mercoledì 27 agosto 2008

Mi sono accorta a partire dalla mia esperienza di come il testamento biologico non abbia senso


Pubblichiamo l'intervento di Giancarlo Cesana e di Sylvie Menard al Meeting, da ilsussidiario.net:
Il Meeting di Rimini affronta anche uno degli argomenti più scottanti del dibattito culturale e medico degli ultimi anni: nell’incontro “Misurare il desiderio infinito? La qualità della vita” si parla di eutanasia e di malati terminali. Giancarlo Cesana, docente di Igiene Generale e Applicata all’Università degli Studi di Milano Bicocca, pone il livello della questione: «Possiamo misurare solo ciò che dipende da noi, ma la vita è qualcosa che ci sfugge, non ce la siamo data noi e non possiamo aggiungervi un solo attimo. Questo vuol dire che è mistero». Il malato, secondo Cesana, sta diventando un disturbo per la società: si cerca di negare che anche una persona con la diagnosi di tre mesi di vita possa essere protagonista. La malattia ci mette davanti all’evidenza, ancora una volta, che la vita non è di nostra proprietà. «Oggi – continua il professore – è la medicina che detta le regole della vita e non, come dovrebbe essere, il contrario». Conclude domandando: «Chi allora è in grado di stabilire la qualità della vita?»Interviene all’incontro anche la dottoressa Sylvie Menard, consulente del Centro di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, allieva di Umberto Veronesi e arroccata sulle posizioni del maestro fino all’avvento di un fatto: «Quando mi sono ammalata di tumore, ho dovuto rielaborare il giudizio che avevo sulla condizione della malattia, poiché era un giudizio formato sulla condizione di altri. Poiché la vita diventava più breve, l’ho scoperta come più preziosa». Un esempio di come un giudizio sulla qualità della vita di un malato, dato da un sano, possa essere poi suscettibile di cambiamenti. «Tanti malati terminali – spiega la Menard – reagiscono alla loro condizione nel senso di un maggiore attaccamento alla vita. Mi sono accorta a partire dalla mia esperienza di come il testamento biologico non abbia senso, perché fatto dall’individuo ancora in una condizione di sanità». La professoressa paventa poi un rischio ancora maggiore derivante dalla possibile pratica dell’eutanasia: che diventi il “rimedio” ad un buco nei compiti dell’assistenza sanitaria.Cesana conclude in conferenza stampa con un accenno anche al recente caso Englaro: «Il padre di Eluana non ha agito come ha fatto per motivazioni economiche. Lui considera ormai la figlia morta, e questo non lo può sopportare. Al contrario le suore sopportano la condizione della figlia. Perché ostacolarle nel farlo? Allora il caso Englaro non è solo impedire la vita, ma anche impedire la carità. Ricordiamoci che la medicina è nata per curare, non come capacità di guarire».

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