E allora, vediamo quale è il risultato di queste "riflessioni" così come esposte dal prof. D'Agostino: "La situazione italiana è questa: esiste una legge sull'aborto che fa eccezione al principio generalissimo della liceità delle pratiche abortive. L’aborto in Italia non è lecito, a meno che la donna non chieda l’applicazione a suo carico di quelle procedure previste dalla legge 194 che rendono legale la pratica abortiva. Quindi, a voler prendere sul serio quella legge, l’aborto in Italia è legale come situazione di eccezione, ed è oltretutto doveroso dare prova che le pratiche previste dalla legge siano state rispettate. In questo senso l’aborto in Italia è una legalizzazione parziale che si incastra nel principio generale della illiceità dell’aborto. Questo discorso è teoreticamente corretto ma non corrisponde più al sentire comune dell’opinione pubblica, la quale ha ormai elaborato l’idea che non solo in Italia l’aborto sia libero, ma addirittura che l’aborto vada considerato un diritto insindacabile della gestante. Perfino la Cassazione nella sentenza del 10 ottobre 2012 ha parlato di un diritto all'aborto e questo è uno degli effetti di una giurisprudenza creativa che interpreta le leggi in chiave estensiva ma anche violandone il dettato rigoroso e specifico".
Al termine di quel convegno era stato approvato un documento in cui si legge: "La Legge 194/1978, a quasi venticinque anni dalla sua introduzione nell'ordinamento italiano, non ha ancora realizzato tutti gli enunciati che, nel riconoscimento del valore sociale della maternità e del diritto della vita umana ad una piena tutela fino dal suo inizio, prevedono una serie di iniziative volte ad assistere gravidanze complesse e ricche di risvolti personali e sociali, garantendo nei fatti la libertà e l’autonomia della scelta della donna. (...) In particolare per il feto è necessario che siano chiari, e maggiormente conosciuti, i suoi diritti, anche non scritti, concernenti la sua vita e le condizioni previste per il suo sviluppo, per permettere alla madre una decisione compiutamente responsabile."
Insomma: la legge 194 non rende lecita l'uccisione del bambino prima della nascita: i sei milioni di aborti legali sono state solo "eccezioni"! Si è sparsa la voce in giro che l'aborto sia un diritto per la donna: errore gravissimo! I diritti sono del feto! La colpa di chi e? Ovviamente dei giudici che "violano il dettato rigoroso e specifico della legge".
Accipicchia! Erano 35 anni che non avevamo capito nulla ... O forse erano 35 anni che eravamo andati oltre l'art. 1 delle legge 194, per scoprire che le "pratiche previste dalla legge" altro non sono che un colloquio e un'attesa di sette giorni ... Il dettato rigoroso e specifico della legge 194 dice proprio così, prof. D'Agostino: il solo fatto di avere sostenuto il colloquio dà alla donna incinta il diritto ad uccidere - a spese dello Stato - il proprio bambino, qualunque siano i motivi che la spingano a questo gesto.
I Giudici? non intervengono mica nella fase di autorizzazione dell'aborto (salvo che per le minorenni: e dicono sempre sì); intervengono, piuttosto, per risarcire il danno della madre che non ha potuto abortire, perché, sì, visto che l'uccisione del bambino è un diritto, il bambino nato è un danno: e che l'aborto sia un diritto lo dicono almeno da quindici anni (Cass. civ. Sez. 3, n. 12195 del 01/12/1998), mentre i Giudici penali hanno ritenuto l'aborto "giustificato" dalla legge 194 fin dal 1981 (Cass. pen., Sez. 1, n. 10699 del 19/10/1981)!
Insomma: prendiamo sul serio la legge 194! Questa legge omicida e ipocrita che, già sei milioni di volte, ha "realizzato tutti i suoi enunciati"!
Giacomo Rocchi