"Stanno maturando i tempi perché abortisti e anti-abortisti (per usare formule stereotipate, ma immediatamente comprensibili) ricorrano a un processo di «apprendimento complementare»: un processo legittimato dal fatto che sia gli uni che gli altri valutano l’esperienza abortiva come una ferita, che il più delle volte si trasforma in una piaga che non è possibile risanare.
Nei tanti anni che sono passati da quando è stata approvata in Italia la legge sull’aborto, quasi tutti gli anti-abortisti e i movimenti in cui essi militano sono giunti a convincersi dell’impossibilità di fronteggiare il fenomeno aborto, in una società secolarizzata, con una mera legislazione repressiva.
Si è trattato di un «apprendimento» non facile, che ha consentito però il nascere di nuove e diverse forme di impegno per l’aiuto alla vita, per la difesa della famiglia, per l’educazione dei giovani a una sessualità responsabile.
Coloro che si sono battuti per la legalizzazione dell’aborto dovrebbero a loro volta mettere a frutto l’esperienza di questi anni e arrivare a capire, prendendo sul serio l’impegno degli anti-abortisti, che l’aborto non è mai da pensare come un «diritto» e meno che mai come un «diritto fondamentale» e che, di conseguenza, non è combattendo l’obiezione di coscienza che si aiutano le donne tentate dal desiderio di ricorrere all’interruzione della gravidanza, ma attivando forme di sostegno umano, psicologico, sociale (e – perché no? – morale e spirituale). In questo senso gli abortisti hanno ancora molto da «apprendere».
Nessuno può essere così ingenuo da pensare che sull’aborto si possa giungere a valutazioni morali condivise; ma che per quel che concerne la lotta contro l’aborto ci si possa muovere nello stesso senso, questo sì che è possibile – con un pizzico di ottimismo – pensarlo"
Ottimismo?
Su quello che pensano gli "abortisti" sull'aborto, temo che D'Agostino sbagli: l'aborto è ormai un diritto fondamentale perché il bambino non esiste, è scomparso, deve essere nascosto alla donna (che, poi, magari, comprende appieno dopo cosa è davvero successo).
Sulla rinuncia ad una legislazione repressiva dell'aborto: D'Agostino è preciso nell'indicare come "quasi" tutti i movimenti prolife siano su questa linea. L'Autore, però, confonde le acque quando posiziona "gli altri" (gli irragionevoli, gli intransigenti) come coloro che credono necessaria una "mera legislazione repressiva": cioè finge che chi, come noi, ritiene necessaria la punizione penale dell'aborto, sia interessato soltanto alla punizione penale e a nient'altro. In sostanza D'Agostino "inventa" un ghetto di irresponsabili, reazionari, repressivi ecc..
Perché fa questo? Per esaltare gli "antiabortisti buoni": e qui lascia cadere una falsità grossolana. Secondo lui l'impegno per la vita e per la famiglia sarebbe conseguenza della presa di coscienza che la legislazione non deve essere repressiva! Ecco: i "buoni" che si danno da fare nel volontariato, nell'educazione dei giovani, nell'aiuto alle famiglie: lo fanno perché hanno capito che nessuna sanzione penale deve essere irrogata; i "cattivi", quelli che rimuginano su come mandare in carcere le donne ...
Ecco trovata la soluzione, con quel "pizzico di ottimismo"! Noi - dice D'Agostino - rinunciamo ad ogni battaglia legislativa (perché, aggiunge, ci eravamo sbagliati quando abbiamo combattuto l'approvazione della legge 194 ...) e ci diamo da fare nel volontariato; voi (è una supplica, in realtà ...) almeno lasciate in pace gli obbiettori di coscienza!
In questo modo staremmo tutti tranquilli e potremo occuparci di altre cose meno fastidiose ...
Giacomo Rocchi
Ho già sentito fare discorsi simili da qualcun'altro che ha desistito a combattere l'aborto, si tratta delle vittime della battaglia, che cercano di dimostrare le strade alternative alla verità..... ma non scoraggiamoci accettare le leggi ingiuste non fa parte di noi.
RispondiEliminaSaluti