Nell'articolo precedente ho cercato di individuare
le cause del disastroso fallimento della strategia perseguita da chi volle a
tutti i costi l'approvazione della legge 40 sulle fecondazione artificiale,
nonostante la tenace opposizione di un minoritario gruppo di prolife: il tradimento della verità.
La fedeltà alla verità ha due aspetti, entrambi
importanti.
Il primo è quello che il prof. D'Agostino,
nell'articolo su Avvenire del 15 aprile, definisce la "verità delle
cose": è l'adesione alla realtà naturale, il riconoscimento – senza
nessuna censura, né verso se stessi, né verso gli altri – di cosa avviene
veramente; cosicché una raffigurazione "vera" della fecondazione in vitro parte dalla constatazione che
gli embrioni prodotti sono esseri umani, passa dalla morte certa e prevista della maggior parte di loro, valuta per quello che
sono le barbare pratiche del congelamento, della diagnosi preimpianto e della
sperimentazione sugli embrioni.
Non solo: un atteggiamento fedele alla realtà non
nasconde l'ideologia della fecondazione
in vitro, che produce l'uomo, lo seleziona, lo fornisce ai richiedenti, lo
rende un prodotto esente da difetti o utile per gli esperimenti … basta pagare.
Vi è poi la verità sulle leggi. Si tratta di un
giudizio diverso e – direi – molto più difficile, che il Comitato Verità e Vita
ha nel suo DNA.
La difficoltà nel giudicare una legge sta innanzitutto nel
tecnicismo che inevitabilmente è richiesto, soprattutto nell'epoca
contemporanea in cui le leggi sono sempre più complesse; vi è poi il problema
delle "leggi ipocrite", quelle il cui testo nasconde la portata
effettiva della decisione politica che è stata assunta: le leggi degli ultimi
decenni in materia bioetica descrivono, di solito, un "procedimento",
un "protocollo", il cui esito è la condotta che – di fatto – viene
autorizzata (ad esempio: le pratiche di fecondazione in vitro, oppure l'aborto
volontario o ancora – si pensi al famigerato "protocollo di
Groningen" – l'uccisione di un bambino).
Non vi è dubbio che è più facile criticare
aspramente un progetto di legge piuttosto che una legge definitivamente
approvata: lo dimostra la battaglia a viso aperto che i Giuristi per la Vita,
la Nuova Bussola Quotidiana e altri soggetti stanno facendo per contrastare
l'approvazione della liberticida legge sull'omofobia; nonostante la censura dei
media, in qualche modo è possibile argomentare e denunciare il reale contenuto
del progetto di legge e gli effetti che esso avrà se definitivamente approvato,
suscitando una grande attenzione nella popolazione.
Una discussione del genere fu tacitata prima
dell'approvazione della legge 40, in conseguenza della scelta fatta dall'alto:
si impedì alle persone di comprendere ciò che veniva autorizzato.
Molto più difficile è l'opera successiva
all'approvazione della legge.
La caratteristica delle leggi ingiuste è di
stravolgere e nascondere la verità sulla loro natura e sui loro effettivi
contenuti, ma anche sulla realtà sottostante, sulle pratiche che si autorizzano:
sulla "verità delle cose".
Ciò è già evidente per le pratiche di fecondazione in vitro: provate ora – solo dieci anni
dopo l'approvazione della legge 40! – a convincere le persone che gli embrioni
prodotti sono esseri umani e che la maggior parte di loro muore! O che queste
tecniche sono antiumane, ledono la dignità degli esseri prodotti, spingono
inevitabilmente verso la selezione eugenetica!
Come dimenticare che i primi commenti
"ufficiali" da parte cattolica sui primi anni di attuazione della
legge 40 evidenziavano con soddisfazione che la legge "funzionava",
tanto che il ricorso alla fecondazione in vitro era aumentato!
Quello che si poteva – anzi: si doveva! – dire di
male della fecondazione artificiale fu tenuto nascosto ai più prima
dell'approvazione della legge; ora – quando ormai le tecniche sono fornite dal
Servizio Sanitario nazionale – è molto più difficile, perfino nel mondo
cattolico.
E così la battaglia contro le leggi ingiuste è ardua,
difficile, è percepita con fastidio perché non riesce a far emergere l'essenza
di quella legge e della pratica ingiusta che autorizza.
Lo stato dell'opposizione alla iniqua legge
sull'aborto, che da 36 anni permette di uccidere legalmente i bambini in
Italia, ne è la dimostrazione: non solo la popolazione ritiene
l'autodeterminazione della donna un dato acquisito, indiscutibile, e ritiene impossibile
metterlo in discussione, ma la natura stessa dell'aborto – l'uccisione cruenta
di un essere umano vivo e felice – è ormai quasi ignorata; il bambino non c'è
più, è nascosto, dimenticato.
Forte è, quindi, la tentazione di condurre battaglie
parziali.
Ma si può davvero – ad esempio – spingere per una maggiore presenza
dei Centri di Aiuto alla Vita negli ospedali senza contestualmente ribadire
l'iniquità della legge? Oppure il patto tacito è quello di non contestare
l'ingiustizia della legge (fino all'eccesso di zelo di qualcuno che ha definito
la legge la "migliore possibile")?
Il criterio non può che essere quello della verità integrale, sulla legge e sull'aborto:
solo se affermo pubblicamente che è ingiusto che la legge permetta alla donna
incinta di scegliere liberamente di uccidere il proprio figlio e che, quindi,
questa legge deve essere spazzata via, allora potrò davvero aiutare la donna a
"scegliere" di non uccidere, indicandole la natura dell'atto che la
legge le permette di compiere.
Molte battaglie parziali – una fra tutte: quella
contro la RU486 contrapposta all'aborto chirurgico – sembrano talvolta voler
nascondere la verità intera: quasi che si voglia parlare d'altro per distrarre il popolo prolife dall'obiettivo – l'unico vero obiettivo che si debba
perseguire: il divieto dell'aborto volontario, la negazione del principio di
autodeterminazione.
Ecco perché la Marcia per la Vita – cui il Comitato
Verità e Vita aderisce con entusiasmo – è quasi un miracolo: ha permesso di
rimettere al centro la verità integrale sull'aborto e la verità integrale sulla
legge 194, senza riserve, senza frasi lasciate a metà, senza eccessiva
preoccupazione per i timori dei politici "amici" (che, ormai lo
abbiamo capito, diranno sempre che "non è il momento", che "si
rischia di peggiorare la legge" e che "bisogna lasciar fare a loro"
…).
L'unica strategia del mondo prolife è la verità tutta intera: e così dovremo tutti imparare a
dire che – come la matrigna legge 194 – la legge 40 è "integralmente
iniqua" e che la fecondazione in
vitro deve essere, senza se e
senza ma, vietata dalla legge, così
come l'aborto volontario.
Attenzione: la battaglia sull'eutanasia sta per
riprendere!
Davvero il mondo cattolico e prolife
vuole ripetere l'errore fatto per la fecondazione artificiale con la legge 40?
Davvero – come è successo nella precedente legislatura, in cui siamo arrivati
ad un passo dall'approvazione di una legge sulle DAT "cattolica" (!)
– rinunceremo a dire che un anziano, un disabile o un neonato prematuro sono
uccisi se vengono lasciati morire, anche se, tempo prima, hanno lasciato
scritto qualcosa o i genitori hanno deciso così; e che l'unica legge giusta per queste uccisioni è la norma
penale sull'omicidio volontario?
Giacomo Rocchi
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