sabato 30 agosto 2014

La difesa della vita dopo la sentenza sulla fecondazione eterologa/5. La colpa è della Corte Costituzionale e dei giudici?

Nel riproporre la scelta a suo tempo fatta di legalizzare la fecondazione in vitro, evidente sembra la convinzione che lo smantellamento della legge 40 sia frutto di una scelta arbitraria della Corte Costituzionale. Insomma: "noi avevamo approvato una legge accettabile con un sano trasversalismo che aveva portato alla riduzione del danno" (Domenico Delle Foglie), anche se "imperfetta" (Carlo Casini); i giudici cattivi, la Corte Costituzionale e perfino la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ce l'hanno smontata".
E così, occorre intervenire per ottenere una "riduzione del danno da Corte Costituzionale" (Francesco Agnoli).

La mia sensazione è che questa posizione – che, ovviamente, serve per qualcuno (usando un termine penalistico) a precostituirsi un alibi ("non sono stato io! non è colpa mia!") – rifiuti di leggere davvero le motivazioni dei provvedimenti giudiziari che hanno determinato questo smantellamento.
Anticipo la conclusione: i giudici hanno adottato le loro decisioni facendo leva proprio sulla legge 40 (oltre che sulla legge 194 del 1978 che la legge 40 "fa salva")! Il vizio vero è quello di irragionevolezza del legislatore del 2004 che, avendo permesso determinate pratiche, ha illogicamente vietato altre.
Insomma: è la logica della legge 40 ad imporre (o quanto meno: a rendere inevitabile) l'abbattimento dei paletti!

In breve la dimostrazione.
Nella sentenza del 2009 (la n. 151), che aveva eliminato il numero massimo di embrioni producibili, la Corte Costituzionale prendeva atto che "la legge (...) rivela un limite alla tutela apprestata all’embrione, poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a gravidanza, (…) consentendo un affievolimento della tutela dell’embrione al fine di assicurare concrete aspettative di gravidanza (…) la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione."
In sostanza: se la legge permetteva di trasferire tre embrioni, prevedendo consapevolmente la morte di due di loro, perché non lasciare al medico la scelta di quanti embrioni produrre e trasferire?

Non basta: la Corte Costituzionale faceva leva già in quella sentenza sulla finzione che la legge 40 ha sposato in pieno: che, cioè, l'applicazione delle tecniche di fecondazione artificiale abbia a che fare con la salute umana e, quindi, con il diritto alla salute.
Sappiamo benissimo che non è così: le tecniche non curano nessuno ma permettono di ottenere una gravidanza senza curare. Eppure la legge 40 fu intitolata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita" e l'art. 1, comma 2 ne permise il ricorso "qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità": quindi quelle pratiche zootecniche applicate sugli uomini furono elevate legislativamente a "metodi terapeutici", per di più "efficaci" (anzi: i più efficaci, quindi i migliori!).

Anche la sentenza n. 162 sulla fecondazione eterologa giunge ad eliminare il divieto sulla base della logica della legge 40: abbiamo già visto, infatti, che richiama il diritto al figlio che la legge già contiene e si chiede per quale motivo questo diritto venga negato ad alcune coppie e concesso ad altre; e poi fa leva, ancora una volta, sul diritto alla salute, interpretato in senso ampio, comprensivo anche della salute psichica: esattamente come la legge 40, in base alla quale i cicli di fecondazione in vitro sono a carico di Stato e Regioni in quanto prestazioni sanitarie (non è un caso che se ne occupi il Ministro della Salute).
La Corte richiama, quindi, il principio che "in materia di pratica terapeutica la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali".

E la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo? Ha condannato l'Italia per il divieto di diagnosi genetica preimpianto (caso Costa e Pavan contro Italia) evidenziando l'illogicità di una regolamentazione che permette l'aborto eugenetico: se si può uccidere dopo, perché non farlo prima, con minor danno per la salute della donna?
All'epoca molti si scandalizzarono, rifiutandosi di ammettere che il quadro normativo è esattamente quello descritto: l'aborto eugenetico, in conseguenza di diagnosi prenatale sfavorevole, è sempre permessa dalla legge 194 del 1978, anche a gravidanza avanzata ed è permesso anche per i feti prodotti con la fecondazione artificiale, in forza della espressa previsione dell'art. 14, comma 1 della legge 40. Non solo: le statistiche ministeriali dimostrano che concretamente ogni anno qualche centinaia di embrioni prodotti con la FIVET, trasferiti nell'utero delle madri e che erano riusciti fortunosamente ad attecchire, dando luogo ad una gravidanza, sono stati abortiti volontariamente.

Chi ha scritto e fatto approvare la legge 40 sulla fecondazione artificiale ha fatto in modo – consapevolmente o meno – che quei "paletti" fossero destinati a cadere.

Fecondazione in vitro: tutto o niente.
Occorre chiarire l'ultima affermazione fatta.

Qui non stiamo parlando soltanto di un legislatore distratto oppure incapace tecnicamente o ancora in mala fede: si tratta di questione in qualche modo superata (tranne che per l'atteggiamento ancora attuale di coloro che spinsero per l'approvazione della legge 40, tesi a discolparsi, di cui abbiamo parlato).

Occorre piuttosto comprendere e prendere atto che la legalizzazione della fecondazione extracorporea porta inevitabilmente con sé la sovrapproduzione di embrioni, la loro selezione, la morte procurata o il congelamento della maggior parte di loro, la fecondazione eterologa.
La logica della fecondazione artificiale è così forte da non permettere una sua trasformazione in strumento buono da mettere a disposizione delle coppie di coniugi che non riescono ad avere figli: questa forza sta, forse, proprio nella sua artificialità (espressione che il legislatore della legge 40 ha provveduto a cancellare, nello stesso modo in cui erano state cancellate le parole "aborto", "concepito" e "figlio" dalla legge 194 del 1978 …) che altro non è che la natura antiumana delle tecniche (che, appunto, sono state create per gli animali).

Se accettiamo queste tecniche, le prendiamo nella loro totalità; dal punto di vista legislativo, il legislatore del 2004 lo aveva in parte già compreso, ad esempio ammettendo casi in cui il congelamento degli embrioni era possibile (un piccolo spiraglio utilizzato dalla Corte Costituzionale per permettere la sovrapproduzione degli embrioni): ma il discorso è generale.
Io non mi soffermo – non avendone la capacità – sulle motivazioni antropologiche, filosofiche e anche teologiche di questa affermazione: non vi è dubbio che la fecondazione in vitro è la sublimazione della scissione tra amore, sessualità e procreazione e le sue conseguenze possono essere spiegate – e lo sono state – partendo da questa visuale.
Mi limito qui a constatare – e invito tutti a farlo – un fatto: in tutto il mondo (ora anche in Italia, almeno in parte) la fecondazione in vitro porta con sé quanto abbiamo già descritto (strage di embrioni, eugenetica, eterologa) e molto, molto altro (basti pensare, tra i temi attuali, all'utero in affitto, con lo sfruttamento delle donne povere; e soprattutto, al quadro che mons. Crepaldi tratteggia, quello di un processo di eliminazione della natura e della natura umana che travolge l'uomo e trasforma le democrazie in regimi totalitari).


Nessuna conseguenza è positiva, nessuna.  

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