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martedì 3 marzo 2009

Cattivi maestri/4

Enzo Bianchi sulla Stampa:

"La Chiesa cattolica e tutte le Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente".

Periodo molto interessante: da una parte ribadisce il divieto di uccidere, dal concepimento fino alla morte naturale; dall'altra, nella vicenda Englaro, non riesce a vedere che qualcuno ha "tolto" o "spento" quella vita (per usare le sue stesse espressioni): in realtà si è trattato soltanto di "pensarla diversamente". Beppino Englaro si è limitato a pensarla diversamente?
E infatti la severità del monaco si concentra su altri: coloro che mancano dello "stile" cristiano: fermezza sì, disprezzo e condanna no e soprattutto misericordia e compassione.

Ma cosa è successo a Udine? Enzo Bianchi non lo dice (non lo vuole dire?); parla, riferendosi ad Eluana Englaro, di "agonia lunga 17 anni di una donna", e poi, generalizzando, osserva: "la morte non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmente come candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è «agonia», lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi è sempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai macchinari... "
Eluana Englaro, quando viveva a Lecco, era in agonia? Soffriva fisicamente? Era ostaggio di "strutture e macchinari"?
Ecco: il gesto di Beppino Englaro è stato un gesto cristiano! "Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a quell’incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un «sì» che comportava la rinuncia ad accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato".
E naturalmente, Paolo VI aveva previsto tutto:
"Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita".

Enzo Bianchi ci spieghi perché il discorso di Paolo VI aveva a che fare con Eluana Englaro: che non aveva una malattia incurabile, non era nella fase terminale della sua vita, non soffriva! Eluana Englaro veniva semplicemente nutrita ed amorevolmente accudita: la sua era una vita pienamente umana e che non stava affatto andando verso il suo epilogo.

Qualcuno - che, senza dubbio, la pensava diversamente - non si è limitato a pensare.
Caro Bianchi: se vuole fare una predica, non giochi sulle parole e sulle persone!

Giacomo Rocchi