Nel riproporre la scelta a suo tempo fatta di legalizzare la
fecondazione in vitro, evidente
sembra la convinzione che lo smantellamento della legge 40 sia frutto di una
scelta arbitraria della Corte Costituzionale. Insomma: "noi avevamo
approvato una legge accettabile con un sano trasversalismo che aveva portato
alla riduzione del danno" (Domenico Delle Foglie), anche se
"imperfetta" (Carlo Casini); i giudici cattivi, la Corte
Costituzionale e perfino la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ce l'hanno
smontata".
E così, occorre intervenire per ottenere una "riduzione
del danno da Corte Costituzionale" (Francesco Agnoli).
La mia sensazione è che questa posizione – che, ovviamente,
serve per qualcuno (usando un termine penalistico) a precostituirsi un alibi
("non sono stato io! non è colpa mia!") – rifiuti di leggere davvero
le motivazioni dei provvedimenti giudiziari che hanno determinato questo
smantellamento.
Anticipo la conclusione: i giudici hanno adottato le loro
decisioni facendo leva proprio sulla
legge 40 (oltre che sulla legge 194 del 1978 che la legge 40 "fa
salva")! Il vizio vero è quello di irragionevolezza del legislatore del
2004 che, avendo permesso determinate pratiche, ha illogicamente vietato altre.
Insomma: è la logica
della legge 40 ad imporre (o quanto
meno: a rendere inevitabile)
l'abbattimento dei paletti!
In breve la dimostrazione.
Nella sentenza del 2009 (la n. 151), che aveva eliminato il
numero massimo di embrioni producibili, la Corte Costituzionale prendeva atto
che "la legge (...) rivela un limite alla tutela apprestata all’embrione,
poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni
prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a
gravidanza, (…) consentendo un affievolimento della tutela dell’embrione al
fine di assicurare concrete aspettative di gravidanza (…) la tutela
dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di
individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione."
In sostanza: se la legge permetteva di trasferire tre
embrioni, prevedendo consapevolmente la morte di due di loro, perché non
lasciare al medico la scelta di quanti embrioni produrre e trasferire?
Non basta: la Corte Costituzionale faceva leva già in quella
sentenza sulla finzione che la legge
40 ha sposato in pieno: che, cioè, l'applicazione delle tecniche di fecondazione
artificiale abbia a che fare con la salute
umana e, quindi, con il diritto alla
salute.
Sappiamo benissimo che non è così: le tecniche non curano nessuno ma permettono di ottenere
una gravidanza senza curare. Eppure
la legge 40 fu intitolata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita" e l'art. 1,
comma 2 ne permise il ricorso "qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di
sterilità o infertilità": quindi quelle pratiche zootecniche applicate
sugli uomini furono elevate legislativamente a "metodi terapeutici",
per di più "efficaci" (anzi: i più efficaci, quindi i migliori!).
Anche la sentenza n. 162 sulla fecondazione eterologa giunge
ad eliminare il divieto sulla base della logica
della legge 40: abbiamo già visto, infatti, che richiama il diritto al figlio che la legge già
contiene e si chiede per quale motivo questo diritto venga negato ad alcune
coppie e concesso ad altre; e poi fa leva, ancora una volta, sul diritto alla salute, interpretato in
senso ampio, comprensivo anche della salute psichica: esattamente come la legge
40, in base alla quale i cicli di fecondazione in vitro sono a carico di Stato e Regioni in quanto prestazioni
sanitarie (non è un caso che se ne occupi il Ministro della Salute).
La Corte richiama, quindi, il principio che "in materia
di pratica terapeutica la regola di
fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il
consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali".
E la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo? Ha condannato
l'Italia per il divieto di diagnosi genetica preimpianto (caso Costa e Pavan
contro Italia) evidenziando l'illogicità di una regolamentazione che permette
l'aborto eugenetico: se si può uccidere dopo, perché non farlo prima, con minor
danno per la salute della donna?
All'epoca molti si scandalizzarono, rifiutandosi di
ammettere che il quadro normativo è esattamente quello descritto: l'aborto
eugenetico, in conseguenza di diagnosi prenatale sfavorevole, è sempre permessa
dalla legge 194 del 1978, anche a gravidanza avanzata ed è permesso anche per i feti prodotti con la
fecondazione artificiale, in forza della espressa previsione dell'art. 14,
comma 1 della legge 40. Non solo: le statistiche ministeriali dimostrano che concretamente ogni anno qualche
centinaia di embrioni prodotti con la FIVET, trasferiti nell'utero delle madri
e che erano riusciti fortunosamente ad attecchire, dando luogo ad una
gravidanza, sono stati abortiti
volontariamente.
Chi ha scritto e fatto approvare la legge 40 sulla
fecondazione artificiale ha fatto in modo – consapevolmente o meno – che quei
"paletti" fossero destinati a cadere.
Fecondazione in vitro: tutto o niente.
Occorre chiarire l'ultima affermazione fatta.
Qui non stiamo parlando soltanto
di un legislatore distratto oppure incapace tecnicamente o ancora in mala fede: si tratta di questione in
qualche modo superata (tranne che per
l'atteggiamento ancora attuale di coloro che spinsero per l'approvazione della
legge 40, tesi a discolparsi, di cui abbiamo parlato).
Occorre piuttosto comprendere e prendere atto che la
legalizzazione della fecondazione extracorporea porta inevitabilmente con sé la sovrapproduzione di embrioni, la loro
selezione, la morte procurata o il congelamento della maggior parte di loro, la
fecondazione eterologa.
La logica della
fecondazione artificiale è così forte
da non permettere una sua trasformazione in strumento buono da mettere a
disposizione delle coppie di coniugi che non riescono ad avere figli: questa
forza sta, forse, proprio nella sua artificialità
(espressione che il legislatore della legge 40 ha provveduto a cancellare,
nello stesso modo in cui erano state cancellate le parole "aborto",
"concepito" e "figlio" dalla legge 194 del 1978 …) che
altro non è che la natura antiumana
delle tecniche (che, appunto, sono state create per gli animali).
Se accettiamo queste tecniche, le prendiamo nella loro totalità; dal punto di vista
legislativo, il legislatore del 2004 lo aveva in parte già compreso, ad esempio
ammettendo casi in cui il congelamento degli embrioni era possibile (un piccolo
spiraglio utilizzato dalla Corte Costituzionale per permettere la
sovrapproduzione degli embrioni): ma il discorso è generale.
Io non mi soffermo – non avendone la capacità – sulle
motivazioni antropologiche, filosofiche e anche teologiche di questa
affermazione: non vi è dubbio che la fecondazione in vitro è la sublimazione della scissione tra amore, sessualità e
procreazione e le sue conseguenze possono essere spiegate – e lo sono state –
partendo da questa visuale.
Mi limito qui a constatare – e invito tutti a farlo – un
fatto: in tutto il mondo (ora anche in Italia, almeno in parte) la fecondazione
in vitro porta con sé quanto abbiamo
già descritto (strage di embrioni, eugenetica, eterologa) e molto, molto altro
(basti pensare, tra i temi attuali, all'utero in affitto, con lo sfruttamento
delle donne povere; e soprattutto, al quadro che mons. Crepaldi tratteggia,
quello di un processo di eliminazione della natura e della natura umana che
travolge l'uomo e trasforma le democrazie in regimi totalitari).
Nessuna conseguenza è positiva, nessuna.