegno degli anti-abortisti, che l’aborto non è mai da pensare come un «diritto» e meno che mai come un «diritto fondamentale» e che, di conseguenza, non è combattendo l’obiezione di coscienza che si aiutano le donne tentate dal desiderio di ricorrere all’interruzione della gravidanza, ma attivando forme di sostegno umano, psicologico, sociale (e – perché no? – morale e spirituale). In questo senso gli abortisti hanno ancora molto da «apprendere».
Nessuno può essere così ingenuo da pensare che sull’aborto si possa giungere a valutazioni morali condivise; ma che per quel che concerne la lotta contro l’aborto ci si possa muovere nello stesso senso, questo sì che è possibile – con un pizzico di ottimismo – pensarlo"
Ottimismo?
Su quello che pensano gli "abortisti" sull'aborto, temo che D'Agostino sbagli: l'aborto è ormai un diritto fondamentale perché il bambino non esiste, è scomparso, deve essere nascosto alla donna (che, poi, magari, comprende appieno dopo cosa è davvero successo).
Sulla rinuncia ad una legislazione repressiva dell'aborto: D'Agostino è preciso nell'indicare come "quasi" tutti i movimenti prolife siano su questa linea. L'Autore, però, confonde le acque quando posiziona "gli altri" (gli irragionevoli, gli intransigenti) come coloro che credono necessaria una "mera legislazione repressiva": cioè finge che chi, come noi, ritiene necessaria la punizione penale dell'aborto, sia interessato soltanto alla punizione penale e a nient'altro. In sostanza D'Agostino "inventa" un ghetto di irresponsabili, reazionari, repressivi ecc..
Perché fa questo? Per esaltare gli "antiabortisti buoni": e qui lascia cadere una falsità grossolana. Secondo lui l'impegno per la vita e per la famiglia sarebbe conseguenza della presa di coscienza che la legislazione non deve essere repressiva! Ecco: i "buoni" che si danno da fare nel volontariato, nell'educazione dei giovani, nell'aiuto alle famiglie: lo fanno perché hanno capito che nessuna sanzione penale deve essere irrogata; i "cattivi", quelli che rimuginano su come mandare in carcere le donne ...
Ecco trovata la soluzione, con quel "pizzico di ottimismo"! Noi - dice D'Agostino - rinunciamo ad ogni battaglia legislativa (perché, aggiunge, ci eravamo sbagliati quando abbiamo combattuto l'approvazione della legge 194 ...) e ci diamo da fare nel volontariato; voi (è una supplica, in realtà ...) almeno lasciate in pace gli obbiettori di coscienza!
In questo modo staremmo tutti tranquilli e potremo occuparci di altre cose meno fastidiose ...
Giacomo Rocchi
mercoledì 11 agosto 2010
Numeri
sabato 7 agosto 2010
Un'Agenda bioetica o le solite bufale?
E’stata presentata l’agenda bioetica del Governo, un documento nel quale si rivendica una linea costante dell’esecutivo e si indicano delle linee di azione per il futuro.
Sembrerebbe una buona notizia (anche se i politici sono soliti proclamare pubblicamente le proprie ottime intenzioni per il futuro e i cittadini hanno imparato che i proclami sono una cosa, ma le effettive realizzazioni sono un’altra …).
Ma la lettura del documento fa scoprire come questa “linea di azione” si fondi su affermazioni false e così, giunga a propositi non condivisibili.
Sentiamo cosa dice il governo:
“La legge 194 che consente, a certe condizioni, l’interruzione dellaL’affermazione è gravemente falsa: la legge 194, nei primi novanta giorni dal concepimento, riconosce l’aborto come un diritto individuale assoluto della donna, che può interrompere la gravidanza sulla base della sola volontà e per qualunque motivo; nei mesi successivi la legge permette, per di più, l’aborto eugenetico, menzionando le possibili malattie o malformazioni del bambino come causa di ricorso ad esso.
gravidanza, non considera l’aborto come diritto ma come estrema e dolorosa
ratio, da evitare, ove possibile, con interventi di prevenzione a favore della
vita”.
Gli “interventi di prevenzione a favore della vita” sono facoltativi (non è nemmeno obbligatorio il passaggio in un consultorio) e resi vani dal previo riconoscimento alla donna di abortire se lo vuole.
“In questo senso, vogliamo scongiurare l’eventualità che l’introduzione di nuove tecniche (ad esempio il metodo farmacologico) porti a una concezione dell’aborto non come problema sociale ma come diritto privato, approdandoL’aborto è già un “diritto privato”, tanto che i Giudici civili risarciscono le donne che sono state impedite ad esercitare questo diritto. Quella che viene chiamata “privatizzazione dell’aborto” è già stata attuata con la contraccezione abortiva, con la cd. “pillola del giorno dopo” e lo sarà ancor di più con la cd. “pillola dei cinque giorni dopo”: tutte pratiche capaci di uccidere l’embrione già formato e che la legge 194, insieme con il Governo, si guardano bene dal vietare, fingendo che, se non vi è “gravidanza” non vi possa essere “interruzione di gravidanza”, anche se un embrione viene ucciso impedendogli di essere accolto nel corpo della madre.
all’aborto a domicilio”.
“Proponiamo un Piano federale per la vita, da costruire nella collaborazione tra il Ministero e le Regioni, che finalmente dia piena applicazione alla parte finora meno considerata della legge 194, quella della tutela della maternità e della prevenzione.”
Non esiste una “parte buona” della legge 194 e il fatto che quegli ipocriti
articoli che parlano di prevenzione non abbiano trovato attuazione è inevitabile conseguenza della natura della legge: davvero pensiamo che la “tutela della maternità” possa venire da una legge che legittima l’uccisione dei bambini non ancora nati?
“Siamo un paese “modello” per la battaglia contro l’aborto: abbiamo tassi diIl sottosegretario Roccella si è dimenticata dei cinque milioni di bambini uccisi in questi trent’anni? E di tutti quelli soppressi con la contraccezione abortiva e le “pillole che uccidono”? Si è forse dimenticata delle donne straniere che, negli ultimi anni, sono venute nel nostro paese e che, in forza della assoluta libertà di abortire, hanno ripetuto l’uccisione del bambino tre, quattro, cinque volte? Si è dimenticata degli aborti clandestini, la cui sparizione era un obbiettivo sbandierato all’epoca di approvazione della legge, che sono sempre decine di migliaia ogni anno?
abortività tra più bassi in Europa, in costante diminuzione dagli anni
ottanta”.
“Vogliamo difendere la legge italiana sulla Pma, approvata dal Parlamento, confermata da un referendum, e sostanzialmente riconfermata dall’intervento della Corte costituzionale che ne ha lasciato invariato l’impianto. La nostra legge non consente pratiche di selezione eugenetiche, e lega l’accesso alla Pma all’infertilità.”Che una legge sia approvata dal Parlamento pare scontato; che sia confermata da un referendum non la rende di per sé una legge giusta (fu confermata da un referendum anche la legge sull’aborto). Il sottosegretario finge che la legge permetta l’accesso alle sole coppie infertili e, soprattutto, finge che essa non permetta pratiche di selezione eugenetica: la selezione eugenetica degli embrioni è insita nelle stesse tecniche di fecondazione in vitro, che lo considerano un prodotto, una cosa senza alcuna dignità; come la Corte Costituzionale ha sancito (e prima della Corte i giudici civili), la legge permette la produzione di un numero di embrioni indefinito, permette che alcuni siano congelati (ovviamente dopo essere stati selezionati) e non vengano trasferiti nel corpo della madre, permette la diagnosi genetica preimpianto, permette l’accesso alle tecniche a coppie che non sono sterili, non impedisce l’accesso ai singoli, mediante trucchi facilissimi e non puniti, rende di fatto possibile la fecondazione eterologa.
Soprattutto quella legge permette che ogni anno 70.000 – 80.000 embrioni (un numero che cresce ogni anno) vengano prodotti con la certezza della loro morte, così sommandosi questo enorme numero a quello dei bambini abortiti.
“Il caso Englaro, pur nella tragica conclusione, meglio di ogni altro ha indicato le priorità del Governo riguardo al valore indiscusso della vita. Si
conferma il principio di precauzione e un no fermo a ogni forma di eutanasia.
L’impegno del Governo per arrivare a una legge nazionale che stabilisca il
principio del consenso informato e assicuri l’attuazione dell’articolo 32 della
Costituzione e la libertà di scegliere le terapie è stato, in questi mesi,
costante.”
L’uccisione volontaria di Eluana Englaro non ha niente a che vedere con il principio del consenso informato e con la libertà di scegliere le terapie: è stata – il Sottosegretario Roccella sembra non accorgersene – l’eutanasia praticata su una disabile incosciente in ragione dell’inaccettabilità per gli altri del suo stato.
Il problema non è, quindi, quello di permettere a tutti di esprimere la propria volontà di essere ucciso in un futuro incerto, ma quello di impedire che disabili come Eluana Englaro, bambini prematuri, anziani dementi, pazienti gravi, vengano fatti morire negando loro le cure necessarie.
La legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, invece, permette proprio queste pratiche, sia pure nascondendole sotto la falsa rivendicazione secondo cui “nessuno può decidere per te!”.
Diffidiamo di “agende bioetiche”, soprattutto se basate sulla preventiva accettazione che leggi ingiuste siano buone e che progetti su cui si sta formando un consenso in Parlamento siano destinati a produrre leggi buone.
Il dovere della verità impone di guardare con realismo a quello che succede davvero: ai bambini e agli embrioni che vengono uccisi, alle donne lasciate sole nella desolazione dell’aborto, ai vecchi, disabili e deboli cui verrà presto prospettato un “dovere di morire”.