martedì 15 settembre 2009

Curare i bambini? Un problema morale/ 2




Due notizie di attualità possono aiutare ad affrontare con maggiore consapevolezza il tema della rianimazione e la cura dei neonati prematuri.

Sul numero di Giugno della rivista scientifica "The journal of the Anerican Medical Association" è apparso uno studio statistico avente ad oggetto la sopravvivenza in Svezia dei neonati prematuri negli anni 2004 - 2007: il dato complessivo, per i neonati venuti alla luce vivi dalla 22a alla 26a settimana di gestazione, il 91% dei quali era stato sottoposto ad attività di rianimazione intensiva, indica che il 70% di essi era vivo ad un anno di età; tra i bambini nati vivi alla 22a settimana di gestazione, il 10% - quindi uno su dieci - era ancora vivo; tra quelli nati alla 26a settimana di gestazione l'85% dei bambini (quindi quasi nove bambini su dieci) era ancora vivo.

Si tratta di risultati straordinari, impensabili fino a pochi anni orsono, frutto di uno sforzo scientifico e tecnologico immenso: fino a pochi decenni fa tutti i bambini oggetto dello studio sarebbero morti.

Il dato del 10% di bambini nati alla 22a settimana di gravidanza e vivi ad un anno di età è, poi, davvero eclatante: si pensi che in un libro recentissimo ("La Morte dell'eutanasia", a cura di C.V. Bellieni e M. Maltoni, S.E.F., Firenze, 2006) la sopravvivenza a questo stadio era considerata assolutamente eccezionale (G.B. Cavazzuti affermava che i neonati, se nati prima della 23a settimana, non posono sopravvivere a causa dell'immaturità polmonare).

Accostiamo questi dati scientifici ad una notizia apparsa pochi giorni fa su "Il Sussidiario" (l'articolo è stato pubblicato integralmente sul sito del Comitato Verità e Vita):

"in Gran Bretagna una giovane donna, Sarah Capewell, ha dato alla luce un bimbo, Jayden, dopo 21 settimane e cinque giorni di gravidanza. Il personale sanitario si è rifiutato di sottoporre il bimbo prematuro alle cure intensive che forse gli avrebbero consentito di sopravvivere. La sua colpa era quella di essere nato due giorni prima delle canoniche 22 settimane. Di fronte al disperato appello di salvare il proprio figlio, quella giovane madre si è sentita rispondere dai medici del James Paget Hospital di Gorleston, Norfolk, che lei non aveva partorito un neonato ma, a termini di legge, aveva abortito un feto vivente (...) .

Le linee guida stabilite dalla British Association of Perinatal Medicine, rigidamente seguite negli ospedali pubblici britannici, stabiliscono, infatti, che deve considerarsi best interest dei bambini non nascere prima delle 22 settimane, e altrettanto best interest far morire i piccoli che abbiano avuto la disavventura di venire al mondo qualche giorno prima della fatidica scadenza. Così, l’agonia del piccolo Jayden è durata due ore, sotto gli sguardi gelidi e indifferenti del personale sanitario"

Sempre di medici si tratta ... e sempre di bambini prematuri: perché, allora, alcuni sono stati salvati con grande impegno e amore e un altro è stato lasciato morire?

Giacomo Rocchi

Nessun commento:

Posta un commento