Da "Il diritto di non soffrire", di Umberto Veronesi
"Ma i cittadini italiani vogliono veramente affidare ai medici la decisione su come desiderano morire? Tramite la Fondazione Veronesi, all’inizio del 2007 volli affidare la risposta a un sondaggio (...) mi sembra fondamentale rispondere alla domanda più importante, che il legislatore non può far finta di ignorare: a chi spetta la decisione? Agli intervistati è stato sottoposto un quesito molto dettagliato: «Se una persona è affetta da una malattia o lesione cerebrale irreversibile che le impedisce di esprimere la sua volontà e la costringe alla dipendenza da macchine, a chi dovrebbe aspettare la decisione di non somministrare o eventualmente sospendere i trattamenti che la tengono artificialmente in vita?». Ecco le risposte: solo il 5% degli intervistati ha detto che la decisione spetta al medico che ha in cura il paziente (in ospedale, in reparto di rianimazione, a casa), mentre il 50% ha risposto che la decisione spetta al paziente che ha espresso la proprio volontà in merito quando ancora era in piena lucidità mentale. Questa risposta è stata data dalla metà di coloro che si erano posti il problema e dal 40% di coloro che non se l’erano mai posto. Questa risposta mi sembra assolutamente illuminante e nettamente prevalente rispetto alle altre, che comunque riporto: il 20% ha risposto che la decisione spetta a un familiare (coniuge/genitore/figli o altri parenti), il 20% che la decisione non spetta a nessuno perché «la vita è un dono e bisogna fare di tutto per tutelarla», un altro 5% affida la decisione «a una commissione etica di esperti», e un residuo 1% «a un giudice/magistrato».
"una legge sulle dichiarazioni anticipate di fine vita è necessaria e urgente. Si tratta infatti di porre limiti e vincoli precisi a quella “giurisprudenza creativa” che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno. Non si tratta di mettere in campo provvedimenti intrusivi che oggi ancora non ci sono, ma di regolare piuttosto intrusioni già sperimentate, per le quali è stato possibile interrompere il sostegno vitale del cibo e dell’acqua. Chi non comprende che il rischio di avallare anche un solo caso di abuso, poiché la vita è un bene non ripristinabile, non può non indurre tutti a molta, molta cautela? Per rispettare la quale è necessario adottare regole che siano di garanzia per persone fatalmente indifese, e la cui presa in carico potrebbe un domani – nel contesto di una società materialista e individualista - risultare scomoda sotto il profilo delle risorse richieste"
Umberto Veronesi e il card. Bagnasco sembrano concordare sulla domanda di fondo che sta dietro al progetto di legge sulle DAT: chi deve decidere, quando una persona è "indifesa", della sua vita e della sua morte?
Veronesi esprime con la consueta franchezza la sua opinione.
Il Presidente della CEI, da parte sua, mostra di credere che il contenuto del progetto di legge sia limitativo: "regolare intrusioni già sperimentate ... da certa giurisprudenza creativa".
Cosa viene limitato (anzi: "regolato")? "La possibilità di interrompere il sostegno vitale del cibo e dell'acqua".
E le altre decisioni? Sulla possibilità di interrompere la respirazione artificiale (non è un sostegno vitale?), sulla possibilità di non erogare terapie di tutti i tipi ...?
Leggiamo bene cosa dice il card. Bagnasco. Egli non afferma: "le persone devono essere curate sempre, a meno che non si tratti di soggetti morenti per i quali ci si deve astenere dall'accanimento terapeutico". Piuttosto afferma: "le scelte che riguardano la vita e la morte non possono restare affidate all'arbitrarietà di alcuno ... per esse devono essere adottate regole di garanzia".
Quali sono queste regole? Bagnasco non ne fa cenno; e allora leggiamole nel progetto di legge:
- se il paziente è minorenne i genitori possono decidere di non curarlo, fino alla morte
- se il paziente è interdetto il tutore può decidere di non curarlo, fino alla morte
- se un paziente è incapace e in stato di "fine vita" i medici possono decidere di non curarlo ritenendo le terapie "sporporzionate" o "non tecnicamente adeguate", fino alla morte
- se il paziente è incosciente i medici possono decidere di sospendere anche nutrizione e idratazione se le ritengono "non più efficaci";
-le dichiarazioni anticipate possono impedire ai medici terapie salvavita.
Se questa è la garanzia ...
Giacomo Rocchi
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