"Spero che questa mia lettera possa essere d’aiuto a ogni donna che si è trovata o verrà a trovarsi nella mia stessa situazione."
La storia inizia con la decisione di ricorrere alla fecondazione in vitro (nella fotografia il centro clinico di Strasburgo):
"Mi chiamo M., ho 39 anni, e vorrei raccontare la mia storia. Il grande desiderio di avere un figlio ha portato me e mio marito a fare due interventi di fecondazione assistita (ICSI), uno in Italia, purtroppo non andato a buone fine, l’altro a Strasburgo, in un bellissimo centro (pubblico!) di nome CMCO-Sihcus: finalmente resto incinta, potete immaginar l’indescrivibile gioia!"
Nascono problemi in gravidanza:
"La gravidanza sembra procedere tranquilla, fino a quel terribile giorno in cui, alla 12° settimana, ci rechiamo dalla ginecologa per fare l’ecografia di controllo: la Dott.ssa nota subito che c’è qualcosa di anomalo nel cervello del nostro piccolo, ci parla per la prima volta di oloprosencefalia, una gravissima e rara malformazione di origine genetica, che impedisce la regolare formazione del cervello del feto. Purtroppo, due giorni dopo, una nuova ecografia fatta presso uno specialista in diagnosi prenatale, conferma l’orribile sospetto! Nella mia vita si è fatta notte ed è cominciato l’inferno. "
La decisione è inevitabile:
"Su consiglio della ginecologa ci rechiamo, con la morte nel cuore, all’Ospedale S. Camillo di Roma, presso il centro per l’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) della 194, nella speranza di rientrare nei termini di Legge."
Ecco l'esperienza dell'aborto come lo ha vissuto la lettrice: prima la richiesta del certificato e la fissazione dell'appuntamento (nella foto, l'Ospedale San Camillo di Roma): "Ed è subito un colpo allo stomaco: uno scantinato buio e fatiscente, dove regna la disorganizzazione, i toni di voce sono davvero sopra le righe, anche i medici strillano in faccia ai pazienti, in barba a qualunque rispetto per la privacy. Per fortuna ci sono alcune figure “umane”, come il Dott. Di Felice, ma l’impatto è per me devastante, tanto che devo uscire da quel miserevole posto, per dare libero sfogo al dolore e all’orrore, piangendo all’aria aperta".
Due giorni dopo, l'aborto:
"Torno due giorni dopo per l’intervento, sempre con la morte nel cuore, ma mai avrei immaginato che quella prima impressione, sarebbe stata così tristemente confermata: anche in quell’orribile sezione dell’Ospedale, dove si pratica l’IVG, continuo a sentire il personale che urla, litiga, discute per questioni di lavoro, in barba alle povere malcapitate lì presenti; via vai di medici indifferenti, la sala operatoria in fondo all’angusto corridoio è aperta e ben visibile a tutti, nessuno ti dice nulla o ti da alcuna informazione, o al massimo se chiedi qualcosa, risponde in malo modo! Si sente solo urlare ordini insensati, numeri di pazienti come se fossero numeri del lotto, ricerca di cartelle cliniche che non si trovano, forse bisognerebbe farne una fotocopia, non so... Purtroppo, dopo lunga attesa, arriva il mio turno; anche in sala operatoria continuano ad urlare, tant’è che ad un certo punto non ce la faccio più, mi giro verso l’anestesista e gli chiedo di non gridare e quello per tutta risposta, mi schernisce, dicendo che è colpa dell’infermiera! La Dottoressa, fredda come un iceberg (non capirò mai come una donna possa essere così insensibile nei confronti di un’altra donna!), dice di iniziare, anche se non mi hanno ancora anestetizzato: io sento tutto, sento infilare qualcosa dentro e bruciare, muovere come se mi stessero rigirando le carni. E quando provo a dire che mi fa male, che sto sentendo tutto, l’infermiera mi grida che loro non sono mica lì per fare del male alle persone, anzi, e che siccome non sto rilassata con le gambe, sento più dolore! "
Che dolore è?
"Ma come si fa a stare rilassata, quando senti che ti stanno strappando tuo figlio da dentro insieme alle tua carne! Per fortuna, l’incubo dura pochi minuti, c’è l’orologio, vedo e sento tutto e spero solo che finisca presto. Dopo, sono morta: fuori sono viva, vedo ancora, respiro, sento, ma, dentro, sono morta e comincio a piangere e vorrei immediatamente scappare da quel posto tremendo. Mi fanno l’eco di controllo, facendo battute sul mio nome (forse per sdrammatizzare!?), poi mi dicono di stare un po’ sdraiata, perché potrei avere giramenti di testa, ma io vorrei solo fuggire da lì. Finalmente tornano e mi chiedono se sto bene, io rispondo freddamente di sì, le altre mie compagne di sventura sono lì che vomitano e si contorcono dai dolori; io mi vesto, non sono più nulla, e scappo via da quel luogo infernale, orribile, da quell’incubo… Fuori, per fortuna, mi aspettano: c’è mio marito, mia sorella, i miei amici, sono fortunata, ho visto tante donne venire lì da sole, senza nessuno a dar loro conforto, sostegno; ma dentro mi sento vuota, non sento e vedo più nulla, sono come pietrificata."
La lettrice esprime il suo giudizio sulla vicenda:
"E’ una vergogna che esista un posto del genere! Nessuna donna che abortisca volontariamente, qualunque sia il motivo che la spinge a farlo, dovrebbe mai trovarsi in un tale inferno, in quel luogo privo di ogni umanità e dignità."
Si tratta soltanto di un caso di malasanità? Chi è la vittima in questa vicenda? Dove è il bene e dove è il male di quanto accaduto?
Cercheremo di capire cosa ci insegna questa storia.
Giacomo Rocchi
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