Di quali "dichiarazioni" parla Bagnasco? Si è già detto che non può che trattarsi di dichiarazioni aventi ad oggetto l'interruzione di terapie salvavita: in effetti, se si trattasse di disposizioni di importanza minore (ad esempio: il desiderio del malato di morire in casa e non all'ospedale) esse non meriterebbero l'importanza che viene loro attribuita, né si comprenderebbe la necessità di una forma "certa ed esplicita".
Sono quindi richieste di uccisione per omissione o interruzione di cure: lo si comprende dalla contrapposizione tra la stipula delle dichiarazioni e le garanzie della presa in carico del malato ("riconoscendo valore ... dia nello stesso tempo ...) e, soprattutto, dal passo finale: "quel che ... chiede ogni coscienza illuminata ... è che non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico": Bagnasco sa, quindi, che le dichiarazioni di cui parla riguardano la morte procurata del paziente. (Notiamo, per inciso, che, come per l'accanimento terapeutico, non si fornisce alcuna definizione di eutanasia)
Tornando alle dichiarazioni: sono sicuramente in forma scritta (Bagnasco parla di una forma certa e, notoriamente, scripta manent); sono - la constatazione è inevitabile, anche se qualcuno sostiene il contrario - dichiarazioni anticipate, rese "ora per allora": se il malato fosse, infatti, in grado di interloquire nell'attualità con il medico sulle terapie che gli vengono erogate, non vi sarebbe alcuna necessità di redigere dichiarazioni con forma certa.
Soprattutto sono dichiarazioni vincolanti per il medico: questa caratteristica si desume dall'utilizzo dell'espressione piuttosto equivoca "riconoscendo valore legale a dichiarazioni ...". Sembra ovvio che, se le dichiarazioni fossero solo orientative, si potrebbe riconoscere questo valore anche a quelle rese in una forma diversa (ad esempio: oralmente, dal malato ad un parente); in realtà qui si intende riferirsi ad un'efficacia giuridica delle dichiarazioni e ad un conseguente diritto ad ottenerne l'attuazione davanti ad un giudice, nel caso i curanti non vi si attenessero spontaneamente.
Si può, però, obiettare che il passo successivo della prolusione invoca "tutte le garanzie ... sul rapporto fiduciario tra lo stesso (il malato) e il medico, cui è riconosciuto il compito - fuori da gabbie burocratiche - di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza": il medico sarebbe quindi libero di non dare attuazione alle direttive contenute nelle dichiarazioni?
Non sembra sia così: l'interpretazione logica delle parole di Bagnasco è che esse riconoscano il valore vincolante delle dichiarazioni anticipate nei confronti dello Stato e contemporaneamente invochino la libertà di coscienza dei singoli medici. Insomma: la normativa dovrà prevedere l'obiezione di coscienza ma il medico obbiettore sarà sostituito da un collega pronto a staccare la spina ...
Dichiarazioni rese in forma certa ed esplicita: ma il cardinale non fa cenno alla libertà di chi le rende e alla sua effettiva informazione: ne parleremo nel prossimo commento.
Giacomo Rocchi
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RispondiEliminaSi parla evidentemente di dichiarazioni anticipate sul proprio fine vita. Non si vuole usare il termine Testamento Biologico, ma la sostanza è molto simile.
RispondiEliminaLa cosa che mi preoccupa -ed è un chiaro segno di un grande pericolo- è l'accoglienza calorosa del mondo pro-death dei radicali, comunisti etc., non sto a fare i nomi....
L'amarezza che provo è nel constatare che sono in pochissimi a scorgere le conseguenze di un atto che appare di apertura e lungimiranza, in realtà involontario grimaldello burocratico che sarà usato, almeno in alcuni casi, operare contro natura, con la copertura legale.