L'Espresso continua a raccogliere "testimonianze" che dovrebbero dimostrare che la legge 194 sull'aborto in Italia è disapplicata e che la colpa è tutta degli obiettori di coscienza.
Quella che potete leggere proviene da tale "Roberta" e, ovviamente, la realtà dei fatti raccontati non può essere verificata (non sappiamo se la redazione della rivista provvede a degli accertamenti dopo avere ricevuto le lettere).
Una sintesi di questi fatti? La donna viene a sapere della malattia cardiaca del bambino il 12 settembre e il 22 settembre viene sottoposta all'intervento abortivo. La donna mostra tutta la sua indignazione verso gli obiettori, ma non riesce a nascondere un fatto: ella può rivolgersi a tutti gli ospedali che vuole e, dopo pochi tentativi, una struttura pubblica gli fornisce il "servizio" richiesto cinque giorni dopo che ella ha avanzato la prima richiesta: sì, perché, come emerge dallo stesso racconto della donna, ella ha avanzato la prima richiesta di abortire solo dopo il 17 settembre.
Cinque giorni: perché uccidere un bambino malato è evidentemente urgente nel nostro Paese, molto più che eseguire interventi chirurgici anche importanti ... siete mai riusciti a sottoporvi all'intervento per voi necessario in cinque giorni dal momento della richiesta?
Ma come ha fatto Roberta ad abortire in cinque giorni? Sappiamo - lo dice Lei - che ella aveva superato la 22a settimana di gravidanza: quindi si tratta di aborto compiuto dopo i primi novanta giorni, regolato dall'art. 6 della legge 194. Non solo: come la seconda dottoressa aveva spiegato a Roberta, la gravidanza aveva già superato un limite: quello per cui "sussiste la possibilità di vita autonoma del feto"; in altre parole, il bambino, una volta "abortito" (cioè, partorito con parto indotto: infatti Roberta dice proprio di aver partorito), se adeguatamente assistito potrebbe sopravvivere.
Cosa prevede la legge 194 in questi casi? L'aborto può essere praticato solo quando la gravidanza e il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna e, inoltre, il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura utile a salvaguardare la vita del feto.
Roberta era in "pericolo di vita"? La lettera non lo dice affatto; fa cenno ad una "lettera della psichiatra cui mi ero rivolta" senza specificare il suo contenuto. Sì, perché, evidentemente, in quei cinque giorni la donna aveva fatto a tempo anche a fare una visita psichiatrica (oppure no? La psichiatra ha mandato una "lettera" senza visitarla?) e la specialista aveva avuto il tempo di certificare qualcosa (il pericolo per la salute psichica? il pericolo per la vita?).
Ma - come anche questa "testimonianza" dimostra - in Italia "fatta la legge ....": il responsabile del reparto dell'ospedale al quale la donna si era rivolta "mi fece ricoverare d'urgenza per un aborto terapeutico dicendomi che mi avrebbe aiutato perché non si poteva pensare di far nascere un bambino in quelle condizioni".
E allora: l'articolo 7 della legge prevede che "qualora l'interruzione della gravidanza si renda necessaria per l'imminente pericolo di vita della donna, l'intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure". Ci vuole un "imminente pericolo per la vita della donna": la donna potrebbe morire entro un brevissimo tempo se l'aborto non venisse eseguito.
Ricorrevano queste condizioni? Assolutamente no: Roberta non stava affatto morendo e, del resto, il medico aveva preso quella decisione per "aiutarla".
E allora: il racconto di Roberta (come si è detto, da verificare) ci narra di medici che fanno interamente il loro lavoro (il radiologo che riferisce della malattia del bambino e risponde anche alla donna che manifesta la volontà di abortire richiamando la legge 194) e di altri che - a quanto sembra - fanno "carte false" per procedere ad un aborto che la legge non permette.
Qualcuno all'Espresso si sarà chiesto se la certificazione del medico era ideologicamente falsa perché attestava un imminente pericolo per la vita della donna che, in realtà, non esisteva? Sarà venuto il dubbio che, forse, in quel certificato, il medico aveva anche attestato falsamente una settimana di gravidanza anteriore a quella effettiva, per eludere il dettato della legge? E poi: qualcuno si sarà chiesto se il medico che aveva eseguito l'aborto aveva adottato ogni misura utile a salvaguardare la vita del bambino, dopo l'aborto?
Tutti comportamenti che la legge 194 - sì, proprio quella di cui si invoca l'applicazione! - sanziona penalmente.
Roberta conclude la sua "testimonianza" con un giudizio severo sui medici obiettori: "non è così che dovrebbero esercitare il loro mestiere, perché davanti a ogni pensiero dev'esserci il rispetto per la persona che si ha davanti": ma noi sappiamo che il medico che aveva eseguito l'ecografia aveva rispetto per "la persona che aveva davanti", tanto che si rifiutava di ucciderla ... Davvero aveva lo stesso rispetto il medico che, in pochi istanti, decise di "aiutare" la donna uccidendole il figlio malato e facendola entrare in quel "tunnel" da cui ella spera, "prima o poi", di uscire?
Giacomo Rocchi
Ma come ha fatto Roberta ad abortire in cinque giorni? Sappiamo - lo dice Lei - che ella aveva superato la 22a settimana di gravidanza: quindi si tratta di aborto compiuto dopo i primi novanta giorni, regolato dall'art. 6 della legge 194. Non solo: come la seconda dottoressa aveva spiegato a Roberta, la gravidanza aveva già superato un limite: quello per cui "sussiste la possibilità di vita autonoma del feto"; in altre parole, il bambino, una volta "abortito" (cioè, partorito con parto indotto: infatti Roberta dice proprio di aver partorito), se adeguatamente assistito potrebbe sopravvivere.
Cosa prevede la legge 194 in questi casi? L'aborto può essere praticato solo quando la gravidanza e il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna e, inoltre, il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura utile a salvaguardare la vita del feto.
Roberta era in "pericolo di vita"? La lettera non lo dice affatto; fa cenno ad una "lettera della psichiatra cui mi ero rivolta" senza specificare il suo contenuto. Sì, perché, evidentemente, in quei cinque giorni la donna aveva fatto a tempo anche a fare una visita psichiatrica (oppure no? La psichiatra ha mandato una "lettera" senza visitarla?) e la specialista aveva avuto il tempo di certificare qualcosa (il pericolo per la salute psichica? il pericolo per la vita?).
Ma - come anche questa "testimonianza" dimostra - in Italia "fatta la legge ....": il responsabile del reparto dell'ospedale al quale la donna si era rivolta "mi fece ricoverare d'urgenza per un aborto terapeutico dicendomi che mi avrebbe aiutato perché non si poteva pensare di far nascere un bambino in quelle condizioni".
E allora: l'articolo 7 della legge prevede che "qualora l'interruzione della gravidanza si renda necessaria per l'imminente pericolo di vita della donna, l'intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure". Ci vuole un "imminente pericolo per la vita della donna": la donna potrebbe morire entro un brevissimo tempo se l'aborto non venisse eseguito.
Ricorrevano queste condizioni? Assolutamente no: Roberta non stava affatto morendo e, del resto, il medico aveva preso quella decisione per "aiutarla".
E allora: il racconto di Roberta (come si è detto, da verificare) ci narra di medici che fanno interamente il loro lavoro (il radiologo che riferisce della malattia del bambino e risponde anche alla donna che manifesta la volontà di abortire richiamando la legge 194) e di altri che - a quanto sembra - fanno "carte false" per procedere ad un aborto che la legge non permette.
Qualcuno all'Espresso si sarà chiesto se la certificazione del medico era ideologicamente falsa perché attestava un imminente pericolo per la vita della donna che, in realtà, non esisteva? Sarà venuto il dubbio che, forse, in quel certificato, il medico aveva anche attestato falsamente una settimana di gravidanza anteriore a quella effettiva, per eludere il dettato della legge? E poi: qualcuno si sarà chiesto se il medico che aveva eseguito l'aborto aveva adottato ogni misura utile a salvaguardare la vita del bambino, dopo l'aborto?
Tutti comportamenti che la legge 194 - sì, proprio quella di cui si invoca l'applicazione! - sanziona penalmente.
Roberta conclude la sua "testimonianza" con un giudizio severo sui medici obiettori: "non è così che dovrebbero esercitare il loro mestiere, perché davanti a ogni pensiero dev'esserci il rispetto per la persona che si ha davanti": ma noi sappiamo che il medico che aveva eseguito l'ecografia aveva rispetto per "la persona che aveva davanti", tanto che si rifiutava di ucciderla ... Davvero aveva lo stesso rispetto il medico che, in pochi istanti, decise di "aiutare" la donna uccidendole il figlio malato e facendola entrare in quel "tunnel" da cui ella spera, "prima o poi", di uscire?
Giacomo Rocchi
Mi vergogno per voi e per le orribili, crudeli cose che scrivete. Sfogliare questo blog ha riempito il mio cuore di tristezza e spero che le pesone come voi siano sempre meno e sempre meno in grado di nuocere al prossimo.
RispondiEliminaLe cose scritte in questo blog Le appaiono "crudeli", "orribili" e - aggiungo io - impietose perché la prospettiva da cui Lei le legge è univocamente ripiegata sulla libertà di scelta della donna, che Le appare conculcata.
EliminaSe Lei volgesse per un attimo il Suo sguardo sulla sorte cui è destinato quell'invisibile per eccellenza che è l'embrione, forse muterebbe un poco il Suo punto di vista.
Per inciso, esattamente tre anni fa scrissi qui animata dalla Sua medesima indignazione contro quanti ritenevo retrogradi bigotti insensibili al dolore della donna alle prese con una gravidanza indesiderata, ma da allora è passata un po' d'acqua sotto i ponti...
Un cordiale saluto,
Marina
Si può non essere d'accordo, caro anonimo. Non credo che le cose che scriviamo siano "orribili": è, purtroppo, orribile la strage di bambini che continua da decenni sotto l'egida dello Stato. Lei non pensa?
RispondiEliminaI prolife, comunque, aumentano, nonostante la sua speranza opposta: e questo perché gli uomini sono chiamati a dare e a salvare la vita, non a sopprimerla.
La saluto con rispetto,
Giacomo Rocchi