lunedì 1 settembre 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa/ 6. Cosa fare?

Ecco che torniamo alla domanda: che fare dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla fecondazione eterologa? È la domanda su cui ci siamo esercitati in questa estate.

Forse, per eliminare qualche equivoco, la domanda dovrebbe essere articolata con riferimento ai soggetti e alla doverosità o discrezionalità della condotta.
Mi spiego: mi ha colpito molto che il dibattito all'interno del mondo cattolico e prolife si sia incentrato – come abbiamo già visto – sul richiamo al n. 73 dell'Evangelium Vitae, o, almeno, sulla parte di tale numero che viene continuamente citata.
Quel passaggio riguarda, infatti, la condotta di un parlamentare. Rileggiamo il passo: "Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. [...] Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui".
Con il corsivo abbiamo evidenziato l'ambito coinvolto nell'enciclica, ma anche la valutazione che Giovanni Paolo II dava della condotta descritta: il parlamentare potrebbe – e non: deve – lecitamente offrire il sostegno ad una proposta limitativa.

Pretendere di utilizzare questo passaggio come unico criterio per indirizzare le azioni della galassia prolife, ma anche del mondo cattolico, è chiaramente errato: l'azione per la difesa della vita, infatti, non si riduce ad un voto parlamentare in una determinata situazione. Si nega, in questo modo, il ruolo specifico ed autonomo del parlamentare che è chiamato ad agire, in scienza e coscienza, per l'approvazione delle leggi.
Il giudizio espresso è, quindi, quello di "liceità" – e non di doverosità; liceità subordinata ad una presa di posizione pubblica di "assoluta opposizione all'aborto". Anche mons. Crepaldi, nello scritto più volte citato, ritiene "possibile ed auspicabile … intervenire con una legislazione correttiva e di contenimento".

Non confondiamo, quindi, i piani ed i soggetti: l'equiparazione del "popolo della vita" ad un "parlamentare" forse è possibile solo quando il popolo si fa legislatore (in Italia con il referendum abrogativo), ma non in generale.
In altre parole, può non esservi contraddizione tra il popolo della Marcia per la Vita che, a gran voce, manifesta la propria opposizione all'aborto e chiede l'abrogazione della legge 194 e la condotta di un singolo parlamentare cattolico che, in piena coscienza, dopo avere interamente soddisfatto il prerequisito di manifestare pubblicamente e a tutti la propria opposizione all'aborto (non che se ne vedano molti, mi sembra), sostenga una proposta parziale.

Ecco che la dotta e interessante discussione tra Giorgio Carbone e Tommaso Scandroglio acquista la sua giusta portata: la liceità/illiceità e doverosità/discrezionalità di una proposta di legge che limiti i danni (quella che l'on. Roccella preannuncia, ma non ha ancora presentato) non riguarda tutti, ma i parlamentari che ritengono di essere cattolici e difensori della vita; anche perché, aggiungo, ai prolife interessa fino ad un certo punto che la fecondazione eterologa sia sicura, che un uomo non possa essere padre di più di 10 figli, che si possa risalire al donatore in caso di malattia del figlio o, addirittura, che si eviti la produzione di embrioni portatori di malattie (dobbiamo evitare anche la produzione di embrioni down?): la fecondazione in vitro determina in ogni caso la morte di innumerevoli embrioni, la loro selezione, il loro congelamento ecc.; e il ricorso alla fecondazione in vitro è in ogni caso contrario al bene della famiglia e dei coniugi che ne hanno accesso!
Come scrive Francesco Agnoli, si tratta di un dovere del parlamentare (eroico o meno che sia); del resto, anche la Costituzione riconosce la piena autonomia del parlamentare che "esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato" (art. 67 Cost.).

La lotta contro la fecondazione in vitro.
Quindi, l'on. Roccella faccia quello che ritiene giusto ed opportuno; ma noi decidiamo cosa fare!

La prima cosa da fare, secondo me, è togliere le mani dalla fecondazione in vitro. Se abbiamo compreso che quelle tecniche sono cattive in sé, non possiamo più accettare che ospedali cattolici facciano FIVET, magari congelando gli embrioni soprannumerari, o che ancora si presentino all'opinione pubblica cattolica esperti di tecniche "buone" (come, ad esempio, quella del congelamento degli ovociti).
Questo è stato ripetutamente detto, ma la compromissione del mondo cattolico con queste tecniche antiumane è proseguito, procurando un grave scandalo.
Dobbiamo stare fuori dal mondo della fecondazione in vitro, perché vogliamo che esso scompaia.

Vi è poi la necessità della "lotta culturale" di cui parla anche mons. Crepaldi: dobbiamo mostrare e dimostrare che è un bene per l'umanità, per i singoli uomini coinvolti e anche per la società democratica che la produzione extracorporea dell'uomo venga cancellata dall'orizzonte del consesso umano; dobbiamo essere in grado di esprimere nei confronti di quelle tecniche lo stesso orrore che manifestiamo nei confronti degli esperimenti nazisti. Molto importante sarà anche la riflessione sulla deformazione dell'arte medica che quelle tecniche provocano.

Vi è, infine, l'impegno politico e legislativo.
Mi sembra evidente che, ormai, la proposta prolife non possa che indicare la necessità di una riforma costituzionale che introduca il divieto di produzione extracorporea dell'uomo: infatti, dopo che le tecniche sono state legittimate dal legislatore con la legge 40, la Corte Costituzionale ha, in qualche modo, ritenuta "costituzionalmente necessaria" la regolamentazione delle tecniche (ciò ha fatto a partire dalla sentenza n. 45 del 2005 che non ha ammesso il referendum riguardante l'intera legge, ribadendolo anche nell'ultima sentenza).
Per piegare la resistenza della Corte Costituzionale occorre, quindi, cambiare la Costituzione.

Prolife, parlamentari e vescovi.
In questa azione i movimenti prolife devono tornare ad avere quella libertà di movimento e di espressione che, purtroppo, sia all'epoca dell'approvazione della legge 40, sia successivamente, è decisamente mancata, con la censura e la "scomunica" di chi si opponeva a quel progetto.

Qui entra in gioco un terzo soggetto – dopo i parlamentari sedicenti cattolici e i movimenti prolife – che ha avuto e ha ancora grande peso nel nostro Paese: i Vescovi della Chiesa Cattolica.
Occorre chiedersi (per chi scrive è una domanda retorica) se davvero sia stato proficuo quel legame stretto tra il vertice della Conferenza Episcopale, alcuni parlamentari sedicenti cattolici e il Movimento per la Vita che ha fatto sì che l'adesione allo specifico progetto di legge da parte del primo trasformasse la questione quasi in una questione di fede e/o morale così da ritenere che i contrari stessero fuori dalla Chiesa!
"Lo hanno detto i Vescovi!": questo doveva bastare per tacitare ogni dissenso, spegnere ogni obiezione, marciare tutti verso il (da alcuni previsto) disastro attuale; salvo poi scoprire (o intuire) che la conoscenza dei vescovi (o della maggior parte di loro) del contenuto effettivo del testo di legge era assai limitata.

Questo modo di operare è stato ripetuto con la proposta di legge sulle DAT che – per fortuna di tutti e del Paese – non è stata approvata per un soffio nella precedente legislatura: con Carlo Casini indotto a sostenere pubblicamente il contrario di quanto aveva scritto pochi mesi prima (e a negare di averlo fatto), con la censura ed esclusione dei dissidenti, con la "santificazione" del testo in corso di approvazione che, pur modificato nei vari passaggi parlamentari, sembrava – secondo la versione ufficiale – avvicinarsi alla perfezione.
Se poi si va a studiare il testo – come il Comitato Verità e Vita ha fatto ripetutamente - si scoprono le "imperfezioni" che permetterebbero l'introduzione dell'eutanasia nel nostro Paese. Si rischiava una "vittoria" analoga a quella della legge 40 …

Io non posso certamente insegnare il loro mestiere ai vescovi: sono però felice che mons. Crepaldi – la cui autorevolezza su questi temi è indiscussa – si sia ben guardato da dare indicazioni specifiche su quali leggi approvare e tanto meno sul loro contenuto.

Conclusioni: insieme contro la produzione dell'uomo!
Giorgio Carbone e Renzo Puccetti, in quell'articolo sulla Bussola Quotidiana del 23 febbraio scorso che ha fatto un po' di rumore nel nostro mondo, descrivendo la "strategia del carciofo", concludevano osservando che "la cosa importante che un vero prolife deve imparare è che ciascuno può scegliere quale settore della trincea occupare" e che "in quel settore combatta bene".

Ho già scritto che la strategia dei prolife intransigenti – che cioè non transigono su nessuna vita, anche la più debole e indifesa – non può che essere quella della verità integrale: sulle tecniche di produzione artificiale dell'uomo, la cui malvagità è evidente e deve diventarlo a tutti; sulla legge 40, che, permettendola, è iniqua e deve essere abrogata, tanto più ora che i paletti fondamentali sono caduti; sul nostro ordinamento che, ormai, è ingiusto anche a livello costituzionale, permettendo la fecondazione in vitro (oltre, naturalmente, all'aborto).
Questo è il nostro "settore"; su questa verità integrale dobbiamo lavorare e cercare di riunire tutti i sinceri difensori della vita umana.


Giacomo Rocchi 

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