lunedì 23 agosto 2010

Gli embrioni salvati sono quelli non prodotti artificialmente/ 1


Come calcolare gli effetti di una legge - come la legge 40 del 2004 - che autorizza la fecondazione artificiale con il criterio della difesa del diritto alla vita degli embrioni?

E' noto che le tecniche di fecondazione artificiale hanno un tasso di mortalità degli embrioni "prodotti" (questo è il verbo che la legge utilizza quattro volte) altissimo: solo un embrione prodotto su 10, o, in certi casi, addirittura 1 su 15, diventa "bambino in braccio": cioè supera i terribili passaggi della coltivazione in provetta (se si tratta di fecondazione in vitro), del trasferimento nel corpo della donna con l'affannoso tentativo di attecchire, e della gravidanza, spesso assai difficoltosa, fino a giungere alla nascita (senza dimenticare che spesso si tratta di parti prematuri e di bambini con basso peso alla nascita).

Un ragionamento "banale" propone, quindi, questo calcolo (che ora, con le statistiche ministeriali annuali, è abbastanza preciso per le tecniche di fecondazione in vitro): se in un anno un certo numero di embrioni è stato creato e di quegli embrioni sono nati solo un numero inferiore di bambini, ciò significa che gli altri embrioni sono morti.
E poiché la cifra di embrioni morti sfiora (forse supera) i 100.000 annui, è facile definire la legge 40 una legge che ha autorizzato una strage che doveva essere invece vietata.
Il numero di morti permette di comprendere meglio le contestazioni antropologiche e filosofiche alle tecniche di fecondazione artificiale. Per fare un parallelo non casuale: forse qualcuno, durante il periodo in cui il nazismo governò in Germania, poteva avere dubbi su quella teoria, poteva non avere compreso la natura di ciò che stava accadendo: i milioni di morti che il nazismo provocò i dubbi li tolgono tutti.

Si obbietta che il ragionamento è sbagliato: che occorre, invece, distinguere tra le uccisioni VOLONTARIE degli embrioni e quelle involontarie; solo delle prime ci si deve interessare.
Il criterio per valutare l'effetto della legge dovrebbe essere quindi quello del numero degli embrioni salvati da un'uccisione volontaria.
Secondo questa linea di pensiero, "una volta che gli embrioni sono trasferiti in utero essi sono affidati alla natura" e, quindi, la loro morte non è effetto di un'uccisione premeditata.
Il ragionamento vale, quindi, sia per gli embrioni nati da fecondazione in vitro che da tecniche di inseminazione artificiale: per gli embrioni creati che non attecchiscono e muoiono si deve parlare di morte provocata dalla natura. Del resto, si aggiunge, il mancato attecchimento degli embrioni avviene anche nella fecondazione naturale (in misura non precisata).

Subito qualche osservazione preliminare: il ragionamento non tiene conto degli embrioni prodotti in vitro e morti PRIMA del trasferimento. Il loro numero si aggira su 15.000 embrioni all'anno.
Ancora: si tace sulla diretta correlazione tra tecniche di fecondazione artificiale e mancato attecchimento: eppure è ben noto che il trasferimento in utero dell'embrione creato in vitro rende assai difficile l'attecchimento, perché viene a mancare quel dialogo tra embrione e corpo della madre che spinge il secondo a prepararsi ad accogliere il primo.

Vedremo nel prossimo post le obiezioni decisive.

Giacomo Rocchi

5 commenti:

  1. Alla FIVET non si può attribuire un effetto abortivo diretto, dato che il suo effetto principale è quello di realizzare un concepimento e avviare una gravidanza.
    L'effetto abortivo SECONDARIO non ha in sé peso morale a meno che non aumenti il numero degli embrioni che non giungono a nascita. Ma questo non avviene, se si tiene presente l'abortività naturale. ERGO: la FIVET è immorale per altre ragioni, non per questa.
    Piuttosto, se si dimostra un consistente aumento di aborti indiretti a causa della iperstimolazione ormonale ovarica è questa che va giudicata negativamente su un piano morale ed eventualmente anche giuridico.
    Io rispetto la sua opinione, che è contraria alla mia. Non ritengo che essa nasca da una intenzione fraudolenta.
    Piuttosto ritengo che sorga dal non considerare due punti: 1) la differenza, sul piano morale tra l'aborto procurato e l'aborto come conseguenza non voluta; 2) il non considerare gli ingenti esiti abortivi dei processi di fecondazione naturale, specialmente in caso di coppie sterili su cui si interviene medicalmente.
    Distinti saluti.

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  2. Alla FIVET non si può attribuire un effetto abortivo diretto, dato che il suo effetto principale è quello di realizzare un concepimento e avviare una gravidanza.
    L'effetto abortivo SECONDARIO non ha in sé peso morale a meno che non aumenti il numero degli embrioni che non giungono a nascita. Ma questo non avviene, se si tiene presente l'abortività naturale. ERGO: è immorale per altre ragioni, non per questa.
    Piuttosto, se si dimostra un consistente aumento di aborti indiretti a causa della iperstimolazione ormonale ovarica è questa che va giudicata negativamente su un piano morale ed eventualmente anche giuridico.
    Io rispetto la Sua opinione, che è contraria alla mia.
    Ritengo che sorga dal non considerare due punti: 1) la differenza, sul piano morale tra l'aborto procurato e l'aborto come conseguenza non voluta; 2) il non considerare gli ingenti esiti abortivi dei processi di fecondazione naturale, specialmente in caso di coppie sterili su cui si interviene medicamente.
    Distinti saluti.

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  3. Credo che un nesso di causalità universalmente accettabile, comprensibile e condivisibile per chiunque sia animato da un minimo di rettitudine sia l'IPERSTIMOLAZIONE OVARICA.

    La fecondazione extracorporea "in se" - agli occhi di un incompetente del Diritto - temo non possa ambire al rango di nesso di causalità per la morte dei nascituri.
    Le argomentazioni che mi portano a quanto affermato - premesso che non ritengo la FIVET adeguata alla natura della procreazione umana per "altri" motivi sostanziali - sono:


    Nella procreazione fisiologica di coppie sane la percentuale di concepiti che muoiono prima che la donna sappia di essere gravida è rilevantissima pur questo avvenendo nell'oscuro dell'organismo materno.

    Premesso che l'inferilità non è malattia ma sintomo di altre patologie che la determinano, nelle coppie affette la percentuale di concepiti che muoiono - ammesso pure che sia più alta che nelle coppie sane - non è a quella paragonabile. Anche se qui ne conosciamo a volte l'entità, trattasi di classi di popolazione disomogenee: sane le prime, diversamente sane le seconde (con conseguenze diverse sugli esiti materni, fetali e neonatali della gravidanza).

    Una lesione del diritto alla vita dei nascituri può sospettarsi ogni qual volta che - per effetto dell'induzione di una superovulazione (o ovulazione multipla) - la già elevata percentuale di morte "naturale" legata al processo fisiologico della procreazione verrebbe volontariamente e premeditatamente moltiplicata per quanti sono gli ovociti che - artificialmente - verrebbero messi a disposizione per un concepimento nello stesso ciclo (fino a 3 in vitro con la legge 40 approvata in parlamento; fino a 4 / 6 / e anche fino a 10 o più in vitro - a giudizio del medico, che tiene conto della patologia della coppia come consentito dalle modifiche apportate alla legge dai giudici - o in vivo dove ogni controllo è precluso).
    In tal modo, la probabilità "naturale" di morte - tanto più bassa quanto più precocemente in un susseguirsi di cicli fisiologici giunge una fisiologica evoluzione della gravidanza - verrebbe qui artificialmente anticipata, incrementata esponenzialmente e concentrata in un unico iniziale ciclo, neutralizzando così la gradualità di probabilità prevista in natura dal susseguirsi di cicli fisiologici.
    Cio avviene dopo fecondazione extracorporea, inseminazione artificiale (intracorporea), normale rapporto coniugale, se - tutti - associati a stimolazione di superovulazione: per gli embrioni che non attecchiscono - ma anche per tutti quelli che muoiono successivamente all'annidamento - si potrebbe parlare di uccisione premeditata.

    Risibile tenere conto di embrioni concepiti in vitro e morti prima del trasferimento; anche in vivo un ben maggior numero di embrioni muore nei primi 3 giorni di vita (durante la "crociera lungo la tuba" che è la prima culla dell'uomo) e prima di aver ultimato il naturale trasferimento in utero.

    Circa i concreti e reali dubbi nella diretta correlazione tra tecniche di fecondazione artificiale "in se" e mancato attecchimento è da sottolineare come l'annidamento in utero di embrioni concepiti contemporaneamente in vivo a seguito di una superovulazione nell'identico ciclo è resa più difficile dalla ridotta capacità nidatoria della mucosa uterina conseguente l'iperstimolazione ormonale dell'ovulazione multipla.
    Anche questo avviene dopo fecondazione extracorporea, inseminazione artificiale (intracorporea), normale rapporto coniugale, se - tutti - associati a stimolazione di superovulazione.

    Da menzionare infine le cause legate alle patologie della coppia che (oltre a determinare un ostacolo al concepimento) alterano quel dialogo tra embrione e corpo della madre che spinge - nelle coppie sane - il secondo a prepararsi ad accogliere il primo.

    (continua nel commento successivo)...
    Rino Privitera - cirinoprivitera@alice.it

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  4. (... segue dal commento precedente)

    Quanto esposto ha risvolti anche sotto il profilo etico.
    Occorre distinguere tra uccisione VOLONTARIA degli embrioni e MORTE NATURALE.
    Il criterio per valutare l'effetto della legge 40 dovrebbe essere quello del numero degli embrioni salvati da un'uccisione volontaria, dall'azione di un omicida. Ma il definire omicida un uomo che non lo è rappresenta un abitudine riprovevole a cui andrebbe posto seriamente un argine.

    Questa linea di pensiero non è ovviamente in alcun modo correlabile a quella accennata per cui "una volta che gli embrioni sono trasferiti in utero essi sono affidati alla natura e, quindi, la loro morte non è effetto di un'uccisione premeditata". Quest'ultima è solo un'altra - diversa - linea di pensiero di cui sarebbe utile conoscere l'autore. Un tentativo costruttivo di dialogo - chissà - potrebbe anche determinare modifiche di posizioni.

    Sappiamo tutti che la verità giuridica potrebbe non corrispondere alla realtà. Ciò costituisce "in se" un fatto eticamente rilevante. Trattasi - però - di altro argomento.
    Nonostante la cifra di embrioni morti per procreazione fisiologica sia enorme, è facile immaginare che una legge che venisse a regolamentarne alcuni aspetti (penso, solo per esempio, all'opportunità di scoraggiare il matrimonio tra consanguinei, per gli esiti negativi sui nascituri) difficilmente verrebbe definita una "legge che autorizza una strage che doveva essere invece vietata"; né accadrebbe che questo enorme numero di morti per procreazione fisiologica abbia alcuna correlazione con gli apprezzamenti antropologici e filosofici a questo piacevole dolce modo di procreare.

    Risibile infine il parallelo proposto nel post, tanto più non attinente all'argomento quanto - per di più - definito "non casuale".

    Con viva cordialità
    Rino Privitera - cirinoprivitera@alice.it

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  5. Scusandomi di aver pubblicato i commenti in ritardo, voglio solo precisare che la frase virgolettata concernente l'affidamento alla natura degli embrioni trasferiti in utero è presente nelle Relazioni del Movimento per la Vita e nell'articolo sul Sì alla Vita di luglio 2010 che sono oggetto di questo e dei successivi post.
    Pur non essendo un moralista. mi sembra di poter dire che insistere sul parallelo tra gli esiti della fecondazione naturale e quelli della fecondazione artificiale tenda a nascondere due dati: il primo è che gli embrioni prodotti artificialmente non sono gli stessi - non sono gli stessi soggetti, le stesse persone - rispetto a quelli fecondati naturalmente. Sono persone diverse ed è della loro morte - e non della morte degli altri embrioni fecondati naturalmente - che ci occupiamo. Il secondo dato è quello per cui è possibile attribuire una responsabilità personale ad un uomo rispetto ad un evento (ad esempio: la morte di un embrione) soltanto se l'evento consegue ad una sua azione dolosa o colposa. I due dati congiunti portano a dire che chi produce artificialmente embrioni è responsabile del loro destino (con "loro" intendo del destino di QUEGLI embrioni che ha prodotto).
    Questo principio porta, in prima battuta, ad escludere ogni responsabilità della coppia, o della donna, rispetto alla morte in utero degli embrioni fecondati naturalmente, poiché in nessun modo la condotta dell'uomo e della donna "provoca" la morte degli embrioni. Questo non significa affatto escludere - in linea di principio - ogni responsabilità nella fecondazione naturale rispetto alla sorte degli embrioni in capo alla coppia o ad un suo componente: l'aumentare delle conoscenze scientifiche potrebbe portare ad enucleare determinati comportamenti potenzialmente dannosi per l'embrione prima dell'annidamento, così come altri dannosi per il feto durante la gravidanza. Quanto a questo secondo aspetto alcuni comportamenti sono già stati evidenziati (ad esempio abuso di alcool, droga, fumo da parte della donna) e la legge talvolta tutela il feto con norme di carattere generale (si pensi all'astensione obbligatoria nell'ultimo mese di gravidanza o ai divieti di assegnare donne incinte a determinati lavori gravosi o notturni). Quanto al primo aspetto, non vi è dubbio che una legge dovrebbe vietare i cosiddetti "contraccettivi di emergenza" che uccidono gli embrioni impedendone l'attecchimento. Circa l'effetto impeditivo dell'annidamento dell'iperstimolazione sulla donna prima di un'inseminazione artificiale o un rapporto naturale, sono d'accordo con lei che - sia per questo effetto che per i pericoli per la salute della donna - dovrebbe essere una pratica da vietare.
    Giacomo Rocchi

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