“Il progetto Calabrò è una buona proposta”: così, abbiamo visto, il Presidente del Movimento per la Vita giudica il progetto di legge approvato dal Senato della Repubblica e attualmente in discussione alla Camera dei Deputati, auspicandone la rapida approvazione senza alcuna modifica, per evitare la necessità di un ritorno del testo al Senato.
Nel Manifesto Appello, il Comitato Verità e Vita, in modo puntuale, indica quelle norme del progetto che, di fatto e di diritto, introducono – almeno in parte – l’eutanasia nel nostro sistema giuridico; sottolinea, soprattutto che – contrariamente a quanto viene fatto trasparire a livello di mass media – il progetto non riguarda soltanto le dichiarazioni anticipate di trattamento, ma tocca questioni del tutto diverse e, in definitiva, permette ai sani di decidere della vita e della morte dei malati e degli incapaci, esattamente come accadde quanto alla decisione del padre – tutore di Eluana Englaro.
Preoccupa constatare che di queste previsioni il mondo prolife e il mondo cattolico tace, ignorandole: come se l’unico punto su cui combattere fosse quello concernente l’inserimento nel testamento biologico dell’interruzione della nutrizione e idratazione artificiale; con il rischio di scoprire che si tratta poco più che uno specchietto per le allodole, mentre i nemici della vita e fautori dell’eutanasia ottengono il risultato sperato inserendo ben altre previsioni.
Ripercorriamo le norme che il Comitato stigmatizza nel Manifesto Appello per scoprire, in primo luogo, chi le ha scritte davvero.
Come è nato infatti il progetto Calabrò? Il sen. Calabrò era relatore del progetto di legge alla Commissione Igiene e Sanità del Senato che ha per prima esaminato il testo di numerose proposte di legge: la sua prima opera è stata quella di collazionare il testo di tutte le proposte, verificarne le coincidenze e le divergenze, proporre un testo base unitario su cui discutere per giungere ad un progetto da proporre all’Assemblea.
Come si vede, quindi, proprio da come si è avviata la discussione parlamentare – molti progetti di segno nettamente diverso di cui, in prima battuta, doveva essere fatto una sorta di collage – era del tutto prevedibile che nel progetto approvato definitivamente dal Senato (e che ora si cerca di approvare senza modificazioni alla Camera) si potessero rintracciare brani presenti nell’uno o nell’altro progetto.
Ma, siccome l’attività parlamentare non è semplice combinazione di proposte diverse ma, piuttosto, contrapposizione – a volte accesa – tra ideologie e opinioni politiche, morali e sociali del tutto diverse, sotto questo collage sta un braccio di ferro: lo avrà vinto chi, a progetto definitivo approvato, sarà riuscito a far transitare nel testo della legge quelle previsioni che qualificavano il proprio disegno.
E allora: chi ha vinto il braccio di ferro conclusosi al Senato?
Nel Manifesto Appello, il Comitato Verità e Vita, in modo puntuale, indica quelle norme del progetto che, di fatto e di diritto, introducono – almeno in parte – l’eutanasia nel nostro sistema giuridico; sottolinea, soprattutto che – contrariamente a quanto viene fatto trasparire a livello di mass media – il progetto non riguarda soltanto le dichiarazioni anticipate di trattamento, ma tocca questioni del tutto diverse e, in definitiva, permette ai sani di decidere della vita e della morte dei malati e degli incapaci, esattamente come accadde quanto alla decisione del padre – tutore di Eluana Englaro.
Preoccupa constatare che di queste previsioni il mondo prolife e il mondo cattolico tace, ignorandole: come se l’unico punto su cui combattere fosse quello concernente l’inserimento nel testamento biologico dell’interruzione della nutrizione e idratazione artificiale; con il rischio di scoprire che si tratta poco più che uno specchietto per le allodole, mentre i nemici della vita e fautori dell’eutanasia ottengono il risultato sperato inserendo ben altre previsioni.
Ripercorriamo le norme che il Comitato stigmatizza nel Manifesto Appello per scoprire, in primo luogo, chi le ha scritte davvero.
Come è nato infatti il progetto Calabrò? Il sen. Calabrò era relatore del progetto di legge alla Commissione Igiene e Sanità del Senato che ha per prima esaminato il testo di numerose proposte di legge: la sua prima opera è stata quella di collazionare il testo di tutte le proposte, verificarne le coincidenze e le divergenze, proporre un testo base unitario su cui discutere per giungere ad un progetto da proporre all’Assemblea.
Come si vede, quindi, proprio da come si è avviata la discussione parlamentare – molti progetti di segno nettamente diverso di cui, in prima battuta, doveva essere fatto una sorta di collage – era del tutto prevedibile che nel progetto approvato definitivamente dal Senato (e che ora si cerca di approvare senza modificazioni alla Camera) si potessero rintracciare brani presenti nell’uno o nell’altro progetto.
Ma, siccome l’attività parlamentare non è semplice combinazione di proposte diverse ma, piuttosto, contrapposizione – a volte accesa – tra ideologie e opinioni politiche, morali e sociali del tutto diverse, sotto questo collage sta un braccio di ferro: lo avrà vinto chi, a progetto definitivo approvato, sarà riuscito a far transitare nel testo della legge quelle previsioni che qualificavano il proprio disegno.
E allora: chi ha vinto il braccio di ferro conclusosi al Senato?
Partiamo dalle norme che attribuiscono ai tutori degli incapaci, agli amministratori di sostegno e ai genitori dei figli minori il potere di decidere le terapie mediche da erogare o da non erogare – o da interrompere – agli interdetti, agli assistiti e ai figli minori.
Parliamo dell’ipotesi “classica” di eutanasia: ad una persona viene attribuito il potere di decidere la vita e la morte di un’altra persona che non può farlo autonomamente e la decisione viene presa in ragione delle condizioni di salute della vittima; o meglio: i motivi della decisione di uccidere – o di lasciar morire mediante l’omissione di terapie o alimentazione – sono lasciati a colui che deve decidere, cui viene attribuito il diritto di vita e di morte.
Parliamo dell’ipotesi “classica” di eutanasia: ad una persona viene attribuito il potere di decidere la vita e la morte di un’altra persona che non può farlo autonomamente e la decisione viene presa in ragione delle condizioni di salute della vittima; o meglio: i motivi della decisione di uccidere – o di lasciar morire mediante l’omissione di terapie o alimentazione – sono lasciati a colui che deve decidere, cui viene attribuito il diritto di vita e di morte.
Nel prossimo post vedremo come il progetto Calabrò regola questa ipotesi e chi ne è l'ispiratore.
Giacomo Rocchi
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