Abbiamo visto che i tutori e gli amministratori di sostegno potranno rifiutare terapie salvavita per conto degli interdetti.
Ci siamo chiesti se i medici, di fronte al loro rifiuto, potranno ugualmente curare l'interdetto oppure dovranno fermarsi. Su questo punto decisivo la Camera ha apportato delle modifiche al testo approvato dal Senato.
Ma i medici non possono fare niente? E il tutore deve rendere conto a qualcuno delle sue decisioni?
La Camera dei Deputati ha abrogato l’articolo 8 che, stabiliva che i medici, di fronte al rifiuto dei rappresentanti legali, dovessero ottenere l’autorizzazione da parte del giudice tutelare per poter curare il malato. Si tratta di abrogazione proposta da parlamentari orientati ad una maggiore difesa della vita e, quindi, va apprezzata per il principio che vuole affermare: “se il paziente deve essere curato perché rischia di morire, il medico lo cura , senza preoccuparsi di consenso o di autorizzazione!”.
Ma questo principio è garantito dal progetto? Quanto al tutore, il progetto prescrive che “la decisione … è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita del soggetto incapace” (art. 2 c. 6). In realtà è una difesa debolissima contro decisioni di tutori in senso eutanasico: per contestarle, infatti, i medici dovrebbero far causa al tutore; in caso contrario non potrebbero che prendere atto della “decisione” di non prestare il consenso.
Vi è, però, una seconda norma, introdotta alla Camera, che sembra più efficace: “Per tutti i soggetti interdetti o inabilitati il personale sanitario è comunque tenuto, in assenza di una dichiarazione anticipata di trattamento, a operare avendo sempre come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita del paziente” (articolo 2 comma 8).
Si stabilisce un obbligo del personale sanitario (e quindi, in primo luogo dei medici): è importante, perché la garanzia contro l’eutanasia per omissione di terapie è effettiva solo se i medici vengono obbligati a salvare la vita dei pazienti, con il rischio di responsabilità penale per omicidio in caso di morte del paziente non curato.
La norma, però, lascia un quadro giuridico molto vago: non stabilisce affatto che, quando l’omissione di terapie può portare alla morte il paziente, “il consenso informato al trattamento sanitario (del tutore) non è richiesto” (come invece viene stabilito per i casi di emergenza).
Insomma: i medici devono sempre curare i pazienti incapaci che rischiano di morire quando i loro rappresentanti legali rifiutano le terapie salvavita?
Il fatto che ciò non sia stato stabilito espressamente non può che far temere sviluppi (anche giurisprudenziali) in senso contrario alla vita.
Ci siamo chiesti se i medici, di fronte al loro rifiuto, potranno ugualmente curare l'interdetto oppure dovranno fermarsi. Su questo punto decisivo la Camera ha apportato delle modifiche al testo approvato dal Senato.
Ma i medici non possono fare niente? E il tutore deve rendere conto a qualcuno delle sue decisioni?
La Camera dei Deputati ha abrogato l’articolo 8 che, stabiliva che i medici, di fronte al rifiuto dei rappresentanti legali, dovessero ottenere l’autorizzazione da parte del giudice tutelare per poter curare il malato. Si tratta di abrogazione proposta da parlamentari orientati ad una maggiore difesa della vita e, quindi, va apprezzata per il principio che vuole affermare: “se il paziente deve essere curato perché rischia di morire, il medico lo cura , senza preoccuparsi di consenso o di autorizzazione!”.
Ma questo principio è garantito dal progetto? Quanto al tutore, il progetto prescrive che “la decisione … è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita del soggetto incapace” (art. 2 c. 6). In realtà è una difesa debolissima contro decisioni di tutori in senso eutanasico: per contestarle, infatti, i medici dovrebbero far causa al tutore; in caso contrario non potrebbero che prendere atto della “decisione” di non prestare il consenso.
Vi è, però, una seconda norma, introdotta alla Camera, che sembra più efficace: “Per tutti i soggetti interdetti o inabilitati il personale sanitario è comunque tenuto, in assenza di una dichiarazione anticipata di trattamento, a operare avendo sempre come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita del paziente” (articolo 2 comma 8).
Si stabilisce un obbligo del personale sanitario (e quindi, in primo luogo dei medici): è importante, perché la garanzia contro l’eutanasia per omissione di terapie è effettiva solo se i medici vengono obbligati a salvare la vita dei pazienti, con il rischio di responsabilità penale per omicidio in caso di morte del paziente non curato.
La norma, però, lascia un quadro giuridico molto vago: non stabilisce affatto che, quando l’omissione di terapie può portare alla morte il paziente, “il consenso informato al trattamento sanitario (del tutore) non è richiesto” (come invece viene stabilito per i casi di emergenza).
Insomma: i medici devono sempre curare i pazienti incapaci che rischiano di morire quando i loro rappresentanti legali rifiutano le terapie salvavita?
Il fatto che ciò non sia stato stabilito espressamente non può che far temere sviluppi (anche giurisprudenziali) in senso contrario alla vita.
Ma Beppino Englaro è un modello positivo o negativo per la maggioranza che sta approvando questa legge? E' paradossale: si impedirà (salvo sentenze della Corte Costituzionale ...) ai tutori di lasciar morire di fame e di sete gli interdetti ma, nello stesso tempo, si attribuirà loro il potere di rifiutare ogni terapia necessaria...
Giacomo Rocchi