"La vita umana è sempre, in ogni caso, un bene inviolabile e indisponibile, che poggia sulla irriducibile dignità di ogni persona, dignità che non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un'esistenza".
Che valore vuole dare il cardinal Bagnasco a questo solenne proclama? Valore - per usare le sue stesse parole - "legale", un'indicazione tassativa per il legislatore? Pare di no: manca, infatti, quello che sarebbe un'ovvia conseguenza, il divieto di uccidere chiunque - cosciente o incosciente, sano o malato, che abbia o meno redatto dichiarazioni anticipate e così via.
Questo ci si poteva aspettare: ma Bagnasco si limita a guardare "con fiducia alle sfide che il Paese ha dinanzi a sé, sicuri che il nostro popolo - con l'aiuto del Signore - saprà trovare le strade meglio corrispondenti alla sua voglia di futuro e alla sua concreta vocazione"; una chiusura un po' vaga, piuttosto debole, tenuto conto che si parla di futuro di persone che rischiano di morire per mano altrui ...
Del resto è generico - e anche molto discutibile - l'esaltazione di "quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l'ordinamento italiano": i cinque milioni di aborti legali resi possibili da una legge del nostro ordinamento non contribuiscono a contraddistinguerlo?
Le conclusioni sono generiche e prive di valore vincolante (e quindi si riferiscono non agli obblighi del legislatore, ma alle convinzioni morali e religiose) perché, come si è visto nei precedenti commenti, in realtà la prolusione dà il via libera alla possibilità di uccidere soggetti che - con dichiarazioni certe, esplicite e rese in forma inequivocabile - abbiano disposto che, in un loro futuro incerto, determinate terapie non debbano essere erogate o debbano essere sospese, non sulla base di una nozione oggettiva di accanimento terapeutico e alla luce di una valutazione ponderata e responsabile del medico curante, ma di un loro diritto - che altro non è che il diritto a disporre della propria vita, a far sì che altri possano violarla.
Come il "valore" legale di queste dichiarazioni anticipate possa permettere la permanenza di un "rapporto fiduciario tra il medico e il paziente", quando il primo rischia di diventare l'interprete e l'esecutore delle volontà del secondo, non si comprende; come sia compatibile con la garanzia di una effettiva "presa in carico dell'ammalato" - al quale, in ogni momento, verrà posta l'implicita o esplicita domanda se intende proseguire le cure o interromperle e quali sono le sue intenzioni per il futuro ("non vorrai mica restare per anni in coma?"), davvero non si vede.
Chiediamoci allora cosa intende il Presidente della CEI quando si raccomanda che "non vengano in alcun modo legittimate forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico"; perché la sottolineatura in negativo dell'abbandono terapeutico? Perché si tratta di cessazione di cure in mancanza di richiesta del malato; non si è forse già sottolineato come la prospettiva più agghiacciante che Bagnasco immagina è l'uccisione di malati che non hanno potuto esprimere ciò che vogliono per se stessi?
Il concetto di eutanasia sotteso è, quindi, quella di uccisione (per pietà, per un giudizio sulla qualità della vita ecc.) di soggetti che non hanno chiesto di morire: se invece il malato l'ha chiesto ...
Ma se comprendiamo che il valore giuridico delle dichiarazioni anticipate e il concetto soggettivistico di accanimento terapeutico mettono i malati nelle mani dei loro "interpreti", non garantiscono la loro libertà, li allontanano dai medici, come rischia di ampliarsi il numero dei candidati alla uccisione volontaria!
Per concludere non possiamo non chiederci perché il cardinal Bagnasco abbia voluto dare questa evidente sterzata all'indirizzo che medici, esperti, bioeticisti, teologi e giuristi cattolici avevano espresso ripetutamente. Si tratta di politica: il Parlamento nazionale è sollecitato a varare "si spera col concorso più ampio" una legge sul fine vita ...
E perché dovremmo essere d'accordo su questioni come queste con persone portatrici di valori opposti a quelli autenticamente umani?
Se non ci si scontra su leggi che riguardano l'uccisione di uomini, per che cosa vale la pena di combattere?
Giacomo Rocchi
E' stato commesso un errore grandissimo. La difesa della vita ne risulta ulteriormente indebolita. Dopo il silenzio (tuttora valido) sull'abominio della produzione dell'uomo (fivet - legge 40), dopo l'accettazione supina, ormai unanime, della legge sull'aborto (al più come una vecchia auto che si vuole tenere, a cui basta una revisione....).
RispondiEliminaOggi assistiamo, ancora una volta, ad un gravissimo fenomeno. Il male potenziale (l'eutanasia) viene combattuto con un male minore (le dichiarazioni anticipate di fine vita)..... siamo di fronte all'egemonia del male minore, non più subito, ma ahimè proposto.
Come direbbe il buon Giuseppe: -Come faremo a combattere i principi (pericolosi e maligni) che sottendono alle dichiarazioni anticipate sul fine vita, se sono stati proposti da noi?-
Oggi, infatti, non si combatte per denunciare la malvagia della produzione dell'uomo (fecondazione extracorporea). Le conseguenze di questo operare sono abominevoli.
Giovanni Ceroni
Basta legiferare sulla vita!!!
RispondiEliminaChe qualcuno al di sopra di Bagnasco lo smentisca nettamente ed inequivocabilmente!!!
A quante migliaia di uccisioni dovremo assistere altrimenti!!!