sabato 24 ottobre 2009

Uccidere un bambino su tre: in base a quale legge?


Molti organi di stampa hanno riferito dei casi di embrioriduzione operati su donne che erano ricorse a tecniche di fecondazione artificiale. Riporto un brano apparso su La stampa:


"E’ successo al Sant’Anna, l’ospedale torinese delle mamme e dei bambini, ma probabilmente è quanto accade anche altrove. La tecnica si chiama embrioriduzione, generalmente praticata entro il primo trimestre per non mettere a rischio la sopravvivenza di tutti i nascituri in caso di minaccia di aborto. Ma qui la scelta di eliminare uno dei bimbi è avvenuta non per un rischio clinico per il feto o per la madre, ma sulla base del «verdetto» di una consulenza psichiatrica: «La gravidanza trigemellare rappresenta un grave pericolo per la salute psichica della futura madre», si legge in una di queste consulenze. Basta una minaccia di depressione. Non serve arrivare all’ipotesi estrema di suicidio, che potrebbe essere classificata come un rischio potenziale per la sopravvivenza della madre.

Sono numerose le gravidanze gemellari e trigemellari in caso di fecondazione assistita.

Il fatto è che a Torino la scelta di queste mamme sta mettendo in crisi più d’uno, nel principale ospedale ginecologico, tra chi - medici, infermieri e ostetriche - accompagna queste donne verso il parto. Un caso destinato a sollevare più di un interrogativo, anche etico.

Storie di bambini mai nati: quello che viene soppresso è in genere il feto più facilmente raggiungibile con l’ago di una siringa che inietta nel cuore cloruro di potassio: un metodo rapido, che nel giro di pochi secondi ferma il battito. Oppure si sceglie il più piccolo dei tre, dopo un’ecografia. Si adotta una tecnica simile a quella utilizzata per l’amniocentesi, ma in questo caso la siringa e l’ago non prelevano liquido amniotico per essere analizzato alla ricerca di eventuali malformazioni. L’iniezione intra-cardiaca ferma all’istante lo sviluppo di uno dei tre feti.

Tra chi, all’ospedale Sant’Anna, ora dice di disapprovare una scelta comunque drammatica, c’è anche chi non ha scelto l’obiezione di coscienza. Chi, cioè, ha finora dato il consenso a praticare senza preconcetti interruzioni volontarie di gravidanza. «Ma in questo caso - dicono - siamo di fronte a tutt’altra questione: donne che hanno fatto di tutto per diventare madri, che hanno speso denaro ed energie fisiche ed emotive, decidono di sopprimere una vita diventata improvvisamente di troppo». Un paradosso."


Qualche riflessione:

- è stata la legge 40 del 2004 (una "buona legge" ...) ad autorizzare espressamente la pratica della embrioriduzione: infatti, l'articolo 14 comma IV, recita: "Ai fini della presente legge ... è vitata la riduzione embrionaria delle gravidanze plurime, salvo che nei casi previsti dalla legge 194/78": come si può vedere l'operazione è stata nascosta dietro ad un apparente divieto, ma prevedendosi che, in base alla legge sull'aborto, quell'operazione sciagurata si potesse fare;

- tutti i bambini abortiti (non solo quelli soggetti alla embrioriduzione) subiscono quella crudele pratica che abbiamo sottolineato in rosso (oppure altre, ancora più cruente);

- per quale motivo i medici non obbiettori - quelli abituati a iniettare nel cuore del bambino il cloruro di potassio - hanno dei dubbi? Gli altri bambini che essi uccidono non avevano diritto a nascere e a vivere?

- Forse essi si permettono di giudicare i motivi della scelta della madre: ma non hanno ancora capito - dopo oltre 30 anni di legge sull'aborto - che l'uccisione del bambino è permessa sempre, per qualunque motivo?

Non resta che sottolineare ancora una volta, come aborto e fecondazione in vitro siano entrambi pratiche disumane che hanno la loro comune origine nella negazione della dignità di ogni essere umano fin dal concepimento: l'uomo che viene "prodotto" deve corrispondere ai desideri di chi l'ha commissionato: deve essere "esente da vizi", non deve essere troppo numeroso e deve nascere al momento desiderato; in caso contrario la soluzione è inevitabile: la sua eliminazione.

Egli è "non persona", esattamente come il bambino abortito, che i Supremi Giudici, ormai tanti anni fa, hanno stabilito essere un soggetto "che persona deve ancora diventare".

Piangiamo questi bambini; speriamo che i dubbi e il disagio derivanti da queste vicende permettano alle persona e alla società intera di ripensare a quanto sta avvenendo e tornare sulla via del rispetto per la vita di ogni uomo.

Giacomo Rocchi

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