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martedì 21 aprile 2009

FIVET e aborto: un bilancio di morte secondo legge

Iniziamo a riflettere sull'esperienza di M. narrata nella lettera al Messaggero: dopo un ciclo fallito di ICSI in Italia, un altro ciclo della stessa tecnica in Francia, a Strasburgo che porta alla gravidanza; le diagnosi prenatali indicano che il bambino è affetto da una rara malattia genetica, la oloprosencefalia: su consiglio della ginecologa M., in grande fretta (per rientrare nei "termini" della legge 194) si reca al San Camillo a Roma e qui abortisce.

Quale è il bilancio "oggettivo" di questa vicenda? Gli embrioni prodotti e morti sono stati verosimilmente tre nel primo tentativo in Italia e un numero indeterminato in Francia (dove non esiste il limite massimo dei tre embrioni producibili che ora la Corte Costituzionale ha eliminato anche in Italia): si può pensare a dieci embrioni morti (o, in Francia, congelati) e di uno che, invece, è sopravvissuto, ma che è stato ucciso a gravidanza iniziata.

Bambini sopravvissuti: nessuno.

Vogliamo fare il bilancio dal punto di vista degli aspiranti genitori? La madre esprime il suo stato dopo l'esecuzione dell'aborto con parole che non necessitano di commenti: ma finge di attribuire la sua amarezza all'ambiente del San Camillo ("un inferno, un luogo privo di umanità e dignità"), quando è evidente che ella ha sentito quel figlio tanto cercato "strappato da dentro". La fecondazione in vitro ha reso ancora più lacerante la sua scelta: il figlio lo ha voluto a tutti i costi (a costo delle umiliazioni fisiche e della morte di tanti embrioni) e una volta ottenuto era malato ... come lo poteva accettare?

Il marito lo si vede all'inizio, nella scelta di fare fecondazione in vitro, e alla fine, mentre aspetta la moglie fuori dal San Camillo ... quale sarà il suo bilancio?

Questo disastro - qualcuno può negare che la vicenda non si possa definire così? - è stato perfettamente legale: la legge 40 permette la FIVET, pur nella consapevolezza della morte programmata di moltissimi embrioni; permette l'ICSI (una tecnica particolare in cui un solo spermatozoo viene inserito con una pipetta direttamente dentro l'ovocita: se possibile una tecnica ancora più artificiale della fecondazione in vitro "classica") che, come le statistiche mondiali dimostrano da anni, "produce" bambini con malformazioni genetiche in percentuale nettamente superiore alla FIVET (che, a sua volta, ne "produce" assai di più della fecondazione naturale); permette l'accesso alle donne 40enni (M. ha 39 anni), per le quali le probabilità di un "bimbo in braccio" si avvicinano allo zero (lo dicono le statistiche ministeriali); permette la ripetizione dei tentativi in un numero indefinito (e lo Stato finanzia i primi tre), permettendo così l'aumento degli embrioni morti e aumentando enormemente lo stress degli aspiranti genitori; permette i tentativi all'estero (è l'Europa!), dove si può fare diagnosi genetica preimpianto e sovrapproduzione di embrioni: con il risultato che si è visto ...La legge 40 permette, poi, l'aborto volontario dei pochi embrioni superstiti che hanno attecchito e hanno dato luogo alla gravidanza: mette i bambini nelle mani della legge 194 ...
E la legge 194 permette sempre l'aborto: basta fare in tempo ... Permette anche di "giocare" sulla data di inizio della gravidanza, così da rientrare nei primi tre mesi (ma anche di fare un certificato d'urgenza, che permette di non aspettare nemmeno la "settimana di riflessione"); e se non è possibile permette ugualmente l'aborto eugenetico ...

Tutto legale, niente di illecito; quanto alla maleducazione e alla disumanità dei sanitari che eseguono l'aborto, la legge non ci può fare nulla ... (che sia colpa dei troppi obiettori di coscienza?)

Come mai allora M. si sente vuota, non sente e non vede più nulla, è come pietrificata?

Giacomo Rocchi

domenica 19 aprile 2009

Una storia, il bene e il male, la gioia e il dolore

Il Messaggero del 17 aprile 2009 pubblica una lettera. La lettrice indica subito perché scrive al giornale:
"Spero che questa mia lettera possa essere d’aiuto a ogni donna che si è trovata o verrà a trovarsi nella mia stessa situazione."

La storia inizia con la decisione di ricorrere alla fecondazione in vitro (nella fotografia il centro clinico di Strasburgo):
"Mi chiamo M., ho 39 anni, e vorrei raccontare la mia storia. Il grande desiderio di avere un figlio ha portato me e mio marito a fare due interventi di fecondazione assistita (ICSI), uno in Italia, purtroppo non andato a buone fine, l’altro a Strasburgo, in un bellissimo centro (pubblico!) di nome CMCO-Sihcus: finalmente resto incinta, potete immaginar l’indescrivibile gioia!"

Nascono problemi in gravidanza:
"La gravidanza sembra procedere tranquilla, fino a quel terribile giorno in cui, alla 12° settimana, ci rechiamo dalla ginecologa per fare l’ecografia di controllo: la Dott.ssa nota subito che c’è qualcosa di anomalo nel cervello del nostro piccolo, ci parla per la prima volta di oloprosencefalia, una gravissima e rara malformazione di origine genetica, che impedisce la regolare formazione del cervello del feto. Purtroppo, due giorni dopo, una nuova ecografia fatta presso uno specialista in diagnosi prenatale, conferma l’orribile sospetto! Nella mia vita si è fatta notte ed è cominciato l’inferno. "

La decisione è inevitabile:
"Su consiglio della ginecologa ci rechiamo, con la morte nel cuore, all’Ospedale S. Camillo di Roma, presso il centro per l’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) della 194, nella speranza di rientrare nei termini di Legge."

Ecco l'esperienza dell'aborto come lo ha vissuto la lettrice: prima la richiesta del certificato e la fissazione dell'appuntamento (nella foto, l'Ospedale San Camillo di Roma): "Ed è subito un colpo allo stomaco: uno scantinato buio e fatiscente, dove regna la disorganizzazione, i toni di voce sono davvero sopra le righe, anche i medici strillano in faccia ai pazienti, in barba a qualunque rispetto per la privacy. Per fortuna ci sono alcune figure “umane”, come il Dott. Di Felice, ma l’impatto è per me devastante, tanto che devo uscire da quel miserevole posto, per dare libero sfogo al dolore e all’orrore, piangendo all’aria aperta".

Due giorni dopo, l'aborto:
"Torno due giorni dopo per l’intervento, sempre con la morte nel cuore, ma mai avrei immaginato che quella prima impressione, sarebbe stata così tristemente confermata: anche in quell’orribile sezione dell’Ospedale, dove si pratica l’IVG, continuo a sentire il personale che urla, litiga, discute per questioni di lavoro, in barba alle povere malcapitate lì presenti; via vai di medici indifferenti, la sala operatoria in fondo all’angusto corridoio è aperta e ben visibile a tutti, nessuno ti dice nulla o ti da alcuna informazione, o al massimo se chiedi qualcosa, risponde in malo modo! Si sente solo urlare ordini insensati, numeri di pazienti come se fossero numeri del lotto, ricerca di cartelle cliniche che non si trovano, forse bisognerebbe farne una fotocopia, non so... Purtroppo, dopo lunga attesa, arriva il mio turno; anche in sala operatoria continuano ad urlare, tant’è che ad un certo punto non ce la faccio più, mi giro verso l’anestesista e gli chiedo di non gridare e quello per tutta risposta, mi schernisce, dicendo che è colpa dell’infermiera! La Dottoressa, fredda come un iceberg (non capirò mai come una donna possa essere così insensibile nei confronti di un’altra donna!), dice di iniziare, anche se non mi hanno ancora anestetizzato: io sento tutto, sento infilare qualcosa dentro e bruciare, muovere come se mi stessero rigirando le carni. E quando provo a dire che mi fa male, che sto sentendo tutto, l’infermiera mi grida che loro non sono mica lì per fare del male alle persone, anzi, e che siccome non sto rilassata con le gambe, sento più dolore! "

Che dolore è?
"Ma come si fa a stare rilassata, quando senti che ti stanno strappando tuo figlio da dentro insieme alle tua carne! Per fortuna, l’incubo dura pochi minuti, c’è l’orologio, vedo e sento tutto e spero solo che finisca presto. Dopo, sono morta: fuori sono viva, vedo ancora, respiro, sento, ma, dentro, sono morta e comincio a piangere e vorrei immediatamente scappare da quel posto tremendo. Mi fanno l’eco di controllo, facendo battute sul mio nome (forse per sdrammatizzare!?), poi mi dicono di stare un po’ sdraiata, perché potrei avere giramenti di testa, ma io vorrei solo fuggire da lì. Finalmente tornano e mi chiedono se sto bene, io rispondo freddamente di sì, le altre mie compagne di sventura sono lì che vomitano e si contorcono dai dolori; io mi vesto, non sono più nulla, e scappo via da quel luogo infernale, orribile, da quell’incubo… Fuori, per fortuna, mi aspettano: c’è mio marito, mia sorella, i miei amici, sono fortunata, ho visto tante donne venire lì da sole, senza nessuno a dar loro conforto, sostegno; ma dentro mi sento vuota, non sento e vedo più nulla, sono come pietrificata."

La lettrice esprime il suo giudizio sulla vicenda:
"E’ una vergogna che esista un posto del genere! Nessuna donna che abortisca volontariamente, qualunque sia il motivo che la spinge a farlo, dovrebbe mai trovarsi in un tale inferno, in quel luogo privo di ogni umanità e dignità."
Si tratta soltanto di un caso di malasanità? Chi è la vittima in questa vicenda? Dove è il bene e dove è il male di quanto accaduto?
Cercheremo di capire cosa ci insegna questa storia.
Giacomo Rocchi