Negli Stati Uniti invece le questioni etiche sono da sempre al centro dell'attenzione della gente comune. Nella vita di tutti i giorni, ma soprattutto in campagna elettorale.
L’aborto fa notizia. Lo si percepisce sfogliando giornali e riviste di informazione. Come dimenticare il Time, che in passato non aveva avuto alcuna remora a sbattere in prima pagina l’immagine dell’aborto chimico e della pillola Ru486?
L’aborto entra prepotentemente nel confronto elettorale. I sondaggi dimostrano la sensibilità degli elettori alle posizione prochoice dei candidati.
In questi giorni, negli Stati Uniti, si stanno giocando le ultime tappe della campagna per le presidenziali e i candidati dichiarano le loro posizioni in materia di tutela della maternità. Da una parte il repubblicano John McCain, che ha chiesto un emendamento costituzionale che vieti l’aborto, rendendo cosi ancora più rigida la posizione del suo partito sull’argomento. Dall’altra parte il democratico Barak Obama, sempre più convinto sostenitore dell’aborto, tanto da arrivare a scegliere come vice il senatore sessantaquattrenne Joe Biden, cattolico prochoice.
La storia si ripete, adesso come allora. Nel 2004 la campagna elettorale del candidato democratico John Kerry cattolico e “per la libertà di scelta” era stata segnata dalle prese di posizione di una piccola ma significativa minoranza di Vescovi statunitensi. Per gli alti prelati infatti un politico cattolico che non fosse assolutamente contrario all'aborto non poteva ricevere la comunione. Oggi è l'Arcivescovo di Denver, Charles Chaput, a sostenere che l'appoggio di Biden al diritto di aborto e' ''gravemente sbagliato'' e che pertanto anche Biden dovrebbe evitare di fare la comunione quando va a Messa. Pertanto il dilemma del 2004 che portò Bush a vincere su John Kerry, con una risicata ma decisiva maggioranza del voto dei cattolici, potrebbe di nuovo riproporsi. Infatti negli Stati Uniti i cattolici sono l'ago della bilancia, perché rappresentano circa un quarto degli elettori e perché sono decisamente influenti in quegli Stati già in passato cosi' decisivi, come il Texas o l'Ohio.
E sul fronte dell’associazionismo prolife?
In America in questi giorni entra in scena a Denver, in Colorado, la "American Right to life Action" con un' enorme cartello contro l'aborto. Misure già da guinnes dei primati, 120 metri per 200 metri. Una scritta, a caratteri cubitali, sulla collina fuori dalla sede della Convention finale di Obama: "Destroys uNborn Children", "annienta i bambini non nati”. Dove le maiuscole cosi' sistemate indicano l'acronimo del partito democratico, Democratic National Convention. Il tutto allegato ad un coraggioso comunicato stampa: "Migliaia di persone vedranno la scritta e avranno qualcosa a cui pensare: ogni vita deve essere protetta e amata, ma nominando Barak Obama, il partito democratico sostiene l'uccisione di bambini grandi abbastanza da udire la voce della madre che li porta in grembo". Lotta all’ultimo sangue.
In Italia invece raccogliamo firme. Lanciamo progetti e seminari di bioetica. Mandiamo in parlamento politici che dell’aborto non intendono neppure discutere. Parole, parole, parole.
Alla fine dobbiamo accontentarci solo di pomodori e uova per sentirci protagonisti?
Se pochi giorni fa è stato detto in apertura al Meeting di Rimini che “i valori della vita umana e della famiglia, della concezione della persona e dello Stato, pur essendo illuminati dalla fede sono anzitutto bagaglio della buona ragione”, allora come si gioca in Italia il nostro impegno prolife, per osare ancora di più?
Eraldo Ciangherotti
Vicepresidente Federvita Liguria
Presidente del Centro Aiuto Vita Ingauno