giovedì 8 gennaio 2009

Eluana Englaro: la grande menzogna/3

La grande menzogna è che l’uccisione di Eluana sia stata ordinata per rispondere ad una sua volontà di morire.
Eluana non ha mai chiesto di essere uccisa, nemmeno quando si è rappresentata lo stato di incoscienza in cui avrebbe potuto cadere.

La Corte di Cassazione, nella sentenza dell’ottobre 2007, è d’altro canto chiarissima nel disegnare una finzione: "il tutore deve decidere ‘con’ l’incapace: quindi ricostruendo la volontà presunta del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita di conoscenza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche”.

Quindi volontà presunta, non accertata ed attuale; volontà desunta anche se non esplicita, quindi volontà non accertata.

Di qui la grottesca istruttoria tenuta dalla Corte d'Appello di Milano (ovviamente senza contraddittorio, senza che nessun difensore di Eluana potesse controesaminare i testimoni o indicare testi che riferissero circostanze diverse): con la Corte che, in primo luogo, smentisce se stessa (nel 2006 aveva sostenuto che non si poteva “evincere una volontà sicura di Eluana contraria alle prosecuzione delle cure e dei trattamenti che attualmente la tengono in vita”), poi indica come fonte principale di conoscenza la testimonianza dello stesso tutore che chiede la morte dell’incapace, infine inizia ad argomentare in modo confuso e inconcludente sul carattere indipendente, amante della vita e deciso della ragazza.
Secondo Beppino Englaro (che, si ricordi, non crede affatto di dover rispettare l’autodeterminazione della figlia, ma pretende di ucciderla perché la ritiene sostanzialmente morta) “in vari frangenti Eluana avrebbe manifestato la ferma convinzione che restare in quelle condizioni non sarebbe stato per lei, un vero vivere, perché solo una vita piena, o comunque in condizione di muoversi, di pensare, di comunicare e di rapportarsi con gli altri avrebbe meritato di essere vissuta, mentre non lo sarebbe stato una vita meramente biologica”: come si vede nessuna richiesta di essere uccisa; mentre le amiche sentite avrebbero “tratteggiato una sorta di modello personologico di Eluana”.

Ma l’oggetto della testimonianza delle amiche non è certo una volontà di Eluana di morire. Ad esempio: “Eluana dava un valore molto profondo alla vita che, però, secondo lei, doveva essere vissuta fino in fondo. Non avrebbe mai accettato una vita con limitazioni sia di tipo fisico che mentale” (come si vede la testimonianza è sulla convinzioni di Eluana sul valore della vita, mentre il rifiuto rispetto ad una vita con limitazioni è una deduzione dell’amica); o ancora: “Eluana era vivacissima – non stava mai ferma – doveva sempre fare qualcosa – diventava matta all’idea di stare un pomeriggio in casa – era lei che organizzava e animava la compagnia degli amici”, descrizione che in nessun modo permette di dedurre una volontà della giovane di morire nel caso fosse caduta in uno stato di incoscienza.

Ma anche la testimonianza sulle parole dette da Eluana di fronte all’amico caduto in coma a seguito di un incidente (“era meglio che fosse morto piuttosto che rimanere immobile in un ospedale in balìa di altri attaccato ad un tubo – per cui era meglio morire”) non permettono affatto di affermare che la giovane voleva essere uccisa nel caso ciò fosse capitato a lei.

Un altro aspetto è trascurato: Eluana aveva pronunciato quelle frasi senza alcuna consapevolezza che sarebbero state utilizzate contro di lei in un procedimento giudiziario, quindi senza nessuna volontà di attribuire ad esse un effetto giuridico: la ragazza non sapeva che i medici che l’avrebbero curata avrebbero considerato quelle frasi come vincolanti e che quella sopra riportata – detta sapendo bene che all’amico non avrebbero tolto i tubi che lo tenevano in vita – sarebbe stata interpretata come una condanna a morte nei suoi confronti.

Giustamente è stato detto che, dopo la sentenza della Cassazione, dobbiamo stare tutti attenti a quello che diciamo, in qualsiasi occasione e parlando con qualsiasi persona.

Insomma: non è stata Eluana, ma il padre a decidere la sua morte; e infatti la Corte d’Appello di Milano ritiene necessario e sufficiente accertare che la richiesta di interruzione del trattamento formulata dal padre in veste di tutore rifletta gli orientamenti di vita della figlia.

Giacomo Rocchi

5 commenti:

  1. I conti tornano, per 'giustificare' l'omicidio c'è bisogno di una buona dose di menzogna..... e qui ce n'è tanta!
    Ah notavo inoltre che nelle sentenze ricorre nuovamente l'antilingua dell'interruzione dell'alimentazione.... (ciò che si interrompe deve poter riprendere, altrimenti si chiama terminare).

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  2. CARISSIMI AMICI DELLA VITA.
    Le splendide conclusioni di Giacomo Rocchi sono ineccepibili e solo chi è in malafede può non condividerle!
    Ma io vorrei precisare che si può andare anche molto oltre: il tribunale non avrebbe potuto autorizzare l'uccisione di Eluana, anche se avesse rilasciato una dichiarazione davanti ad un notaio!! In Italia l'omicidio è vietato!!!...persino per i pluricriminali!!!!
    Giuseppe

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  3. Ovviamente Giuseppe ha ragione: quello che, in questa riflessione volevo evidenziare è che mediante l'affermazione della presunta autodeterminazione di Eluana si fa passare una decisione di morte decisa da altri: e questo è un brutto segnale per il futuro.
    Come ho scritto in altri post il testamento biologico è presentato come trionfo dell'autodeterminazione, ma, in realtà, servirà per far sì che si uccidano persone che non volevano morire sulla base di valutazioni di carattere eugenetico.
    Effettivamente non avevo notato l'utilizzo dell'espressione "interruzione dell'alimentzione" segnalata da Giovanni: è davvero antilingua che purtroppo abbiamo conosciuto fin dalla legge sull'aborto.

    Giacomo

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  4. Come non condividere quanto sopra? Al di la della Fede, nel caso non c'è accanimento terapeutico e la possibilità di lasciare alla clinica dove era, come richiesto, la cura definitiva di E. che alla famiglia (padre)tutto sommato pesava solo per il dolore (?). Appare invece evidente la volontà di certi uomini di portare il loro potere a potersi ergere ad arbitri della vita e della morte per tutti gli altri trasformando il Bel Paese nel paese dell'assassinio. Fortuna storicamente sappiamo che fine fa certa gente e non Prevarranno.

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  5. è accanimento terapeutico perchè il trattamento è sproporzionato rispetto ai benefici. Io non voglio essere nutrito artificialmente e nessuno potrà impormelo, neanche il card Bagnasco.

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