sabato 27 settembre 2008

Bagnasco e l'approvazione di una legge sul “fine vita”

Il cardinale Bagnasco ha scelto per il discorso di apertura dei lavori della Conferenza episcopale italiana un argomento difficile, auspicando l'approvazione di una legge sul “fine vita”, sperabilmente sostenuta dal “consenso più ampio”. Un auspicio immediatamente inteso come un'apertura della Chiesa cattolica al cosiddetto “testamento biologico”. Apertura che è stata favorevolmente accolta dai politici cattolici di maggioranza e opposizione, ma ha anche suscitato fortissime reazioni all'interno del mondo cattolico. In particolare l'associazione Verità e Vita (molti dei suoi componenti sono attivi anche nel Movimento per la Vita) l'ha definita un clamoroso autogol, dettato da motivazioni essenzialmente politiche, e in contrasto con la posizione assunta in tutti questi anni dalla Chiesa cattolica sul testamento biologico, strumento per la legalizzazione dell'eutanasia.

I cattolici di Verità e Vita ritengono, difatti, l'eutanasia l'inevitabile approdo del testamento biologico, che presuppone il riconoscimento dell’autodeterminazione e della disponibilità del bene della vita, con una conseguente profonda modificazione anche del rapporto paziente-medico, il cui intervento non sarebbe più legittimato dal “bene del paziente”, ma dalla “volontà del paziente”. Oltre tutto nemmeno si evita l'accanimento terapeutico, ma se ne rende il concetto del tutto soggettivo, “slegato dalla condizione di malato terminale e (si) permette ad altri di decidere se quel malato (l'anziano in stato di demenza senile, il giovane in stato vegetativo persistente e così via) è sottoposto a quello che essi ritengono essere accanimento terapeutico”. In conclusione, “riconoscere valore alle dichiarazioni anticipate di trattamento che impongono la cessazione di cure non ridurrà affatto l'accanimento terapeutico, ma renderà lecito quello che fino a questo momento è illecito, l'omicidio del consenziente”.


Fortemente critico anche il “Foglio” di Giuliano Ferrara, che parla di “una risposta intimidita e confusa alle istanze della cultura post-moderna, un'acquiescenza al relativismo soggettivista, che affida alla volontà soggettiva delle persone la scelta insindacabile su come si debba morire”.


Un dissenso così deciso ha scatenato onde di tempesta all'interno del mondo cattolico. A difesa di Bagnasco e della Cei sono intervenuti, fra gli altri, il suo predecessore e due giuristi di livello nazionale come Francesco D'Agostino e Alberto Gambino, sostenendo che basta leggere le esatte parole di Bagnasco per rendersi conto che “in nulla e per nulla avallano l'interpretazione di Ferrara”. Il presule non avrebbe inteso promuovere l'approvazione del testamento biologico (in effetti mai nominato nel suo intervento), ma si sarebbe solo preoccupato di porre riparo al vuoto legislativo che ha consentito la sciagurata sentenza con la quale la Cassazione, ha condannato alla morte per fame e per sete Eluana Englaro Una sentenza che, secondo D'Agostino, “ha di fatto introdotto l'istituto del testamento biologico (e per di più in forma anche verbale!), alterando profondamente il principio etico e giuridico del rispetto assoluto dovuto alla vita umana”.


Resta il fatto che, nonostante la tradizionale prudenza dei principi della Chiesa (forse non più di moda) prudenza l'intervento di Bagnasco non deve essere stato così chiaro se non solo Ferrara, criticamente, ma, approvando, Talamo sul “Messaggero”, Rodari sul “Riformista” e molti altri vi hanno visto un'apertura al testamento biologico. Per di più appare quanto meno discutibile la presenza di un vuoto legislativo, L'art. 579 del codice penale punisce l'omicidio del consenziente e l'art. 580 chi determina altri al suicidio o ne rafforza il proposito o ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione. Esiste invece, purtroppo (questa sì) la sciagurata sentenza sul caso della povera Eluana Englaro, ma questa è sintomo ed espressione della crescente tendenza del giudiziario a ritenersi di fatto “legibus solutus” e ad assumersi compiti e poteri propri del legislativo (si pensi alla recente condanna di un professore per avere minacciato di bocciatura un alunno indisciplinato o alla semi-autorizzazione ad imporre ai figli il solo cognome della madre). Si tratta di un problema diverso e più vasto, che per essere risolto esige un ripensamento (magari in sede di riforma della giustizia) dei rapporti fra poteri dello Stato. Fino ad allora è difficile pensare che l'eventuale legge sul “fine vita” riesca più vincolante del codice penale, tanto più che, come è stato osservato, una volta lanciata la palla nell'agone parlamentare è difficile prevedere cosa, fra compromessi bipartisan ed emendamenti, ne uscirà. O forse è fin troppo facile. Non per nulla i “laici” avvezzi a strapparsi le vesti per le interferenze della Chiesa questa volta hanno osservato un rispettoso silenzio.

Francesco Mario Agnoli - pubblicato su La Voce di Romagna del 26-09-2008

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