Nel post precedente abbiamo iniziato a commentare la vicenda dell'arresto di due medici a Cerignola per concussione: dalle indagini (e quindi fatta salva ogni emergenza contraria) pare che i due professionisti pretendessero 100 euro ad aborto, minacciando di lasciar trascorrere il termine di novanta giorni dall'inizio della gravidanza, con tutti i problemi conseguenti.
La vicenda tocca due aspetti della legge di aborto (la legge 194 del 1978): la gratuità dell'intervento e la fissazione di un termine intermedio (90 giorni), decorso il quale la disciplina cambia.
Giacomo Rocchi
La vicenda tocca due aspetti della legge di aborto (la legge 194 del 1978): la gratuità dell'intervento e la fissazione di un termine intermedio (90 giorni), decorso il quale la disciplina cambia.
Affrontiamo il primo.
Perché l'aborto deve essere gratuito e a carico della collettività? Lo stabilisce l'art. 10 della legge 194.
La norma presuppone che l'intervento sia davvero eseguito in presenza di un "serio pericolo per la salute della donna", quando è assolutamente pacifico - e si ricava, del resto, dal testo dell'art. 5 della legge - che l'aborto nei primi novanta giorni è un diritto assoluto, pieno, della donna, alla quale la legge permette di abortire in ogni caso.
Se si tratta, allora, di esercizio dell'autodeterminazione, perché non distinguere tra i vari casi, ad esempio prevedendo la gratuità per le donne rimaste incinte dopo una violenza sessuale e, quindi, non "responsabili" della gravidanza in corso?
Lo Stato fornisce un servizio specialistico a semplice richiesta? Perché l'utente non dovrebbe pagare?
Forse è stato questo il ragionamento che ha mosso i due medici: 100 euro sono troppi per un "servizio" rapido, sicuro e senza complicazioni?
Il fatto è che l'aspetto economico è sempre stato presente per i medici che praticano gli aborti: come dimenticare che la LAIGA - la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'applicazione della legge 194 del 1978 - che, insieme alla Consulta di Bioetica, promuove la campagna "Il buon medico non obietta", tra i suoi obbiettivi statutari indica il seguente:
Perché l'aborto deve essere gratuito e a carico della collettività? Lo stabilisce l'art. 10 della legge 194.
La norma presuppone che l'intervento sia davvero eseguito in presenza di un "serio pericolo per la salute della donna", quando è assolutamente pacifico - e si ricava, del resto, dal testo dell'art. 5 della legge - che l'aborto nei primi novanta giorni è un diritto assoluto, pieno, della donna, alla quale la legge permette di abortire in ogni caso.
Se si tratta, allora, di esercizio dell'autodeterminazione, perché non distinguere tra i vari casi, ad esempio prevedendo la gratuità per le donne rimaste incinte dopo una violenza sessuale e, quindi, non "responsabili" della gravidanza in corso?
Lo Stato fornisce un servizio specialistico a semplice richiesta? Perché l'utente non dovrebbe pagare?
Forse è stato questo il ragionamento che ha mosso i due medici: 100 euro sono troppi per un "servizio" rapido, sicuro e senza complicazioni?
Il fatto è che l'aspetto economico è sempre stato presente per i medici che praticano gli aborti: come dimenticare che la LAIGA - la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'applicazione della legge 194 del 1978 - che, insieme alla Consulta di Bioetica, promuove la campagna "Il buon medico non obietta", tra i suoi obbiettivi statutari indica il seguente:
"ottenere un aumento dei giorni di ferie e della retribuzione a favore degli operatori legge 194 poiché sopportano un carico psicologico maggiore rispetto agli obiettori".Forse i due medici di Cerignola hanno semplicemente precorso i tempi ...
Giacomo Rocchi
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