Praticare un aborto significa uccidere un bambino.
Questa è la semplice realtà di un atto che i medici conoscono bene, che siano obiettori o non obiettori, così come la conoscono tutte le persone, che siano donne che si sottopongono all'intervento o meno.
La legalizzazione dell'aborto volontario permette queste uccisioni, ma deve anche "educare" la popolazione, far sparire quel senso di orrore istintivo - e giusto - che si prova di fronte alla volontaria uccisione di un essere umano.
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L'intervista al dr. Maurizio Bini apparsa sul blog del Corriere della Sera "La 27a ora" appartiene al genere letterario della creazione dell'eroe buono.
Partiamo subito con una vita "faticosa, dolorosa e perfino pericolosa" - aggettivi buttati là senza nulla spiegare. Certo, lavorare stanca (il dr. Bini lavora da 33 anni all'ospedale Niguarda), ma questo non vale solo per i medici che praticano gli aborti ...
Quanto agli aggettivi "dolorosa" e "pericolosa", viene da chiedersi se non siano meglio riferibili ai bambini uccisi e alle madri alle quali il dr. Bini ha prestato il suo servizio ...
La vita dell'eroe buono - come da genere letterario - deve registrare specifici episodi in cui la virtù si mostra nel suo massimo fulgore. Il dr. Bini ne ricorda due.
Il primo:
"Maurizio Bini, 58 anni, non ha potuto essere presente alla morte del padre: «Era programmata una seduta di interruzioni di gravidanza proprio quel giorno. Quale altra scelta avevo?»
Quale altra scelta aveva? Le donne che avevano deciso di far uccidere i loro figli sarebbero morte se avessero aspettato qualche giorno?
Insomma - come lo stesso articolo annota subito dopo - "la famiglia è finita in secondo piano" per eseguire aborti.
Il secondo episodio:
"in un indimenticabile 2 giugno: «Sono ritornato dalle vacanze apposta, perché una ragazza albanese giovanissima non era riuscita a trovare in tutta la Lombardia qualcuno che la aiutasse ad abortire prima che scadessero i termini di legge, nonostante il feto avesse una grave malformazione»
Eccolo qui l'eroe: che corre per riuscire ad uccidere un bambino in tempo (guai che riesca a nascere!), con due "medaglie" in più: avere "servito" una minorenne - si sa, per una ragazza è sempre un bene giungere alla maggiore età con un aborto alle spalle ... - e averlo fatto con una ragazza extracomunitaria - benvenuti in Italia!
Una vita votata a permettere sempre e più rapidamente possibile l'uccisione dei bambini: il dr. Bini si vanta, infatti, di aver "tolto ogni limitazione di accesso al servizio", lamentandosi che ora, invece, gli aborti vengono programmati "solo" in due sessioni alla settimana.
Insomma: quale bilancio? A parte "la famiglia in secondo piano",
"sacrifici in termini di progressione di carriera, considerazione sociale e quantità di energia sottratta ad altre ben più gratificanti attività professionali".
Caro dr. Bini, se non va in pensione anticipata, ha ancora tempo per cambiare: smetta di uccidere bambini ...
Giacomo Rocchi
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