sabato 9 novembre 2013

L'obiezione di coscienza serve a fare carriera?


Una delle affermazioni più ricorrenti nella quotidiana battaglia contro l'esercizio dell'obiezione di coscienza dei medici, che si rifiutano di uccidere bambini applicando la previsione della legge 194 del 1978, è che esiste una discriminazione nei confronti dei medici non obiettori: se il medico vuole fare carriera, è meglio che faccia obiezione di coscienza.
La LAIGA, l'associazione che raduna i medici non obiettori, tra i suoi compiti statutari ha quello della "sorveglianza sulle pari opportunità in ambito lavorativo tra personale non obiettore e obiettore con denuncia lì ove vi sia discriminazione"; anche il reclamo della CGIL al Consiglio d'Europa lamentava una discriminazione operata nei confronti dei medici non obiettori.
Poco più di un anno fa, un articolo su Repubblica esprimeva al meglio questa posizione: si affermava, infatti, che "I medici obiettori in Italia vedono favoriti carriera e guadagni. E infatti la loro percentuale dilaga: sono obiettori il 71 per cento dei ginecologi italiani": quell'infatti dimostrava chiaramente come l'Autore dell'articolo non credesse affatto che l'obiezione dei medici sia fondata su effettivi motivi di coscienza: Adriano Sofri scriveva, poco dopo, che "una dose modica di ipocrisia è essenziale alla convivenza civile. L'eccesso di ipocrisia la degrada". 
Si intervistava la dottoressa Giovanna Scassellati, direttrice del Day Hospital-Day Surgery della legge 194 al San Camillo di Roma.
La d.ssa Scassellati affermava, tra l'altro: 
"Con l'aborto non ti fai clienti: succede che non abbiano più voglia di vederti, dopo. E la gente per lo più sceglie questo mestiere per fare i soldi". 
Di fronte alla domanda sul perché non fosse diventata primario, rispondeva: 
"Non ci sono primari non obiettori. Poi sono donna".
Quindi, doppia discriminazione: i non obiettori non diventeranno mai primari; se sono donne, poi ... sì perché, evidentemente, il rifiuto di eseguire aborti è un atto tipico del maschio - che ha fatto il medico per fare i soldi e che non accetta che la donna eserciti in pieno la sua autodeterminazione.

La d.ssa Scassellati si sarà (suppongo) stupita a leggere l'intervista della d.ssa Alessandra Kustertmann all'Huffington Post, presentata ai lettori come "primario alla clinica Mangiagalli di Milano, donna di sinistra, laica, da sempre impegnata nella difesa della 194, ha aiutato migliaia di donne a interrompere una gravidanza".
La d.ssa Kustermann risponde sulla polemica relativa al cimitero dei bambini non nati deliberata dal Consiglio Comunale di Firenze. L'intervistatrice cerca, però, di trascinarla sul solito argomento: l'alto numero degli obiettori di coscienza impedirebbe l'attuazione della legge 194. Questa la risposta: 
"L'obiezione è ineliminabile. È duro lavorare come ginecologo non obiettore, ma non possiamo fare altro. Penso che in Lombardia, dove ha governato Comunione e liberazione per molti anni, alla fine sia rimasto intatto il diritto a interrompere una gravidanza. Soltanto a Milano siamo tre primarie non obiettrici: abbiamo comunque fatto carriera nonostante facessimo aborti. Forse siamo nate in un luogo più fortunato di altri."
Tre donne medico, tre non obiettrici, tre primarie - solo a Milano! In una Regione in cui - per la vulgata corrente - la giunta Formigoni (che la d.ssa Kustermann etichetta come "di Comunione e Liberazione") avrebbe fatto il bello e cattivo tempo, piazzando i propri uomini in tutti i posti chiave ...
La d.ssa Kustermann, alla fine "tira il freno": "Forse siamo nate in un luogo più fortunati di altri" ... o forse non è affatto vero che facendo aborti non si fa carriera ...

Giacomo Rocchi

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