Nei due
precedenti post abbiamo visto che non è lecito dare il proprio appoggio ad una
legge intrinsecamente malvagia che legittimasse la pratica della fecondazione
artificiale seppur animati dalla buona intenzione di limitare i danni provocati
dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha aperto all’eterologa sempre e
comunque.
Neppure in stato di necessità, cioè neppure se non ci fossero altre
soluzioni percorribili.
Ora
facciamoci questa domanda: di fronte a tale situazione creatasi dalla sentenza
della Consulta, quali sono le strade lecite sotto il profilo morale per opporsi
alla pratica ormai legale della eterologa?
Appuntiamo che, per espressa
decisione dei giudici, il Parlamento non deve intervenire sulla materia essendo
già sufficienti le norme vigenti (semmai occorrerà aggiustare qualcosa nelle
linee guida). Per quello che qui a noi interessa ciò significa che l’eterologa è
già sin d’ora pratica legittima in ogni sua forma.
Dunque
abbiamo escluso che il male si possa combattere legalizzandolo (v. anche legge
194). Non vale il brocardo: se il male è inevitabile almeno che lo si faccia
bene. Il male mai si può compiere anche se minore.
Le
soluzioni per arginare il male, tra le molte, potrebbero essere le seguenti.
La
prima: per gli operatori sanitari ricorrere all’obiezione di coscienza prevista
dalla legge 40 (per gli interessati: non serve alcuna pratica aggiuntiva dato
che l’obiezione di coscienza è valida per qualsiasi tecnica di fecondazione
artificiale compresa quella eterologa).
In
secondo luogo, sul piano giurisprudenziale, prendere esempio dai Radicali.
All’indomani dalla batosta referendaria sulla legge 40 nel 2005 iniziarono ad
intasare i tribunali di ricorsi per cambiare la legge e ci sono riusciti. Non
si sono pianti addosso dicendo: “Con questa disfatta referendaria ormai tutto è
perso e la partita sulla Fivet è chiusa”.
In
terzo luogo occorre combattere la sentenza dei giudici sotto il profilo
culturale – anche le azioni di carattere politico e giurisprudenziale possono
assumere una veste culturale - ponendo la scure alla radice del problema, non
cercando solo di sfrondare i rami più alti. Ciò significa che è doveroso
ripetere in tutti i modi e in tutte le sale che è la stessa fecondazione
artificiale ad essere una pratica iniqua.
Se la
Corte costituzionale avesse aperto la porta alla sperimentazione sull’uomo,
quale strategia sarebbe stata lecita sotto il profilo morale? Quella che
contestava in radice tale provvedimento e si adoperava perché nella prassi non
fosse applicata o quella che invocava una legge che confermasse il pronunciamento
dei giudici?
E a parte invertite: cosa avrebbero fatto i Radicali se la
Consulta avesse ad esempio soppresso il divieto di imporre le cure, anche
quelle salvavita? Avrebbero chiesto una legge per porre dei limiti oppure
avrebbero criticato la decisione in radice?
Infine
sul piano legislativo è necessario proporre disegni di leggi che mirino (solo)
a limitare la portata lesiva della legge 40, attaccandola articolo per
articolo.
Si obietterà: “Proprio ora dopo la sentenza della Consulta? E’ da
folli, da gente che non vive nella realtà! E’ fatica sprecata, non servirà a
nulla e il disegno di legge finirà nel cestino della prima commissione che lo
esaminerà!”.
Tutto vero, ma per intanto si cambia la direzione dello scontro (e
si fa opinione): non più stretti a catenaccio nella difesa della legge 40 per
paura che cambi in peggio, ma tesi ad attaccare il nemico. In tal modo saranno
i pro-choice ad essere costretti a difendere questa legge e non i cattolici.
Infatti
tali derive della Consulta sono anche l’esito della posizione rinunciataria di
ampi settori della cultura cattolica volti sempre, come accennato prima, alla
difesa del male esistente – pensato ormai come realtà inestirpabile e
irreversibile – e mai protesi all’attacco.
Se chiedi cento magari dieci ottieni,
ma se difendi il tuo dieci che ti tieni gelosamente stretto al petto vedrai che
anche quel dieci ti verrà tolto.
La storia sui principi non negoziabili ce lo
insegna.
Tommaso Scandroglio